31/12/13

E classifica sia (parte prima: le ristampe)

Come dicevo poco fa in quello che volente o nolente è diventato il succedaneo del mio blog e di tutti i blog, "non capisco se vada più di moda fare classifiche di fine anno o fare battute simpatiche su chi fa classifiche di fine anno; io la facevo da anni e quest'anno ho smesso, non so se farmi tornare la voglia o no."
Davvero, guardate nell'archivio del blog. Io la faccio da anni, organizzando anche un patetico countdown che parte una ventina di giorni prima e svela un disco al giorno fino all'uscita in edicola del giornale per cui ho preparato la playlist (questo dovrebbe fornirmi almeno un motivo vero per averla fatta oltre al semplice diporto, anche se la carta stampata è morta non ha senso non la leggo più bla bla bla bla), e credetemi quando vi dico che sono fra i post meno letti in assoluto di questo blog, già di per sè non proprio agli onori delle cronache (non capisco perché, tra l'altro).
Comunque sia, sono bastati due o tre commenti di sincero incoraggiamento ed eccomi qua.
Cominciamo con le ristampe, come i siti seri.
Naturalmente, vale il solito disclaimer: le ho dovute compilare mostruosamente in anticipo, mancano sicuramente mille cose di cui mi sono accorto in seguito, etc etc etc.





10
The Stark Reality
Acting, Thinking, Feeling
(Now-Again)

Già ristampati e antologizzati intorno all'inizio del millennio dalla stessa Stones Throw/Now-Again, gli Stark Reality del chitarrista John Abercrombie - poi destinato a una brillante carriera nel giro ECM - e del vibrafonista, cantante e leader Monty Stark vengono oggi celebrati in grande stile con un sontuoso cofanetto (cd triplo o vinile sestuplo) che ne presenta l'opera integrale, con rarità e inediti. Il fulcro è l'unico album pubblicato all'epoca, nel 1970, dalla AJP di Ahmad Jamal (!): il doppio The Stark Reality Discovers Hoagy Carmichael’s Music Shop, reinterpretazione molto sui generis di un album per bambini del 1958 di Hoagy Carmichael, appunto. Testimonianza perfetta dell'approccio giocoso e senza freni del gruppo di Boston nel combinare in modo peculiare jazz progressivo e psichedelia, pop beatlesiano e funk imbevuto nel fuzz. Il resto è roba precedente, altrettanto brillante: il primo singolo, l'altro album Roller Coaster Ride, nastri con formazione allargata scoperti nel 2005, apparizioni televisive. Tutto insieme, fa già da ora una delle ristampe dell'anno. (da Rumore n. 255)





9
Dur-Dur Band
Volume 5
(Awesome Tapes From Africa)

Prima ancora di ascoltarlo, non è fantastico che questo disco innanzitutto esista? Un album registrato nel 1987 a Mogadiscio, da uno dei gruppi più attivi e amati dell'allora fiorente scena musicale somala pre-guerra, testimonianza di valore inestimabile per gli appassionati di Africa (quella zona è un mezzo mistero anche per loro) e per chiunque discuta lo status quo, Europa e stati Uniti al centro e tutto il resto folklore. Se ne occupa Awesome Tapes From Africa, miniera d'oro in forma di blog e occasionalmente etichetta, rimasterizzando la cassetta originale e stampandola in doppio vinile o cd: undici canzoni che frizzano come il migliore dance-pop tropicale, unendo melodie tradizionali e ipnotico tiro funk, atmosfere arabe o indiane del vicino oriente e linguaggio mainstream globale. Quattro cantanti, tre coristi, due percussionisti, sezione fiati, tastiere, e un'energia vitale contagiosa. (da Rumore n. 256)





8
Billy Bragg
Life's A Riot Spy Vs Spy
(Cooking Vinyl)

Dai, su.





