30/12/10

Archivio interviste 2010 / Larry Heard


Capita raramente che, parlando di generi e sottogeneri musicali, ci sia unanimità sul brano che li ha inaugurati. Per quanto riguarda però la deep house, su Can You Feel It di Larry Heard/Mr. Fingers, anno di grazia 1985, l'accordo è pressochè universale. Capita altrettanto raramente che persone tanto importanti per la storia della musica siano così disponibili e gentili, umili fino al rischio di scomparire nel mondo tutto apparenza del clubbing attuale. Di Heard, colosso della house di Chicago che – per come vanno le cose – non ci stupiremmo di vedere arrivare con due guardie del corpo e due stangone per lato, e un rider pieno di richieste assurde, colpisce la purezza. La sicurezza di sé che diventa concentrazione massima sulla propria arte, e minima sul contorno. “L'ultimo servizio fotografico me lo hanno fatto quattro o cinque anni fa”, ci dice. Pacato, minuto, per niente appariscente, sembra un turista qualunque con il berretto da baseball e lo zainetto in spalla. Più che sufficiente per cuffie e raccoglitore dei CD, comunque. L'opportunità di incontrarlo ci è data dal suo dj set al The Beach di Torino per Secret Mood, nuovo appuntamento che ha riportato sotto la Mole il gusto per la house classica, quella che rende chiaro il suo posto nel percorso evolutivo della musica afroamericana. Le domande che vengono in mente sono tante, si accavallano cronologicamente e si perdono nelle suggestioni fornite dalle risposte. Proviamo a mettere ordine. (DJ Mag, aprile 2010)
(continua)

Archivio interviste 2010 / Crystal Castles


C'è una cosa che più di tutte distingue chi ce l'ha fatta e chi non ce l'ha fatta, o ci sta ancora provando: il banchetto di magliette taroccate fuori dal concerto. Non si sa chi sia a decidere quali fare e quali no, se abbia gusti musicali interessanti, se legga Rumore, se qualcuno all'avvicinarsi di dicembre gli abbia mai chiesto la sua top 10. Non si sa se vengano consultate la classifica di iTunes o quella di Billboard, o i dati delle prevendite dei biglietti. Ma fossimo nell'artista taroccato non ci preoccuperemmo, anzi. Se c'è il banchetto, hai svoltato. Anche se le magliette sono brutte come quelle dei Crystal Castles, per le quali il grafico in incognito chino sul suo computer a Sesto San Giovanni o Torre del Greco non ha proprio dato il massimo. Contano i Magazzini Generali di Milano andati esauriti molto in fretta per l'unica data italiana del duo di Toronto. Conta la bolgia dalla quale siamo appena usciti. E conta un passo avanti netto come il secondo album di Ethan Kath e Alice Glass, pregevole matrimonio fra rumore elettronico e palpitazioni techno-pop che si intitola (o meglio, non si intitola) Crystal Castles come il primo. (Rumore, giugno 2010)
(continua)

29/12/10

Archivio interviste 2010 / Riva Starr


Non è facile trovare Stefano Miele, di questi tempi: I Was Drunk, tormentone house dal gusto balcanico con ospitata dei francesi Nôze, ha fatto il salto nel mercato pop, e anche qui da noi la si sente e la si balla un po' ovunque; il remix realizzato per Hey Hey di Dennis Ferrer è la prima scelta dei DJ di mezzo mondo, ed era “essential tune of the week” dal guru Pete Tong (BBC Radio) proprio nei giorni della Winter Music Conference di Miami; la Defected, una delle etichette dance più importanti al mondo, gli ha chiesto di mixare la sua compilation annuale dedicata proprio a quell'evento, crocevia del business mondiale per tutto quanto è clubbing. Sta diventando uno dei DJ più richiesti in circolazione, insomma, e anche la lista di chi vuole un remix si fa ogni giorno più lunga, Beth Ditto e Gossip compresi. Se aggiungiamo un album bello e vario come If Life Gives You Lemons, Make Lemonade, debutto della sua terza vita artistica (dopo un album come Madox, tre come Stefano Miele e svariati singoli e remix con entrambe le denominazioni) uscito per la Made To Play di Jesse Rose all'inizio dell'anno, siamo all'apice, per ora, di una carriera ormai decisamente lunga. Apice raggiunto però, come detto, lasciando l'Italia. (Rumore, maggio 2010)
(continua)

Archivio interviste 2010 / Caribou


LAST NIGHT A DJ SAVED MY LIFE

Raramente i musicisti sono così precisi, e così sinceri. Presentando Andorra, nel 2007, Dan Snaith fece nomi e cognomi: il suo obbiettivo era stato quello di ricreare l'atmosfera di This Will Be Our Year degli Zombies. Non il pop psichedelico inglese degli anni '60, non gli Zombies in generale e nemmeno il mitico Odessey and Oracle, che quella canzone conteneva. Proprio This Will Be Our Year, capace di farlo piangere a ogni ascolto. Quando risponde al telefono, la curiosità è troppo forte: anche Swim - terzo lavoro a nome Caribou del musicista canadese, dopo l'abbandono dello pseudonimo Manitoba - ha riferimenti così circoscritti? “No, non così tanto. Ma è abbastanza ovvio come stavolta abbia ascoltato molta più dance, gente come James Holden o Theo Parrish ad esempio. Non necessariamente le loro produzioni, anche solo i loro DJ set, o quelli di altri. Ho respirato l'aria dei club e della musica da club.” (Rumore, aprile 2010)
(continua)

28/12/10

Outtakes



AA.VV. Rockin' In The Jungle - 1950's American Jungle Songs (Viper)
AA.VV. Keb Darge And Little Edith's Legendary Rockin' R&B (BBE)

Regina delle compilation di rarità a tema, dopo dischi dedicati alla figura del diavolo, alla prigione, al cibo e al Tennessee nella canzone nordamericana tra gli anni '20 e '50 (ma ce ne sono anche sui gatti e sui cani nel rockabilly, e su un sacco di altre cose che non vi sveliamo), la britannica Viper punta verso la giungla. O meglio, verso l'immagine pittoresca che della giungla, dell'Africa e dei suoi abitanti avevano i musicisti statunitensi, noti come Bo Diddley, Jerry Lee Lewis, Bill Haley e Rufus Thomas, oscuri ma altrettanto essenziali come Cadets (Stranded in the Jungle), Hank Thompson (Rockin' in the Congo) e ovviamente Hank Mizell (Jungle Rock). Uno spettacolo, ma Keb Darge e Little Edith riescono a fare ancora meglio con i loro venti “Ultra Rare Black Rockers from the 50s and Early 60s”, perle afroamericane grezze di rock'n'roll, rhyhtm'n'blues e soul primordiale raccattate chissà dove. Firmate da Carneade veri - Marie Knight e un Johnny “Guitar” Watson giovinetto esclusi – e assolutamente travolgenti.

