04/01/16

Gli album del 2015 / I ritardatari

A classifica consegnata, esce sempre qualche disco che meriterebbe di stare nei primi dieci. O quantomeno di giocarsela. Tipo questi due.



Bienoise Meanwhile, Tomorrow (White Forest)
Un altro pezzo dell'esplosione di nuovi talenti elettronici nazionali,
protagonisti di uno sfondamento netto verso il pubblico indie. Un debutto straordinario, un disco come se ne sentono pochi e non solo in Italia. Quasi un'ora di musica che da radici house e techno sviluppa uno stile fatto di suoni apparentemente incongrui, sporcizia sonora e campionamenti da vecchie VHS integrati in un insieme scintillante, e dinamiche da pista piegate alla propria visione, in strutture tanto inusuali quanto efficaci. Non c'è un pezzo simile all'altro, ma il tutto suona come un unica, potente narrazione.

Focus Numbers apre con taglio minimale da scuola romena, groove che si ingrossa, voci sminuzzate e respiro soul. All the Future I Can Endure è 10' di pulsazione lenta e onde rumorose, stasi epiche e ripartenze da Weatherall circa Screamadelica. La title-track ha sembianze house underground pure, voce da diva inclusa, ma gli stab li fa un piano smagnetizzato. Dà Vita avanza fra synth acidi e breakbeat, e decolla senza che ci si accorga di come nel frattempo il beat si sia raddrizzato, in un implacabile crescendo psichedelico. Redundance è un treno, fra riff sincopati e palpitazioni tech-house a 135 bpm, cassa quasi dritta e clap in controtempo, frammento vocale ripetuto e ipnosi berlinese. Lui, Alberto Ricca, pare sia "tuttora indeciso se definire la sua una musica autistica o altruistica". Comunque vada, sarà un successo. (da Rumore n. 288)
Un arrivo dell'ultimo momento, un botto in extremis dal quasi esordiente Alberto Ricca, per una White Forest che chiude in bellezza un 2015 già notevole grazie agli album di Broke One e Furtherset, e al premio di migliore etichetta dell'anno assegnatole dal circuito Italian Quality Music Festivals. Meanwhile, Tomorrow è un album vero, che costruisce un discorso coerente e sfaccettato pescando da vari stili elettronici e uscendone nuovo, a tratti inaudito. House, campioni misteriosi, techno, psichedelia, rumori. Pista (un promo di Focus Numbers a Villalobos, presto!) e cervello. Il pensiero va a capolavori come Techno Primitivism di Juju & Jordash, o American Intelligence di Theo Parrish; non tanto per affinità precise, quanto per ampiezza dello sguardo e capacità di inserirsi in una tradizione rinnovandola. (da Soundwall)




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Hieroglyphic Being & J.I.T.U. Ahn-Sahm-Bul We Are Not The First (RVNG Intl.)
Già parecchio avventuroso nel suo approccio alla materia house, Jamal Moss alza il livello affiancando il suo alias più noto a un ensemble tarato su avanguardia e free jazz: la stella Marshall Allen, Shelley Hirsch, Shahzad Ismaily, Daniel Carter, Ben Vida, Elliott Levin; e un batterista black metal/psichedelico come Greg Fox (Liturgy, Guardian Alien). Fin troppo facile parlare di ponte steso fra la Chicago acida di Moss e quella afrofuturista di Sun Ra, ma We Are Not the First quello fa, e benissimo. Accogliendo ance ululanti, ritmi liberi, voci recitate o usate come strumento, synth modulari e un ribollire di 303, 808 e macchinari house affini in un flusso di musica in costante tensione positiva. Che culmina nei caldissimi 18'39" della conclusiva title-track: la BYG è viva e lotta insieme a noi. (da Rumore n. 288)


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