7
The Waterboys
Fisherman's Box
(Chrysalis/Ensign)

Sono gli '80, ma non quelli che vanno di moda ora. Quelli di Mike Scott e dei Waterboys sono '80 che non andranno di moda mai, troppo sinceri e vulnerabili, troppo poco rimasticabili per le disincantate platee attuali. Lui è uno scozzese che dopo tre begli album di epico rock d'autore decide di essere irlandese. Si trasferisce a Dublino. Inserisce il violino di Steve Wickham e sposta Anto Thistlethwaite dal sax al mandolino. Si immerge tanto nella musica tradizionale del posto quanto in country, gospel, Dylan, Morrison. Il risultato è Fisherman's Blues, ottobre 1988, la potenza emotiva dei predecessori moltiplicata da un senso di libertà e serenità enorme. Un album frutto di sessioni quasi leggendarie, svoltesi a Dublino, Berkeley e infine Spiddal, vicino Galway. Meravigliose canzoni senza tempo come And a Bang on the Ear, When Ye Go Away, Fisherman's Blues, una Sweet Thing degna dell'originale su Astral Weeks.
Per il venticinquesimo, tutte quelle sessioni sono raccolte in un unico cofanetto, 121 tracce di cui 80 mai sentite prima. Un blocco che fa impressione per quantità e qualità, con roba che avrebbe gonfiato il disco almeno a doppio senza toccarne il valore, anzi alzandone la portata. Ma quello che davvero emoziona è la rivelazione del processo creativo, sia quando sentiamo improvvisazioni che brillano come cose provate e riprovate, sia quando vediamo canzoni prendere forma versione dopo versione. A Fisherman's Blues - la canzone - ne bastano due: una, la prima, con Scott al piano che chiama cambi e accordi, e una di cinque minuti più tardi che suona familiare. Perché è l'ultima, la definitiva. Quella che un quarto di secolo fa apriva l'album a cui dà il titolo con piglio da sommario, sintesi e manifesto, come forse solo London Calling aveva fatto in precedenza. (da Rumore n. 263)





6
AA.VV.
Kenya Special - Selected East African Recordings From The 1970s & '80s
(Soundway)
(...) Soundway pesca invece dal passato, e con Kenya Special - Selected East African Recordings from the 1970s & ‘80s (doppio cd o triplo lp più 7") mette in fila trentadue delizie d'annata, quasi tutte pubblicate solo a livello locale su 45 giri dalle tirature basse o bassissime. Un bell'incrocio di stili vicini e lontani, benga e rumba congolese, rock zambiano e afrobeat nigeriano, soul e funk, rock psichedelico e disco. E la stessa aria di sperimentazione in libertà che si respira nelle serie gemelle dedicate dall'etichetta a Nigeria e Ghana, anzi anche di più. (da Rumore n. 257)





5
Rodion G.A.
The Lost Tapes
(Strut)

Come spesso capita per questo genere di dischi, conta la storia ancora prima della musica. Il che non vuol dire che la musica non conti, o conti poco, ma solo che è la storia a mettere in discussione per prima le certezze, a fare viaggiare la mente. La storia di Rodion Ladislau Roșca ad esempio: guru elettronico nella Romania degli anni '70 e '80, autocostruttore di amplificatori e pioniere del campionamento con i suoi registratori Tesla a bobine, spirito indipendente sempre più isolato dopo la svolta autoritaria di Ceaușescu nel 1971, inattivo da decenni prima di questa riscoperta. Quella dei suoi Rodion G.A. (solo due pezzi pubblicati su una raccolta nel 1981, il resto davvero lost e ascoltato ora per la prima volta) è musica decisamente avanti, combinazione potente e personalissima di elettronica analogica, prog, psichedelia kosmische, funk e lontane arie folk-pop. La colonna sonora di un mondo futuro, o parallelo alla tristezza di quello reale. Escapismo ricoperto da una coltre di mistero, e percorso da un senso di tragedia immanente. Commovente. (da Rumore n. 258/259)





4
AA.VV.
Jazzactuel
(BYG/Charly)
La storia di un sogno. Tre ragazzi parigini che, un anno dopo il terremoto del '68, accolgono nella capitale francese una lunga serie di musicisti free jazz statunitensi e spiriti affini del giro psichedelico e avanguardista, ne registrano jam ed esperimenti, e fondano un'etichetta per documentare il tutto. La storia della BYG e della rivista Actuel, raccontata nel 2000 da un eccezionale cofanetto con cd triplo e libretto, splendidamente annotato da Thurston Moore e dal critico Byron Coley, pieno di foto e materiale d'epoca. La scaletta mette i brividi: Art Ensemble Of Chicago, Sun Ra, Archie Shepp, Don Cherry, Anthony Braxton, Paul Bley, Steve Lacy; sottovalutati come Grachan Moncur III, Frank Wright, Clifford Thornton, Dave Burrell, Jimmy Lions, Alan Silva (pazzeschi i 22 minuti di Seasons - Part 6 della sua Celestial Communication Orchestra), Burton Greene, Andrew Cyrille (solo percussioni in Pioneering), Dewey Redman. Oppure Daevid Allen, Gong, Acting Trio, il collettivo Musica Elettronica Viva. La musica mette i brividi, ancora di più. Non ci sono scuse, costasse pure il triplo del prezzaccio a cui gira. (da Rumore n. 257)