16/12/10

1. CARIBOU. Swim (City Slang).


Racconta Dan Snaith, titolare della ragione sociale Caribou, di aver realizzato Swim seguendo due diversi flussi creativi, distinti in origine e fusisi insieme strada facendo. Da un lato, il flusso legato alla sua carriera di autore pop dal gusto retro-moderno, fra i Beach Boys, gli Zombies, il kraut rock e il taglia-e-cuci digitale più casalingo (vedasi il pregevole Andorra, uscito nel 2007). Dall'altro, il flusso originato dalla sua più recente attività di DJ, e dalla necessità di produrre autonomamente tracce da suonare nei club. Materiale autografo pensato quindi per le piste da ballo più che per una pubblicazione tradizionale, da testare sul campo sera dopo sera e da aggiustare di conseguenza in un continuo lavoro “in progress”. Al termine di questo percorso, con l'album finalmente a disposizione, c'è poco da aggiungere: la fusione è riuscita perfettamente, e impone in via definitiva Snaith come uno dei musicisti più interessanti ed emozionanti in circolazione. Strumenti ecustici ed elettronici interagiscono in maniera organica, come fossero una cosa sola, e vanno a creare un suono che sa di passato e di futuro insieme, tanto curato quanto fragile e spontaneo. Le nove tracce dell'album hanno sia i ritmi in 4/4, le strutture e il dettaglio sonoro tipici della dance, sia le melodie in bilico fra estasi e malinconia per le quali il canadese con residenza a Londra è noto. La bilancia pende ora più da una parte (l'ipnotica Bowls, con campane tibetane e accordi house, è davvero qualcosa di straordinario) ora più dall'altra (come in Kaili, senza batterie, spinta da strati di sintetizzatori e voci in falsetto), ma sta soprattutto ben salda nel mezzo: le pulsazioni disco-funk sincopate di Odessa - che non sfigurerebbe affatto nel repertorio dei colleghi Hot Chip - e il calore analogico della sognante Sun, splendida accoppiata scelta per aprire il disco, sono una dichiarazione esplicita in tal senso. Così come la conclusiva Jamelia, cantata da Luke LaLonde degli indie-rocker Born Ruffians, riassume al meglio quanto detto con una delicatezza rara, facendo contemporaneamente intuire possibili sviluppi futuri. Ma lungo tutti i 43 minuti di Swim è come se, arrivando da percorsi quasi opposti, Caribou e l'amico Kieran Hebden/Four Tet dell'ultimo There Is Love in You finisssero per ritrovarsi fianco a fianco, convergendo su una dance dal volto umano e dall'umore positivo. Uno dei suoni del momento, senza dubbio.
(Il Giornale Della Musica n. 270)

(bonus 1)
A chiusura di un fantastico 2010, anno durante il quale il mondo si è finalmente accorto della sua grandezza e lui ha fatto di tutto perchè ciò accadesse, Dan Snaith festeggia con un doppio vinile registrato dal vivo a New York, in occasione del festival All Tomorrow's Parties del settembre 2009. Prima di Swim, dunque, con il repertorio dei tre album precedenti equamente rappresentato. Noi festeggiamo con lui, anzi con loro: sul palco erano più o meno in quindici, un'orchestra comprendente Four Tet, Koushik, Luke Lalonde (Born Ruffians), un quintetto di fiati, quattro batteristi e – come giustamente sottolineato fin dalla ragione sociale – una leggenda del jazz più out come Marshall Allen, sassofonista e leader della Arkestra di Sun Ra. Festeggiamo perchè sono 55 minuti di musica davvero magica, alla confluenza di kraut rock, pop anni '60 ed euforici impulsi free, trainati da una Melody Day ridotta all'osso e che incanta.
(Rumore n. 226)

(bonus 2)
(...) ecco arrivare Swim Remixes (City Slang). Raccolta di cose già sentite e novità, e livello medio altissimo: basterebbe Motor City Drum Ensemble da solo con la sua monumentale Leave House, e invece ci sono anche James Holden, Junior Boys, Gold Panda, Fuck Buttons, un doppio DJ Koze, Gavin Russom, Ikonika e Walls fra gli altri. Tutti ad altissimi livelli, evidentemente felici di confrontarsi con cotanto campione, e di andare a comporre un album che scorre ed emoziona con il calore di una riunione di spiriti affini, più che come una semplice raccolta di remix.
(Rumore n. 228)

15/12/10

Perchè Google Maps è la cosa più bella che c'è


Visualizzazione ingrandita della mappa

Il responsabile è lui.

2. MASSIMO VOLUME. Cattive Abitudini (La Tempesta).


Un sogno che diventa ipotesi e quindi realtà. Un percorso partito dalla riunione del 2008 a Torino, e fattosi via via più solido con l'accumularsi di altri concerti, un album dal vivo e la riproposizione integrale del classico Stanze nella loro Bologna, quest'anno. I Massimo Volume – per chi non c'era: noise-rock di matrice sempre più post e testi recitati fra poesia e racconto breve; uno dei gruppi italiani più importanti degli anni '90, e di sempre; l'ultimo o quasi a far genere a sé, e a cambiare vite all'istante facendolo – esistono di nuovo, le prove sono troppe.
La più recente è un album realizzato alla vecchia maniera. Più o meno come lo fu, facendo di necessità virtù da bravi fuorisede, il caro vecchio Stanze di cui sopra, nel 1993: registrazione dal vivo in studio, tutti insieme, su un otto tracce analogico; missaggio su un due tracce a bobine. Niente computer. Lo scenario migliore per apprezzare di nuovo la determinazione feroce dei Massimo Volume d'annata, la coesione di una macchina oliata come e più di allora, e l'eccellenza della nuova formazione, nella quale brilla da quella sera torinese anche Stefano Pilia, giovane asso della scena sperimentale internazionale.
Lo sconto al vertice fra la sua chitarra e quella di Egle Sommacal è uno spettacolo elettrizzante. L'incognita era lì, nella coesistenza dei due talenti e nella fruttuosità del loro incontro. La creatività ritmica di Vittoria Burattini e la scarna potenza del basso di Emidio Clementi le ricordavamo, così come naturalmente ricordavamo – sembra davvero la più superflua delle precisazioni – le parole dello stesso Mimì.
Cominciassimo a citare non finiremmo più e rovineremmo la sorpresa. Ma raramente sono sembrate così organiche, così poco appoggiate sopra la musica. Che dal canto suo non sarà nuovissima in senso assoluto, ma è fresca e vibrante in senso relativo. E non solo: cose solari come La bellezza violata i Massimo Volume non le hanno mai fatte; i cori senza parole che sollevano gli otto minuti ipnotici di Mi piacerebbe ogni tanto averti qui, poi! Fausto è splendida musicalmente, ma testo ed enfasi sono manna per chi non ama quelle che Clementi stesso chiama “clementate”. Compensa Litio, urgente e tormentata, 3'34” brucianti che vanno dritti fra gli inni del gruppo: Stanze vent'anni dopo, in ogni senso. “Leo, è questo che siamo?” senza punto interrogativo. Fuoco per nulla fatuo.
(Rolling Stone n. 84)

3. HOT CHIP. One Life Stand (Parlophone).


14/12/10

4. FOUR TET. There Is Love in You (Domino).


Probabilmente ciò farà di me un sempliciotto, ma qui metto per iscritto un'idea che da tempo vado sostenendo: il tempo in quattro quarti, la cassa dritta, la cassa, dite un po' come volete, è qualcosa che va al di là delle classificazioni di genere, delle mode, di quello che noialtri coscientemente possiamo pensare. È qualcosa che agisce a un livello superiore, o inferiore, non importa, e che chiama in causa un sentire primordiale dell'essere umano. È di tutti, e non di pochi, e per questo è spesso considerata sinonimo di scelta facile, banale, tamarra.
Vero, quando a un certo punto entra la cassa sarà pure banale, ma il più delle volte è anche bellissimo. Come un riflesso automatico, come un tassello che va a posto sempre nello stesso posto, ma rassicurandoci ogni volta come fosse la prima. Il più delle volte è bellissimo anche quando deve entrare per forza ma non entra, figuratevi, ed è come se entrasse lo stesso, e la sua assenza è come la sua presenza, “e non averlo fatto è stato proprio come averlo fatto”.
Ecco, nella carriera di Kieran Hebden a un certo punto è entrata la cassa, e questo punto è il 2010. La sua creatività non è diminuita, la sua cifra sonora non è variata, ha semplicemente (qui sta la chiave: semplicemente) fatto un passo deciso verso di noi. Che ringraziamo.