3
Ghetto Brothers
Power-Fuerza
(Truth & Soul)
Capita a tutti di chiedersi cosa sia successo nel giorno della propria nascita. Internet aiuta, ma quando continua a non saltare fuori nulla ci pensa il caso. Spulci la discografia di Pharoah Sanders ed eccola lì, la data di uscita di Black Unity. Ti perdi nel libretto che accompagna una ristampa ed eccoli lì, gli incontri di pace di Hoe Avenue. Gli incontri di pace di Hoe Avenue?
Il South Bronx a cavallo fra Sessanta e Settanta è uno slum in tutto e per tutto, nero e portoricano per due terzi. È il Bronx che abbiamo memorizzato in centinaia di film, sinonimo di area urbana degradata e pericolosa, terrore alla sola pronuncia. Nel giro di qualche anno il boom è andato in malora, lì più che altrove: negozi sbarrati, case che cadono a pezzi, incendi, scuole carenti, pugno di ferro poliziesco, disoccupazione al 30%, tanta eroina. Un vuoto enorme, che per i giovani viene riempito soprattutto dalle gang: cento quelle attive in tutto il Bronx, per una stima di undicimila affiliati complessivi su circa un milione e mezzo di abitanti. "Le gang," scrive Jeff Chang nel suo Can't Stop Won't Stop - A History of the Hip-Hop Generation, "diedero una struttura al caos. Offrivano rifugio, conforto e protezione. Incanalavano energie e trovavano nemici. Allontanavano la noia e davano significato alle giornate. Trasformavano il deserto in un parco giochi. Erano come una famiglia." Ma nel caso dei Ghetto Brothers, famiglia anagrafica e famiglia di strada si trovarono a coincidere.
Nato nel 1952 a San Juan, Porto Rico, Benjamin "Benjy" Melendez arriva a New York quando ha solo otto mesi, stabilendosi con i genitori e i sette fratelli nel Village e spostandosi dopo una decina d'anni nel Bronx, l'area più boricua della città. Lui, Victor e Robert provano un po' di gang della zona, ma alla fine decidono di fondarne una tutta loro, i Ghetto Brothers appunto. Dagli altri li differenzia l'etica, la dedizione al miglioramento della propria comunità, l'ispirazione progressista e sociale, il trattamento delle donne come pari. Le guerre di territorio e la difesa dei colors lasciano presto spazio ad altro: la cacciata di spacciatori e tossici dal quartiere, la pulizia di giardini e aree abbandonate, il supporto concreto ai meno abbienti, l'interesse per il nazionalismo portoricano.
Ma la violenza resta, e l'attivista Joseph Mpa suggerisce a Benjy un salto di qualità: trasformare l'organizzazione in forza di pace. Aiutarsi l'un l'altro invece di uccidersi, nella solita devastante guerra fra poveri. Guerra che lascia sul campo anche Cornell "Black Benjy" Benjamin, peace counselor - nessuna altra gang ha un ruolo simile - dei Ghetto Brothers, ucciso mentre tentava di pacificare due gruppi rivali in battaglia. Melendez e compagni decidono però di non reagire violentemente, e di promuovere anzi il primo storico trattato di pace fra tutte le gang del Bronx. Hoe Avenue Boys Club, 8 dicembre 1971. In sala c'è anche il quattordicenne Kevin Donovan, membro dei Black Spades allora noto solo come Bambaataa. Ed è grazie al clima di armonia che segue che può nascere l'hip hop. I Ghetto Brothers cominciano ad organizzare block party e jam session ogni venerdì sera, e in tanti seguono il loro esempio. Ma di rock'n'roll e non di rap stiamo parlando.
Cresciuti a pane e Beatles nell'idillio dei primi Sessanta, i fratelli Melendez esordiscono armonizzando classici dei Fab Four agli angoli delle strade del quartiere con altri due amici, battezzandosi Los Junior Beatles e arrivando persino ad aprire un concerto della leggenda Tito Puente. Quando il professore Manny Dominguez e sua moglie Rita Fecher (insegnante anche lei, e nel 1993 autrice insieme a Henry Chalfant del documentario Flyin' Cut Sleeves, testimonianza straordinaria di tutto quanto stiamo dicendo) riescono a trovare una sede all'organizzazione, il suo radicamento sociale diventa evidente, e lo spazio permette di dedicarsi alla vecchia passione. Nasce una band omonima: Benjy alla voce, Victor alla chitarra ritmica, Robert al basso, David Silva alla chitarra solista, Franky Valentin ai timbales, Luis "Bull" Bristol alla batteria. Arriva una specia di residenza di fronte a un negozio di alimentari, il padrone mette elettricità sandwich e bibite, loro suonano e cantano per i passanti. Sembrano canzoni dei Beatles suonate da Santana, un'oasi di pace ed energia positiva nata chissà come in mezzo all'inferno. Sono l'ultima cosa che ci si aspetta di sentire dopo tutto questo preambolo.
Power-Fuerza è l'unico, rarissimo album dei Ghetto Brothers. Registrato in un giorno in presa diretta con due percussionisti aggiunti. Pubblicato nel 1971 dalla Salsa Records e ristampato oggi dalla Truth & Soul. Otto canzoni di innocenza e orgoglio, che brillano di un candore e di una gentilezza d'animo commoventi. Inni di protesta, ma soprattutto di amore e spensieratezza. Vie d'uscita. Da una gang del Bronx ci si aspetterebbe tutt'altro, ma è proprio questo il bello. (da Rumore n. 253)





2
AA.VV.
There's a Dream I've Been Saving: Lee Hazlewood Industries 1966-1971
(Light In The Attic)

Dai, su.
Questa nemmeno ce l'ho.



1
AA.VV.
Dangerhouse: Complete Singles Collected (1977-1979)
(Munster)
Si fa presto a dire punk: chiedete, e ognuno avrà i suoi luoghi e i suoi periodi, i suoi simboli e i suoi inni. Se chiedete al sottoscritto, non si può prescindere dalla Los Angeles dei tardi '70. Il senso di disperazione, il sarcasmo nel venirne a patti, l'immediatezza sonora e la contemporanea reverenza per le radici r'n'r, l'inafferrabile legame che quei gruppi avevano con una terra solare e decadente, bella fuori e marcia dentro. In quel quadro, e in quella produzione già di per sè esaltante, i tre anni di vita della Dangerhouse si avvicinano alla perfezione. La toccano, la definiscono. Con con sedici vinili soltanto. La raccolta Yes L.A., che sbeffeggia la quasi coeva No New York. L'album dell'eccentrico Black Randy (Pass the Dust, I Think I'm Bowie... che titolo!). E i quattordici singoli qui riuniti, in doppio cd o in cofanetto limitato con repliche in vinile delle stampe originali. Perché è il singolo il vero formato Dangerhouse, la disciplina in cui eccelle uno dei primi marchi davvero DIY del tempo, e qui ce ne sono almeno cinque da antologia del rock tutto. Quello dei Randoms, con un inno supremo nella frenetica Let's Get Rid of New York (c'era simpatia, evidentemente). Il primo degli X, con l'urlo di We're Desperate e il salto nel futuro di Adult Books. Il primo degli Avengers, con l'assalto di We Are the One, I Believe in Me e Car Crash. 198 Seconds of the Dils, novantanove dei quali riservati alla lucida ostilità di Class War. We Got the Neutron Bomb dei burloni, potentissimi Weirdos. Almeno, si diceva: che ne facciamo di Alley Cats, Eyes, Bags e Rhino 39? E dei nervosi Deadbeats di Kill the Hippies? E di deliziosi irregolari come Howard Werth e appunto Black Randy? Ne facciamo tantissimo, oggi come ieri. (da Rumore n. 261)

27/11/13

"Mi dà un pacchetto di Camel e...



...La Padania Repubblica.
Grazie, arrivederci."