05/12/10

Donne e buoi dei paesi tuoi

Paese bizzarro, l'Italia del 2010.
Due notizie quasi contemporanee cozzano in modo piuttosto rumoroso.

In provincia di Bergamo, il fatto che il presunto assassino di una ragazza sia marocchino scatena tensioni razziste, con relativi incitamenti alla legge del taglione e al "mandarli tutti a casa sua". E diventa o rischia di diventare un problema di immigrazione, e una notizia politica.

In provincia di Catanzaro, il fatto che l'assassino colto in fragranza di sette uomini - travolti guidando l'auto senza patente e sotto effetto di stupefacenti - sia marocchino non scatena un bel niente. E resta quello che è, ovvero un problema di sicurezza sulle strade, e una notizia di cronaca nera.

Levato di mezzo lo stereotipo geografico del nord leghista e del centro-sud più umano e solidale (Rosarno mi pare fosse in Calabria, e la Roma della caccia al rumeno e un po' a tutti gli altri non è poi molto lontana), resto sempre più convinto che le ragioni profonde di questa evidente sospensione del buon senso siano quelle di cui parlavo qui qualche tempo fa.

03/12/10

5. GONJASUFI. A Sufi and a Killer (Warp).


Ogni mese un disco così, uno solo. Chiediamo troppo? Un disco per il quale l'urgenza comunicativa e le idee conseguenti siano ragione di esistere, e non dettaglio trascurabile, o perso fra quintali di fuffa. Non un disco perfetto, chè A Sufi and a Killer non lo è ed è anche così bello per questo: pare un blocco straboccante di appunti, sporco e disordinato come quello di un viaggiatore solitario. Un tizio californiano che si chiama Sumach Valentine, un eremita con barba e dreadlock che canta lamentandosi come un ibrido di Moondog e Antony, e coproduce – insieme agli altri irregolari Gaslamp Killer, Flying Lotus (meravigliosa Ancestors) e Mainframe – questo vero e proprio viaggio sonoro fra rock acido e dilatato, soul-funk avvolgente, batitti hip hop, flash orientali, ballate folk-pop, blues deviante. L'evoluzione dei quattro minuti di Sheep basterebbe come esempio, se un esempio fosse cosa plausibile.
(Rumore n. 218)

02/12/10

6. JOHN GRANT. Queen of Denmark (Bella Union).


Un disco spiazzante, e anche per questo così bello. Dal nulla o quasi salta fuori l'ex cantante degli Czars accompagnato dai Midlake, con dodici canzoni di grande e dolente bellezza. Un vissuto personale tormentato, un passato che torna tanto nei testi quanto nelle suggestioni molto anni '70 della musica, immagini di strade lunghe e dritte e quartieri periferici, locali mezzi vuoti e marginalità, sogni puri di bambino e fallimenti. Musica impregnata di quella malinconia serena e quasi positiva che ricompare come un filo rosso in alcuni dei migliori dischi di sempre. Il tutto in forma di ballate pianistiche intense e creative (ma non solo, occhio all'Elton John saltellante di Chicken Bones) dalle aperture melodiche fulminanti, capaci di materializzare un passato dai colori vividi e di donare forza per il presente e il futuro. I Midlake girano a meraviglia, perfetti tanto nei dettagli quanto nella costruzione complessiva; il tocco di Grant è quello sicuro e quasi distaccato del maestro.

Will the circle be unbroken


Sembra di fare la solita osservazione banale su quanto in Italia si sia indietro rispetto al resto del mondo, bla bla bla. Ma forse il problema è diffuso, ed è il problema di un mondo in cui il denaro e quello che esso rappresenta girano al contrario di come dovrebbero, assicurando ulteriore benessere a chi già ne ha, e negandolo a chi ne avrebbe bisogno. Ieri mi è stato rimbalzato un finanziamento, una cosa piccola, una trentina di euro al mese per trenta mesi. Ho capito che un finanziamento è un privilegio, non un aiuto.
Sul piatto da parte mia non c'era moltissimo, ma di questi tempi nemmeno una miseria: un contratto part-time nel commercio e, come garanti, la partita IVA e il relativo reddito della mia fidanzata. Non sono bastati, non ho “raggiunto il punteggio necessario”. Perchè? La ditta non mi concede il finanziamento “perchè nè io né il mio garante abbiamo mai fatto finanziamenti in passato”.
Inutile fare notare quanto tutto sia assurdo, quanto il ragionamento crei un loop nel quale sarà ben difficile fare breccia, e come il fatto che io non abbia mai fatto finanziamenti in passato (non è vero, tra l'altro: ne ho fatto uno intorno al 2003, se non ricordo male proprio con la stessa ditta, per una cifra pure superiore; ma “ogni cinque anni gli archivi vengono azzerati”) sia casomai un punto a mio favore, dimostrando come io sia sempre stato in grado di cavarmela da solo. Nulla.
Per questo forse la ditta si chiama come si chiama, perchè traccia dei cerchi. Perfetti.

29/11/10

7. AAVV. Modeselektor Proudly Presents Modeselektion Vol. 1 (Monkeytown).


(...) una manna: diciotto tracce esclusive, inedite e non mixate, commissionate per l'occasione dal duo tedesco e poste alla convergenza fra dubstep e techno, firmate da assi come Ramadanman, SBTRKT, Cosmin TRG, Robag Wruhme, Marcel Dettmann, Digital Mystikz e Apparat.
(Rumore n. 226)

Vista la brevità della recensione, qualche menzione speciale aggiunta.
Ai bassoni su beat techno/funky di The Unspoken (SBTRKT); alla disco manipolata di The Assistant Manager (Feadz); al Burial disturbato e berlinese di Bierholer (Robag Wruhme); al 2562 fortunatamente meno etereo del solito di The Wind up; a Space Station Love Affair del sempre più maestro Cosmin TRG, uno dei portabandiera di questo suono indefinibile; la bomba sincopata di Shed, With Bag and Baggage, tra sospensioni di synth e pulsazione garage; King of Clubs di Apparat, parente stretta dei Massive Attack più scuri e melmosi, percorsa da ping-pong acidi; lo stepper acido con cui i Modeselektor fanno gli onori di casa, VW Jetta; l'altro maestro assoluto Ramadanman e la sua imprendibile Pitter; il veterano dubstep Mala, dei Digital Mystikz, che non resta indietro con Explorer; il carnival subacqueo organizzato da Bok Bok in Say Stupid Things.
Quasi tutti e diciotto, insomma.