24/10/13

Genetica de noantri

Ricordiamoci comunque che tutto comincia quando si dà per scontato che una coppia di rom non possa generare una bambina bionda con gli occhi azzuri.
Da lì in poi, è tutta discesa.

06/10/13

Notizie e notizie














Adesso però voglio la notizia anche tutti gli altri giorni, quando succede il contrario, altrimenti non vale.
Vale come sempre il gioco di immaginarsi le parti invertite.

Territori, bimba palestinese ferita da cecchino mentre gioca nel giardino di casa
Secondo la polizia, il colpo sarebbe stato sparato dalla barriera che separa la colonia di Psagot, a est di Ramallah, dalla cittadina di al-Bireh. La bambina, colpita al petto, è in gravi condizioni.

Ammesso che si tratti di un colpo palestinese (il pezzo non lo dice, ma quantomeno lo suggerisce via suggestione): quante volte avete letto una notizia simile, in occasione delle quasi quotidiane aggressioni armate dei coloni illegali israeliani, e dell'esercito regolare, alla popolazione palestinese?

("Territori" starebbe per Territori Occupati, ma "Occupati" faccio che non metterlo, non c'è spazio.)
("La polizia", cioè la fonte della notizia, non ho nemmeno bisogno di specificare quale sia.)

04/10/13

Migrazioni

Resta il fatto che ognuno può decidere di vivere la sua vita dove vuole, magari cercandone una migliore, magari semplicemente perché così gli va, e non è necessario fuggire da guerre o persecuzioni perché ciò sia lecito, perché il tuo migrare sia se non accettato almeno capito, perché il luogo dove decidi di andare ti permetta di restare.

02/10/13

Minghia!

Detta così, sembra effettivamente più notizia di quanto non sia: in un pezzo del suo imminente nuovo album, Justin Timberlake campiona Amedeo Minghi (con relativi spin-off, tipo Minghi stesso che annuncia sul suo Facebook il brano come un "featuring", o il sito di Repubblica che parla addirittura di "rifacimento", riuscendo anche a sbagliare il titolo della compilation da cui è tratta la canzone nonostante appaia la copertina proprio lì di fianco).
E tutti pensiamo immediatamente al capello bianco del Maestro, come pare voglia farsi chiamare. Ai trottolini amorosi scambiati con Mietta. Alla melma insostenibile che il musicista romano ci infligge da decenni e alle potenziali autocritiche che l'orrenda novella proveniente da oltreoceano porta con sé. Ma Timberlake non era il-mainstream-che-è-ok-ascoltare? Alzi la mano chi non ha ballato Sexy Back prendendola sul serio. E adesso, torna nel calderone di quelli da non toccare nemmeno con un forcone o ci tocca recuperare su Discogs pezzi pregiati tipo I ricordi del cuore, Come due soli in cielo e Le nuvole e la rosa?

Continua QUI.

13/09/13

La RAI eccetera

Lo speciale della tv nazionale su Lucio Battisti ("Emozioni Gold", complimenti per il titolo) andato in onda ieri passa direttamente da "Una giornata uggiosa" (1980) alla morte (1998).
Tralasciando diciotto anni di vita e altri sei album, caratterizzati tra l'altro da una svolta artistica piuttosto netta.
Nemmeno riproponendo per l'ennesima volta la narrazione del primo Battisti come unico "vero" Battisti, ma proprio dicendo che dal 1980 alla morte fa perdere le sue tracce, testuale o quasi.
Sconcertante, a prescindere da quello che si pensi dei dischi con Panella.
O Mogol ha scritto anche i testi di questa trasmissione, o davvero il giornalismo in Italia sta messo malissimo.

07/09/13

Nel dubbio, Glik

C'è chi le chiama "narrazioni tossiche".

Ieri.
Kamil Glik, difensore polacco del Torino, viene espulso in entrambi i derby con la Juventus del campionato di calcio 2012/2013. A prescindere dalla correttezza delle due decisioni arbitrali, e a prescindere dal tifo di chi scrive per una delle due squadre in questione, Glik diventa il cattivo per antonomasia, adorato dai suoi e additato come pessimo esempio dagli altri.
Con altri intendendo non solo i tifosi della squadra avversaria, ma i commentatori sportivi tutti, sempre pronti a prendere le parti del più forte (nota per i lettori calcistici: tanto moralismo lo ricordate per giocatori decisamente più violenti in bianconero, tipo Montero?), e invece a ignorare o sottovalutare quando il più forte si ritrova a sua volta "colpevole".
Ai giornalisti servono le storie, e un giocatore del Toro espulso in entrambi i derby è una storia.
Il compagno di squadra Policano era tre volte più truce e violento di Pasquale Bruno, ma la storia era Bruno, chissà perché. Forse per il nome un po' buffo, che faceva rima con quel triste soprannome piovutogli addosso (quando era già diventato granata, naturalmente, mica quando giocava per la Signora). Forse perché Policano, a quanto si racconta, era cattivo davvero.
Ecco, la storia che si vede all'orizzonte già quando Glik viene espulso in quel derby di andata è quella di o' Animale. Il Toro è di nuovo in serie A, non possiamo continuare a ignorarlo come quando era in serie B, dobbiamo parlarne, troveremo il modo giusto di parlarne.

(A chi si chiedesse perché il derby di Torino sia l'unico derby non equilibrato, nemmeno sul lungo periodo, del calcio italiano: la Juve compra i giocatori più bravi, e non solo).

Oggi.
Il modo giusto, per esempio questo.


































































Mirko Vucinic è un attaccante montenegrino della Juventus.
Kamil Glik nel frattempo del Torino è diventato il capitano.
Per la qualificazione ai prossimi mondiali in Brasile, si sono sfidate proprio le nazionali di Polonia e Montenegro. Risultato 1-1, ma la notizia che fa rapidamente il giro dei media italiani è un'altra: al 36' del primo tempo Vucinic si è infortunato, per un brutto fallo di Glik.
Guarda caso. Un giocatore della Juve e uno del Toro in campo, e quello della Juve (il più forte, il campione) esce dal campo in barella per un fallaccio di quello del Toro (lo scarso, il cattivo, quello che con mezzi leciti non ce la fa). Questa sì che è una storia!
Sembra una battuta da bar ("Hai sentito? Vucinic si è infortunato con la nazionale, contro la Polonia." "Minchia, e chi gli ha fatto fallo? Glik?") da tanto è scontata, e probabilmente proprio al bar è nata.

Perché è falsa.


(da 44'00" in avanti)

Il fallo su Vucinic non lo ha fatto Glik, lo ha fatto il suo compagno di squadra Artur Jędrzejczyk.
Bastava guardare la partita, o almeno gli highlights, o leggere una cronaca minuto per minuto.

(Non quella ufficiale della UEFA, dove un fallo talmente grave e increscioso manco c'è. Talmente grave che Vucinic stesso si alza da solo per lanciarsi zoppicante verso l'arbitro e protestare, beccandosi un'ammonizione, e ributtandosi a terra subito dopo.
Non quella di Livegoals.com, che segnala il calcio d'angolo ottenuto dal Montenegro dopo che l'arbitro concede la regola del vantaggio al fallo su Vucinic, e l'ammonizione di cui sopra. Ma non il fallo, nè tantomeno Glik).

Bastava volerlo fare, ma poi la storia non c'era più.
Chi lo conosce Jędrzejczyk? Chi è capace anche solo a scrivere o pronunciare il suo nome? Lo pronuncia oggi Kamil Glik, costretto suo malgrado a fare chiarezza. Cioè, è lui a doversi difendersi da un'accusa fasulla, da una panzana nata chissà da chi e chissà come, ma subito presa per vera da tutti.
Con La Stampa - per i non piemontesi: da queste parti il quotidiano di casa Agnelli è tradizionalmente chiamato non con il suo nome, ma con un soprannome eloquente: La Busiarda; poi tutti lo comprano lo stesso, tifosi del Torino compresi - che riesce a strafare, facendo addirittura dire a Vucinic che "Glik è un bravo ragazzo e a tutti capita di sbagliare, ma siamo amici". Il ricco bravo che perdona il povero cattivo, perché non sa quello che fa.
A che giornalista lo ha detto, esattamente?
"Erano circolate voci" è la versione più comune trovata in giro nelle smentite di oggi.
"Circolate voci"? Ma è un rave illegale o una partita di qualificazione ai mondiali di calcio?

03/09/13

Cut the Crap






"Ah, ma esce ancora Rumore? Una volta lo compravo sempre."