27/11/10

8. MOVIE STAR JUNKIES. A Poison Tree (Voodoo Rhythm).


Il bello è quando mondi apparentemente lontani collidono. Quando, per esempio, un gruppo per anni incasellato alla voce “garage” (e quasi solo da quel pubblico considerato, occorre dirlo) cita Antonin Artaud nelle interviste e Carnevali o Blake nei testi, e dedica a Herman Melville e ai suoi libri minori un intero album. Entrino i Movie Star Junkies dunque, quintetto misto piemontese/veneto, un po' Bad Seeds di noialtri e un po', un bel po', animali da palco di nuova generazione. Eruditi e selvaggi, poetici e sferraglianti. A Poison Tree è il loro secondo album, e rispetto al già notevole Melville è un passo in avanti netto, per la grana del suono – qui finissima, con arrangiamenti curati nei dettagli e idee fresche che spuntano ovunque – e per la capacità sempre maggiore di scrivere canzoni. Concentrandosi, pure: le tracce sono solo otto, ma una più bella dell'altra e molto più riconoscibili che in passato, le tenebre di Leyenda Nera come il rockabilly disperato di The Walnut Tree, un gioiello. Procuratevi questo disco, e andate a vederli dal vivo ad ogni costo.

(Esce in questi giorni per Ghost anche il 10”/ep In a Night Like This, registrato nelle medesime sessioni dell'album e sua appendice altrettando indispensabile)

Quattro nuove tracce che inaugurano il sodalizio fra la band piemontese/veneta e la Ghost Records, quattro schegge roots-punk evolute, nere come la pece e vibranti di un lirismo raro. I cori e i riverberi dell'ossessiva Loneliness Like Clouds Above, i toni da murder ballad allucinata di Twice Upon a Time, il pianoforte e il wah wah della febbrile Odissey of Jason, la tensione ad alta velocità di Death Sleep and Silence. Ribadiamo quanto detto a proposito dell'ultimo, mirabolante album A Poison Tree: siamo in presenza di fenomeni veri.
(Rumore n. 227)

26/11/10

9. DISKJOKKE. En Fin Tid (Smalltown Supersound).


“Musica per la notte che mantiene il calore dei pomeriggi in spiaggia”: lo scrisse qualcuno parlando di Staying in, debutto datato 2007 del norvegese Joachim Dyrdahl, ma la definizione suona ancora più azzeccata per questo En Fin Tid. Titolo che dalle parti di Oslo significa qualcosa come “tempi felici”, del tutto appropriato per un album che rende più calda e solare la già emozionante fusione messa a punto dal nostro. Ci sono le radici house e techno e dosi massicce di relax balearico, i viaggi della disco cosmica europea e gli spazi del dub, tutto passato in rassegna con una originalità fuori dal comune. Si guarda tanto alla compattezza del groove (Big Flash non dovrebbe avere problemi a fare urlare una pista piena) quanto alle esplorazioni sonore di gente come Arthur Russell e Alan Parsons, o dei gruppi kraut-rock tedeschi degli anni '70 più spinti verso l'elettronica. Con il valore aggiunto di una scaletta perfetta, che fa fluire gli otto brani in un crescendo di emozioni e conferma come, nella già incredibile scena nu-disco scandinava, questo ex studente di matematica sia il vero fuoriclasse.
(DJ Mag n. 2)

25/11/10

10. THE COUNT & SINDEN. Mega Mega Mega (Domino).


(Detto delle cinque migliori ristampe del 2010, ecco i dieci migliori album secondo il sottoscritto, come dato alle stampe nel numero di dicembre di Rumore).

Chi non frequenta il mondo dance si segni i nomi: Graeme Sinden e Joshua Harvey (alias Hervé, alias The Count). Primo, perchè Mega Mega Mega, loro debutto in lungo dopo singoli epocali come Hardcore Girls (qui inclusa) e Beeper, è un signor disco. Un compendio riuscitissimo delle varie influenze che caratterizzano il loro suono e la loro attitudine come produttori e DJ, dalla house al rap, dall'Inghilterra urbana di garage, grime e dubstep al suono dei rave (micidiale la technoide Elephant 1234), alla bass music di Giamaica, Angola, Sudafrica, Brasile, Colombia. Tutto con ospiti vocali non di grido ma capaci (Mystery Jets, 77Klash, Bashy, Rye Rye, la promettente Katy B), e un approccio molto party e londinese. Secondo, dunque: perchè i due potrebbero essere per gli anni Dieci ciò che i Basement Jaxx sono stati per gli anni Zero. Manca solo l'affondo pop.
(Rumore n. 222/223)

24/11/10

1. AAVV. Next Stop... Soweto Vol. 1 / Vol. 2 / Vol. 3 (Strut).


Dopo anni di ricerca sul campo e, ottimo tempismo, proprio quando i riflettori di tutto il mondo sono puntati proprio lì, la Strut lancia il primo di tre volumi dedicati al Sudafrica sotterraneo degli anni '60 e '70. In attesa del soul/funk e del jazz, ecco quello che venne chiamato township jive, o appunto mbaqanga. Ovvero, tradizione zulu ripresa con strumenti occidentali, e contaminata da elementi funk, rumba e gospel. Venti brani in tutto, materiale pubblicato all'epoca su 45 giri dalle tirature molto basse destinati al mercato segregato dei neri. Un suono ballabile ed energico, caratterizzato dai botta e risposta vocali (bella lotta fra le Izintombi Zesi Manje Manje e le più note Mahotella Queens), dai ritmi sincopati e dai fraseggi di chitarra elettrica e fiati. Ma anche dalla serenità e dalla gioia di vivere che comunica, pur arrivando da uno dei periodi più bui della storia dell'umanità. O forse proprio per quello. (Rumore n. 217)


Secondo voume della trilogia Strut dedicata al Sudafrica degli anni '60 e '70, e obiettivo puntato stavolta sull'incontro fra suoni locali e influenze nordamericane: soul, funk, organ grooves e primi vagiti disco. Generi da sempre portatori di messaggio, oltre che di evasione, e per questo poco graditi al regime razzista al potere in quegli anni. Dischi importati dagli Stati Uniti della lotta per i diritti civili, e diffusi in maniera quasi clandestina fra le strette maglie dell'apartheid. L'incontro è fruttuoso come previsto, e i ventidue pezzi di questa caldissima raccolta (recuperati sul campo sotto forma di vecchi 45 giri, compilati e annotati con la consueta cura dall'etichetta inglese) lo dimostrano senza riserve. Un'ora di musica vitale e piena di sorprese originalissime, come gli ipnotici Bazali Bam del brano omonimo, tre minuti e rotti di pazzesca cosmic ante-litteram. (Rumore n. 220)


A pochi giorni dal fischio d'inizio, termina la ricognizione della Strut sul Sudafrica degli anni '60, '70 e (in parte) '80. Per il capitolo finale della trilogia, i compilatori hanno pescato fra i jazzisti, fra quanti nella florida scena locale preferirono continuare l'attività fra le maglie strette del regime razzista, invece di seguire l'esempio di Hugh Masekela e Miriam Makeba e trasferirsi all'estero. Si tratta ancora una volta di brani recuperati da incisioni rarissime, che spaziano dal jazz propriamente detto – Dedication (to Daddy Trane & Brother Shorter) del Mankunku Quartet è più che esplicita – alle contaminazioni con il soul (The Heshoo Beshoo Group, The Drive), il funk (Allen Kwela Octet, Spirits Rejoice) o i ritmi autoctoni (Malombo Jazz Makers). L'aggiunta di foto d'epoca e note dell'autorià Gwen Ansell rende l'uscita indispensabile quanto le altre due, con le quali forma un pacchetto di enorme valore musicale e storico. (Rumore n. 221)