Mi sento di lanciare un appello a tutti coloro che almeno una volta negli ultimi undici anni e mezzo - quelli della mia collaborazione con la testata - hanno detto a me o a qualsiasi altro collaboratore la frase di cui sopra.

Sapete chi siete.

Io e gli altri che con me hanno scritto un sacco di cose interessanti mentre voi "la carta stampata non la compro più" vi perdoniamo, se voi andate in edicola e provate a ripartire con noi.

La carta stampata, nel frattempo, pare sia diventata molto chic.

14/06/13

Mutazione




























Insieme all'amico e collega Alberto Campo, ho firmato le note di copertina di questa raccolta, compilata e curata dall'amico ed ex-collega Alessio Nataliza (Walls, Banjo Or Freakout, Not Waving, Disco Drive).

Alberto ha scritto una bel pezzo che racconta il contesto in cui tutto questo successe, l'Italia degli anni di piombo e oltre.
Io ho aggiunto un pippone interminabile sui protagonisti della compilation, i gruppi, gli artisti, le loro storie, la loro musica. Uno di quei pipponi che quando non li trovo in una ristampa che recensisco dico cose tipo "peccato per la mancanza di un booklet adeguato", e quando li trovo invece "apparato critico/iconografico assolutamente all'altezza.
Sono anche onorato di comunicare che il tutto esce all'inizio di agosto per la londinese Strut, una delle mie etichette di ristampe preferite.

Qui di seguito, un paio di estratti che metotno in evidenza la grande varietà sonora del disco e di quegli anni. A seguire, il comunicato stampa ufficiale e la tracklist.










ALESSIO NATALIZIA OF WALLS COMPILES RARE ITALIAN ELECTRONIC & NEW WAVE ON MUTAZIONE


Our latest compilation project explores the under-acknowledged realm of Italian underground electronic music and new wave, recorded during a time of extreme political turmoil during the 80s. "When people think of Italian music, they often think of Italo disco or prog rock," explains compiler Alessio Natalizia of the Kompakt outfit WALLS. "For me, this more experimental end of the new wave scene is the most exciting music to emerge from Italy over the last 30 years and, since much of it was originally released in such limited quantities, it has remained relatively undocumented until now."


In fact, much of the music covered on Mutazione was originally released only on cassette, sometimes in conjunction with fanzines published by political groups whose message was entwined with the music. Stylistically, the music ranges from brooding new wave and post-punk to raw electronic pieces and claustrophobic, whispered vocal cuts. This is some of the most adventurous electronic music we've collected so far on Strut, and an amazing overview of a unique time and aesthetic that has yet to be fully canonized.


Mutazione CDs and LPs will include extensive sleeve notes by two of Italy’s leading music and cultural journalists, Andrea Pomini and Alberto Campo, both now of Rumore magazine. The package also features a wealth of original photos alongside artwork from fanzines, cassettes and LP covers. The collection will be release August 6th on 2 x CD, 2 x LP & digital download.


Tracklist:



CD1
1. DIE FORM – ARE YOU BEFORE
2. NEON – INFORMATIONS OF DEATH
3. GAZNEVADA – GOING UNDERGROUND
4. CARMODY – VULCANI
5. DANIELE CIULLINI & DE REZKE – ANCORA ICONE
6. 0010110000010011 (CANCER) – NAONIAN STYLE
7. VICTROLA – MARITIME TATAMI
8. 2+2=5 – JACHO’S STORY
9. LAXATIVE SOULS – NICCOLAI
10. LA 1919 – SENZA TREGUA
11. WINTER LIGHT – ALWAYS UNIQUE
12. GIOVANOTTI MONDANI MECCANICI – BACK AND FORTH
13. L’ULTIMO ARCANO – 1984-1985

CD2
1. A.T.R.O.X. – AGAINST THE ODDS
2. DORIS NORTON – NORTON APPLE SOFTWARE
3. KIRLIAN CAMERA – EDGES (Original version)
4. SPIROCHETA PERGOLI – ROMERO’S LIVING DEAD
5. LA BAMBOLA DEL DR. CALIGARI – DEEP SKANNER
6. PALE – THE LIVID TRIPTYCH
7. RATS – PLEASE
8. PLATH – I AM STRANGE NOW
9. TASADAY – CRISALIDE
10. LA MAISON – CRITICAL SITUATION
11. SUICIDE DADA – WAITING FOR SEPTEMBER
12. THE TAPES – NERVOUS BREAKDOWN
13. MAURIZIO BIANCHI - AUSCHWITZ