23/11/10

2. CHARANJIT SINGH. Ten Ragas to a Disco Beat (Bombay Connection).


L'atto di nascita della acid house non è scolpito nel marmo, ma quasi: su Acid Tracks dei Phuture, anno 1987, l'accordo è quasi unanime. Sugli ispiratori il dibattito è invece sempre aperto, e va indietro a Kraftwerk, Moroder, Throbbing Gristle, Robotnick e oltre. Lì verrebbe da sistemare anche Singh, compositore di Bollywood che all'inizio del 1982 pubblica questo album in poche centinaia di copie, ma sbaglieremmo per difetto. Primo, perchè ben difficilmente una di quelle copie è uscita dall'India ed è finita a Chicago. Secondo, perchè Singh usa proprio lo stesso armamentario Roland che anni dopo definirà il genere (batteria TR808, bass sequencer TB303, sintetizzatore Jupiter-8), lo importa in India appena esce sul mercato ed è il primo a basare della musica su quei suoni inconfondibili. Con un'idea in testa: rendere in chiave disco i raga dell'antica tradizione indiana. Ne esce altro, chiaramente. 50 minuti ipnotici e pulsanti di ritmi in 4/4, bassi arpeggiati, svisate acide e melodie vagamente esotiche. Un'esplorazione del futuro con mezzi all'epoca ancora sconosciuti, che in pieno revival cosmico suona paurosamente attuale.
(Rumore n. 220)

22/11/10

3. AAVV. Pomegranates - Persian Pop, Funk, Folk and Psych of the 60s and 70s (Finders Keepers).


Quasi contemporaneamente, una serie di sussulti arriva in forma di ristampa da quella che siamo abituati a considerare la periferia del mondo. Una periferia da sempre ricettiva nei confronti del rock e del pop anglosassone tanto quanto l'Italia, per non andare lontano, che nel corso degli anni ha fornito le proprie versioni del modello base con risultati spesso notevoli. (...) Meno grezza e più pop Pomegranates - Persian Pop, Folk and Psych of the 60s and 70s, una delle migliori raccolte del genere. Sedici canzoni una più bella dell'altra per melodia e arrangiamento, che fra funk micidiali ed enfasi araba dicono di un bollente Iran pre-rivoluzione.
(Rumore n. 219)

Nel ribadire quanto detto, aggiungo che Talagh di Googoosh - diva pop degli anni '60 e '70, di recente tornata sulle scene dopo un lungo silenzio e molte difficoltà incontrate per la sua immagine emancipata, i contenuti dei suoi brani e le sue prese di posizione non gradite all'establishment islamico - si è rivelata un'arma segreta dei miei dj set più globalisti (quelli appunto intitolati Globo; mi cito: "Globo è un progetto di dj set dedicati alla musica proveniente da ogni continente e ogni epoca, musica ibrida e groovy, dal beat tailandese e cambogiano al funk nigeriano, dal rock latino al jazz etiopico, dal soul statunitense al pop persiano, dalla disco europea alla cumbia colombiana. Fino alle ultime frontiere dance di baile funk, kuduro, kwaito e coupé-décalé. Un piccolo contributo verso il superamento del concetto di 'musica etnica' e del termine 'world music', buoni solo a distinguere la musica anglosassone dal resto. Globo vuole essere l’incontro ad armi pari fra la musica anglosassone e questo enorme resto, la maggior parte della musica prodotta e ascoltata nel mondo").


15/11/10

4. MULATU ASTATKE. New York-Addis-London - The Story of Ethio Jazz 1965-1975 (Strut).


Ci vuole una bella faccia a dire di avere inventato un genere senza timore del ridicolo, e ci vuole soprattutto una discografia pronta a dimostrarlo. Mulatu Astatke può: quello che chiamiamo ethio jazz è farina del suo sacco. Forte di una popolarità sempre più vasta dopo la partecipazione alla colonna sonora di Broken Flowers, e dopo la fortunata collaborazione con gli Heliocentrics, il vibrafonista, organista, autore, arrangiatore e bandleader etiope viene oggi celebrato dalla Strut con una sostanziosa retrospettiva, che si candida a riepilogo definitivo della sua discografia. Sono ventuno brani registrati durante gli anni d’oro della musica abissina, in parte in patria e in parte in trasferta a Londra e New York, dove il nostro studia e impara a fondere in maniera personalissima le melodie della sua terra con vari filoni afroamericani. Quindi jazz, certo, ma anche soul, funk acido da blaxploitation, swing da club esotico, l’onnipresente Cuba (vedere il cantato in spagnolo di I faram gami i faram). Con i risultati da sogno che ormai conosciamo.
(Rumore n. 213)

12/11/10

5. PIGBAG. Volume 1: Dr Heckle & Mr Jive / Volume 2: Lend An Ear + Pigbag Live (Fire).



Mancavano quasi solo loro, fra i nomi grossi di epoca post-punk ancora da ristampare in maniera accurata. Nati a Cheltenham nel 1980, decollati con l'ingresso del bassista Simon Underwood dopo lo scioglimento del Pop Group e pubblicati da quella fucina di creatività che fu la Y Records, i Pigbag li si conosce un po' tutti per Papa's Got a Brand New Pigbag. Se il titolo non vi dice niente, lo farà uno dei riff di fiati più famosi di sempre, che piantato lì su ritmo frenetico e bassline pulsante dà la cifra stilistica del gruppo: funk e afrobeat (e in misura minore dub e jazz) suonati da punk neri dentro, con aspirazioni pop e dance che verranno alla luce strada facendo. C'è tutto, rimasterizzato, in questi due doppi cd: sul primo, l'album di debutto Dr Heckle & Mr Jive e i singoli del periodo, con versioni estese e retri. Sul secondo, il seguito Lend an Ear (la novità è la voce femminile) e altri inediti aggiunti, e il successivo live omonimo. Il primo è abbastanza fondamentale, il secondo giusto un po' di meno.
(Rumore n. 224)

10/11/10

Anche io un elenco!

Si è fatto nuovamente tempo di classifiche, quelle che uno dei giornali per i quali scrivo chiede ai suoi collaboratori quando si avvicina la fine dell'anno. Un po' presto, lo so, visto che si tagliano fuori un paio di mesi che poi da bravi pignoli non possiamo fare rientrare dalla finestra fra un anno, ma va così.
I dieci migliori dischi del 2010 e le dieci migliori ristampe, a cominciare da queste ultime. Per le quali si rende necessaria una premessa, visto come spesso e volentieri nelle graduatorie finali sembra contare più il valore del titolo originale che l'operazione in sè.
Per chi scrive, il valore del titolo originale è solo uno dei fattori in gioco, e nemmeno il più importante. Ristampassero persino il primo dei Velvet Underground, ma così come era uscito nel 1967 (anche rimasterizzato: mi piacerebbe affermare con sicurezza che un bel lavoro del genere fa la differenza, ma a meno che non si tratti di roba che suonava davvero di merda e ora suona decentemente, purtroppo non ne sono in grado), per me non è la ristampa dell'anno.

Altri fattori contano di più.
Quanto fosse raro fino a ieri il materiale ristampato, se fosse mai stato ristampato o se fosse mai stato stampato fuori dal suo Paese di provenienza.
Quanto il ripescaggio denoti un'idea creativa e originale da parte di chi lo ha curato.
Quanto il ripescaggio stesso apra nuove strade alla musica prodotta nel presente o si inserisca in tendenze nascenti oggi, in questo caso proponendosi come titolo del tutto nuovo e non vecchio.
Quanto l'edizione sia curata dal punto di vista iconografico, e se includa o meno scritti critici, contestualizzazioni, note biografiche, curiosità.
E quanto la musica valga, naturalmente.

Cinque titoli dunque, cominciando da domani o dopodomani con il quinto e poi a salire.

09/11/10

Clerks / 3

Mentre noi qui passiamo il tempo a decidere se Vasco Brondi sia un pacco o no (il sottoscritto ne parla recensendo il nuovo disco su Rumore di novembre, ma in sintesi: la seconda), là fuori è sempre un disastro.
Ieri è stato necessario spiegare a più di un cliente che se un cd ha appiccicato sopra un adesivo giallo con scritto "9.90" bello grosso sopra, vuol dire che quel cd è in offerta a nove euro e novanta, e non tutti i cd.

04/11/10

I am Governor Jerry Brown


"Noi che abbiamo imparato la geografia e la politica con i dischi hardcore americani degli anni '80", direbbe Carlo Conti.
Nel marasma di commenti seguiti alle elezioni negli Stati Uniti e alla sconfitta di Obama, la notizia l'avranno notata solo i fan dei Dead Kennedys. Ma trentuno anni dopo California Über Alles, Jerry Brown è di nuovo Governatore della California.
Tifiamo Andreotti?

03/11/10

Errata corrige, tutto qui

Avendo trovato da solo qualche refuso ed avendomene citati altri i lettori del libro, attrezzerei un post per raccoglierli tutti. Nell'attesa di segnalazioni, comincio io con il mas clamoroso.

Pagina 337: il terzo album dei Massimo Volume si intitola Da qui, naturalmente, e non Lungo i bordi.

Che sera, stasera!

"Prendeva in giro politici di sinistra, tipo Bersani. Ci ha fatto vedere una statua di marmo con la sua faccia e il corpo di Superman. Poi mi ha dedicato una canzone, perché ero nuova. Mi ha cantato Se tu non fossi tu di Apicella"

18/10/10

Guarda caso


Quel font ho l'impressione di averlo già visto...

17/10/10

Striscia la notizia


"I souvenir lasciati dai serbi", intitola una delle sue gallerie un sito di Repubblica sempre più livellato verso il basso, nella ormai mitica colonnina alla destra dello schermo.
Nessuno però ha dato un'occhiata alle foto stesse, si direbbe, perchè quella che è messa lì come una sfilata di immagini di colore, fra teschi e scritte in cirillico, contiene anche e soprattutto una notizia.
Piccola ma significativa, viste tutte le analisi politiche e storiche ascoltate negli ultimi giorni: a Marassi insieme ai serbi c'erano anche dei montenegrini (vedi foto 9, 12 e 15).
Per accorgersene basta sapere che il Montenegro, stato praticamente confinante con l'Italia, è indipendente dal 2006, e che Podgorica è la sua capitale.
Per tutto il resto - il bianco e il blu sono i colori del Fudbalski Klub Budućnost Podgorica, i cui ultras si chiamano Varvari (o barbarians, o barbari) - c'è Wikipedia.

16/10/10

Romeni e romani

Ministro Maroni, facciamo il gioco che il romeno era lui che ha dato il pugno e l'italiana lei che lo ha preso?

13/10/10

Anteprima / 29

Da oggi, Cattive Abitudini è ascoltabile in streaming sul sito di Rockit (qui i testi).
Sabato esce nei negozi, in cd o in doppio vinile, edito da La Tempesta.
Domani esce in libreria Tutto qui - La storia dei Massimo Volume, la mia biografia, per Arcana.
"È fatta" (cit.)

10/10/10

Minchia Sabbri

Certo, italianizzato e (soprattutto) pronunciato con due b rende decisamente meglio l'idea.
Ma considerato che tutto il resto del mondo usa l'originale taliban, riescono i nostri telegiornali quantomeno a dire talebani e non talebbani?

(Vedere anche)

05/10/10

Gesù a Taranto

(Grazie a Angelo Cannata)


"Lattuga Pop è la sorella del commissario Vito Ragione, ma ciò nonostante si trova legata all’organizzazione mafiosa di Play Boy Smith.
Un giorno la rgaazza incontra un giovanotto, fuggito da un manicomio e convinto di essere il Messia. Lattuga Pop, sempre più affascinata dal comportamento del sedicente Jesus, lo segue fedelmente, anche se non riesce ad ottenere da lui quel tipo di amore verso cui istintivamente e per abitudine tende.
Anche altri personaggi, tra cui molte ragazze e uno stravagante Gabriele, seguono Jesus e ne condividono i messaggi; tra i seguaci si inseriscono anche due giovani travestite da suore che sono state convertite dal predicatore mentre predisponevano gli esplosivi per un atto terroristico.
Il gruppo entra trionfalmente a Trapani. Ma nel frattempo il commissario Ragione è alla ricerca della sorella e della banda mafiosa. E anche Play Boy Smith tenta di riacciuffare Lattuga Pop. Inevitabilmente gli interessi dei mafiosi e dei poliziotti si concentrano su Jesus che viene tradito dall’avida Stella Young.
Jesus considera finita la propria missione e viene riportato nel manicomio. Ma non tutto è stato inutile, perché un gruppetto di fedeli è rimasto e, tutto sommato, l’importante è incominciare…" (presa qui).















Scommettiamo che


Come previsto, la casa di Montecarlo e il fallito attentato a Maurizio Belpietro sono letteralmente scomparsi dalle prime pagine dei giornali e dei telegiornali italiani. Roba buona per tappare buchi nelle pagine della politica o della cronaca, dopo il voto di fiducia al governo (nel primo caso) e probabilmente dopo le ombre di patacca (nel secondo).
La riflessione ora non è tanto sulla produzione mirata di queste notizie, e sulla loro messa in circolo tramite i media controllati da Silvio Berlusconi. Sono abitudini che purtroppo conosciamo, comuni a ogni regime quale che sia il suo grado di morbidezza, e finchè chi possiede televisioni e giornali potrà fare il Presidente del Consiglio continueranno ad esistere.

La riflessione riguarda piuttosto le testate e e le televisioni "serie", quelle schierate più o meno apertamente contro Arcore e quelle invece "neutrali", se il termine ha ancora un briciolo di senso. Bene, anche questi giornali e televisioni hanno coperto la vicenda Montecarlo (lasciamo stare il vile agguato al giornalista libero Belpietro, che dite?) fino all'ultimo centimetro, non perdendo una virgola di ogni dichiarazione in tema di qualunque uomo politico, portavoce, sottosegretario, velinaro, passante.
La vera notizia non è che tutti questi signori abbiano smesso di occuparsene all'improvviso, ma è piuttosto che se ne siano occupati prima. O no?
Una casa di Alleanza Nazionale che Fini avrebbe venduto a basso prezzo a una società offshore con dietro suo cognato, invece di darla al Popolo delle Libertà. Immaginate Rutelli che, al momento della nascita del Partito Democratico, vende a basso prezzo una casa della Margherita a una società offshore con dietro suo cognato, invece di darla al nuovo partito.
Sai che titoloni.

(Tra l'altro: la parola chiave in tutta la vicenda è "Montecarlo" e basta. Se i cinquanta metri quadri fossero stati a Cuneo o a Foggia, pensate che se ne sarebbe parlato così tanto e a lungo? Conta il fascino che la parola ancora esercita sugli italiani, l'aura mitica del Grand Prix e del torneo di tennis, di posto dove vanno i ricchi e chi non vuole pagare le tasse, dove si pasteggia a champagne e dove i Vanzina hanno girato almeno un film. Montecarlo è la parola chiave e al tempo stesso la prova provata che il tutto è stato prodotto in laboratorio, o che quantomeno al Giornale e a Libero abbiano aspettato fino a quando, tra le varie case che magari Tulliani ha, ne fosse venuta fuori una in un posto con almeno un po' di charme da poveracci. All'elettore di Berlusconi che vede il TG1 o legge il Giornale non interessano i particolari, e non è il caso di sbattersi troppo per farglieli sapere; l'importante è che pensi, e dica al bar, che "Fini parla parla, ma intanto si è fatto la casa a Montecarlo". Anche se Silvio ha decine di società offshore e altrettante case in località belle e costose quanto Montecarlo, naturalmente. Conta l'associazione di idee immediata, come sempre. Solo quella).

E invece vai di titoloni, dalla Repubblica alla Stampa al Corriere a Mentana e via a scendere.
E non ci dicano che se ne sono occupati perchè si capiva che erano manovre significative dal punto di vista politico, che era chiaramente la maniera di Berlusconi per mettere Fini con le spalle al muro, che documentavano in diretta l'ormai celebre "macchina del fango": bisognava dichiararlo, altrimenti non vale. Bisognava mandare gli inviati nella redazione del Giornale, non a Montecarlo a inquadrare il citofono con scritto Tulliani.

Per questo, perchè quello che non va sta a mio avviso a monte e non a valle, ritorno ad accarezzare un pensiero che mi gira in testa da tempo. Una modesta proposta. Estrema, se volete, perchè è giusto vigilare sempre e denunciare quando qualcuno cerca di piegare leggi e regole a suo piacimento. Ma tanto non è che facendolo le cose vadano così meravigliosamente bene.
Diciamo che è una provocazione, se preferite: per una settimana, a meno che non salga al Quirinale con l'esercito e un berretto da Napoleone in testa o cose del genere, tutti i media non riconducibili direttamente o indirettamente a Berlusconi non parlano di Berlusconi.

Processi esclusi, riuscite a immaginare un modo per colpirlo più nel vivo?
Scommettiamo che gli manca l'aria dopo un giorno?

04/10/10

Anteprima / 28


"Ero a San Benedetto, e andai al cinema con la mia ragazza e degli amici. Sapevo che loro stavano facendo la colonna sonora per il film di Infascelli, ma non sapevo che il film fosse uscito. Al momento dei provini ne parte uno con montaggio molto veloce e hollywoodiano; di solito i provini dei film italiani erano abbastanza melensi, questo invece era molto serrato. Sentii la musica e mi venne un colpo: “Porca puttana, questo è il pezzo mio!”, e dissi al mio amico: “Guarda ‘sti stronzi di americani, mi hanno fregato. Mannaggia, gli devo fare causa!”. Poi vidi scritto “Alex Infascelli” e dissi: “Ah, è uscito il film”. Il suono lo avevo riconosciuto subito! Mi faceva incazzare, non pensavo che uno potesse da là venire a copiare noi qua. Pensavo: “Ma come cazzo hanno fatto a farlo uguale? Non può essere!”. Sicuramente eravamo riconoscibili."

29/09/10

Domanda

Solo io penso che un capo di governo, un ministro, un presidente della Repubblica e un presidente della Camera o del Senato non solo non debbano essere più tutelati di un cittadino qualunque nei confronti della giustizia, ma anzi la giustizia nei loro confronti debba essere ancora più severa che nei confronti di un cittadino qualunque?

Niente sesso, siamo piemontesi


Strano posto l'Italia di oggi.
Pensate a tutto quello che riguarda il corpo, il sesso, il pudore.
Da un lato, è concesso tutto: si vendono contratti telefonici con i culi e profumi con le tette, si mandano in onda inquadrature da film porno nei programmi per ragazzi del pomeriggio, non si parla che di quello.
Dall'altro, ci si vergogna di scrivere "mutande", "mutandine" o "slip".

28/09/10

Anteprima / 26


Per qualche oscura ragione, Rolling Stone di ottobre è uscito a Bra (da questo momento chiamata "The city of Bratherly love")  ma non a Torino, dove gli edicolanti rispondono con aria smarrita: "Ci vorrà almeno un'altra settimana".
In ogni caso, ci trovate una gustosa anteprima di Tutto qui - nella quale si parla del bizzarro legame fra Ligabue e i Massimo Volume - e la mia recensione di Cattive Abitudini.

27/09/10

26/09/10

Clerks / 2

Mentre noi qui pensiamo agli Arcade Fire e ai Black Mountain, fuori è un disastro.
Ieri è stato necessario spiegare a ben tre clienti, quasi di seguito, la differenza che corre fra un album e una antologia dello stesso cantante.
Spiegazione sempre accolta da un: "Io non me ne intendo, se lei mi dice che va bene questo prendo questo".

23/09/10

Anteprima / 24



"Quando accendevamo le casse dell’impianto Umberto diceva sempre: “Mettilo al massimo volume, mettilo al massimo volume”. Alla fine ne uscì fuori il nome. Non piacque a nessuno, ma ci rimase addosso. Per un breve periodo ci chiamammo Santadog, da un’idea mia, e ci facemmo anche un concerto a Bologna, ma a Vittoria non piaceva e tornammo indietro. Tenevamo un po’ mussolinianamente a non lasciarci sopraffare dall’inglese, volevamo che fosse un progetto italiano. Magari eravamo derivativi musicalmente, ma ci piaceva che fosse comunque tutto nella nostra lingua. Questo non fu mai in discussione".

20/09/10

Anteprima / 23


"Vivevamo in una casina di sessanta metri quadri in cui io e lui dormivamo insieme nella stessa stanza, in due lettini quasi affiancati, e in un'altra microstanza stava Rigoni. Che faceva orari assurdi, si svegliava alle cinque del pomeriggio e tornava a casa alle sei di mattina. Più tutto un viavai di persone. Spesso non chiudevamo neanche la porta, c'era sempre qualcuno che ci chiedeva ospitalità e dormiva nel corridoio, perché il posto non c'era. Una tecnica molto buona inventata da Mimì, per svuotare la casa quando ce la ritrovavamo piena di gente, era di lanciare un 'Andiamo a bere una birra!'. Uscivamo tutti, noi ci bevevamo la birra al volo e ce ne tornavamo a casa da soli."

17/09/10

Anteprima / 22


"Saint Jack è un film di Peter Bogdanovich, e in quelle frasi del testo c'è un po' il senso che volevo dare al disco. Danno l'idea di un set cinematografico dove niente è vero fino in fondo, dove si sta lì ma sia il bene sia il male sono finti. C'è quel senso dietro Club Privé. Saint Jack è un film di inseguimenti: la vittima viene inseguita, ma chi la insegue non ci crede nemmeno. Non ci sono morti. Volevamo una cosa di cartapesta, una finzione ben fatta. Voluta, dichiarata. Ma non ci riuscì, non la centrammo".

14/09/10

Anteprima / 21


"Un brano finiva con un larsen lunghissimo, il fonico dopo dieci secondi fermò il registratore: 'Basta con sto larsen', e noi: 'No porca puttana!'. Lì vicino c'era una Coop, per pranzo ci facevamo fare i panini al salame e li mangiavamo nel parchetto, la sera tornavamo a casa.

12/09/10

Anteprima / 20


A grande richiesta, visto l'accumularsi di commenti negli altri post: il 14 ottobre esce in libreria Tutto qui - La storia dei Massimo Volume (Arcana), il primo libro mai scritto sul gruppo e il primo libro mai scritto dal sottoscritto. Scusate le ripetizioni.
Prezzo e numero di pagine sono ancora da definire, così come è evidentemente un errore il fatto che sui siti di vendita online venga indicato come autore del libro tale Andrea Pomino.
Una notizia certa invece è che il libro - così come il nuovo, bellissimo album dei Massimo Volume - verrà presentato a Ferrara il 31 di ottobre, alle 19 presso il circolo Zuni, presenti l'autore e il gruppo, e concerto a seguire presso la Sala Estense.
Un'altra notizia certa è che un pezzettino del libro sarà in anteprima esclusiva su Rolling Stone di ottobre.
Altre notizie sul libro e sulle presentazioni a seguire.

06/09/10

Clerks / 1

Primo giorno di lavoro, anzi di formazione, e prima domanda da sogno: "Avete anche lettori per il vinile?"

Basta poco

Sarà, ma l'avere appena consegnato il proprio primo libro, l'aver guidato un'oretta ascoltando un comizio di Nichi Vendola su Radio Radicale, l'inizio imminente di quanto di più simile a un lavoro fisso si sia visto da anni e la prospettiva di cinque giorni in Sardegna fanno una bella sensazione, tutti insieme. Franco Lerda manchi solo tu.

03/09/10

Anteprima / 19



01. Robert Lowell
02. Coney Island
03. Le nostre ore contate
04. Litio
05. Tra la sabbia dell'oceano
06. Avevi fretta di andartene
07. La bellezza violata
08. Invito al massacro
09. Mi piacerebbe ogni tanto averti qui
10. Fausto
11. Via Vasco De Gama
12. In un mondo dopo il mondo

21/08/10

Anteprima / 18



"Una grossa mano ce la diede Kaba, che alla fine prese in mano la situazione. Lui era anche un musicista, per fortuna. Aveva iniziato con Vasco Rossi. 'Con Rossi', come lo chiamava lui, '...quando Rossi andava in giro col Pallas'."

19/08/10

Anteprima / 17



"Rimasi comunque stupito dal fatto che avessero scritto qualcosa, che mi avessero citato. Mi aspettavo di essere cancellato come nelle foto dell'Unione Sovietica. Fecero malissimo a fare anche il minimo accenno a me: avevano fatto trenta, potevano fare trentuno".

16/08/10

Anteprima / 16



"Egle è un nome da donna. Sembra che mio padre, a Lignano Sabbiadoro o in una località turistica simile, fosse rimasto colpito da questo albergo 'da Egle', non ponendosi il problema. A me è sempre piaciuto un casino, fin da piccolo, era quasi un vanto. È un nome da donna d'altri tempi, da zia, da nonna. A Bologna c'era una famosa puttana che si chiamava Egle. Mia sorella invece si chiama Vania, che volendo è anche un nome da uomo. È strano, perchè uno si immagina che i miei genitori siano chissà che fricchettoni, e invece sono delle brave persone normalissime, senza colpi di testa. Si sono scatenati in sede di battesimo, evidentemente".

14/08/10

Anteprima / 15



"Un vero avvenimento era la gara automobilistica Ascoli-San Marco di regolarità su strada, tre giorni in cui le auto arrivavano e giravano per la città. Non vedevo l'ora di sentire questi rombi di motore pazzeschi."

13/08/10

Anteprima / 14



"Aveva una cultura di riferimento che io non avevo. Io avevo quella di mio padre e della sua biblioteca, anche se qualche libro me lo censurava. Mi ha censurato I fiori del male, mi ha censurato Ovidio… i primi che sono andata a leggere, naturalmente. O forse li avevo già letti prima ancora che me li censurasse."

12/08/10

Anteprima / 13



"Mi incuteva molto timore. Aveva l'eta mia di adesso. Era un personaggio del Pratello, reputato più o meno matto. Uno che si era rovinato nonostante l'intelligenza, perchè non aveva voglia di fare un cazzo. Un veneto di Asiago, ombroso, sempre incazzato col mondo... che mi detesta. Mi reputa proprio un coglione. Per lui sono il bel Mimì. Ma io mi attacco come una cozza a Rigoni, subisco totalmente il suo fascino, più lui mi tratta male e più io lo amo.
Rigoni all'epoca non faceva niente, aveva avuto un'osteria lì al Pratello che poi però non aveva avuto voglia di portare avanti; aveva lavorato in fiera pero non aveva voglia di lavorare in fiera; ogni tanto prendeva dei lavori ma... non faceva un cazzo. Mi piaceva da morire ascoltarlo parlare, ti incantava, aveva sempre uno sguardo personale sul mondo e sulle cose. Era come se il mondo improvvisamente apparisse. Tutto quello che ti circondava e che magari ti annoiava, ora invece ti sembrava meravigliosamente nuovo, diverso. Entrammo nella sua orbita come vassalli".

11/08/10

Anteprima / 12



"La prima apparizione di Leo fu durante la festa del Pratello. Nessuno lo conosceva. Lui comparve con due travestimenti, sostenendo di avere un fratello gemello. Interpretava proprio due personalità diverse, una coppia di fratelli rumeni o qualcosa del genere. Si presentava con una personalità, socializzava con le persone e poi spariva. Tornava con un altro travestimento e cominciava a cercare il fratello, e la gente gli credeva. Poi scompariva e tornava vestito da Batman, poi si ripresentava ed era Hitler, poi era un torero... era una cosa completamente folle. Non dormiva mai, si cibava di scatolette di pelati che buttava giù tutte d'un colpo.
Lui e Mimì li ricordo già insieme dall'epoca, si sono prediletti fin da allora. Ma Mimì dice che non puoi essere amico di Leo, che nonostante sia tuo amico da vent'anni, se ti vede agonizzante per strada e però ha da fare un'altra cosa lui ti lascia lì."

09/08/10

Anteprima / 11



"Eravamo in America. Uno va in California e sente i Beach Boys, roba così. Noi invece mettevamo su i Massimo Volume. Con il sole, il mare, le onde e i surfisti, lui sentiva Mimì che cantava Stanze. E sua moglie diceva 'Luciano, io capisco tutto di voi due. Però scusate, siamo in California e dobbiamo sentire questo qua che parla delle sue cose?'"

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