12/06/13

Rumore outtakes





















AA.VV.
Enjoy The Experience - Homemade Records 1958-1992
(Now-Again)


Accompagnamento acustico del possente libro omonimo appena pubblicato da Sinecure Books, tomo definitivo sul lato nordamericano del fenomeno "private press". Ovvero, i dischi pubblicati a spese dell'artista, in poche copie, con distribuzione piccola o nulla, per il puro piacere di farlo e di avere se stessi nello scaffale di fianco a quelli famosi, oppure per diventare famosi loro stessi. Un mondo affascinante non solo alla vista, però.
Agendo in piena libertà, senza aspettative di qualunque genere da soddisfare, gli sconosciuti qui presenti - su doppio vinile o doppio cd, con booklet al solito perfettamente annotato - danno sfogo a ogni impulso creativo, con una naturalezza e una gioia rare. Nove minuti di Elton John Medley, per dire, registrati dai Silk & Silver dal vivo allo Holiday Inn di Salem, Oregon. Ma soprattutto materiale originale, che spazia fra psichedelia e funk, pop-rock e boogie, cantautorato e soul; con risultati alterni ma piacevolissimi, e senza effetto "collezione di mostri", anzi spesso di valore assoluto.
Il che solleva i soliti interrogativi su cosa determini realmente il successo o l'insuccesso di qualcuno, oltre alla musica pura e semplice.

21/05/13

Moderati







































Da un po' di tempo mi ritrovo a pensare al significato del termine "moderato" applicato alla politica italiana. Termine pacato, rassicurante, garanzia di imparzialità e di ragionamento sensato (non "ideologico": avete notato che questo aggettivo invece è usato solo per definire gente di sinistra, e "di sinistra" ne è praticamente diventato il nuovo significato?), di bene collettivo messo prima del bene personale.
Al di là dell'assurdità prima di tutto logica nel definirsi tali sopra ogni altra cosa - ma davvero su qualunque argomento tu non hai una posizione netta, non accomodante e (prendete il respiro) estrema? - noto anche una sua completa soggettività. Perché di posizioni nette, non accomodanti, estreme i cosiddetti moderati ne prendono eccome, in continuazione. Ma per l'opinione pubblica restano "moderati".
E io penso: non è invece un problema di prospettiva? Prendiamone uno a caso, Alfano.
Secondo i canoni interpretativi attuali - non conta cosa dici, ma dove ti poni nello scacchiere - lui si pone con i cattolici, da sempre convenzionalmente occupanti del "centro", quindi è di centro ed è un moderato, e io sono un estremista.
Ma posta come dato non variabile la distanza (enorme) che ci separa, chi l'ha detto che la si possa osservare solo da lui verso di me e non anche al contrario, da me verso di lui?
Visto da qui, Alfano è l'estremista e io sono quello di buon senso, moderato.
Visto da qui, Giovanardi è l'estremista e io sono quello di buon senso, moderato.
Visto da qui, Esposito è l'estremista e io sono quello di buon senso, moderato.
Visto da qui, Netanyahu (che è pure nato lo stesso giorno di mio figlio, mortacci sua) è l'estremista e io sono quello di buon senso, moderato.
Ma evidentemente non funziona così, per i nostri mezzi di comunicazione.

Già, i nostri mezzi di comunicazione. I grandi quotidiani imparziali, moderati pure loro.
Guardate La Stampa come riassume, con il solito e apparentemente inevitabile ricorso alla temibile info-grafica, le posizioni in campo nel referendum bolognese sui finanziamenti comunali alla scuola privata.
A favore? Prodi e Merola. Il padre nobile della attuale sinistra italiana, Presidente della Repubblica mancato per un pelo, fra le poche figure di prestigio internazionale (e non entriamo nel merito della natura di questo prestigio e di chi lo accordi) del nostro paese. E Merola, sindaco della città.
Contrari? Guccini e Scamarcio. Un cantautore ("che ne sa un cantautore di queste cose?") che per i più è simbolo di posizioni bonariamente vetero-comuniste, bello barbone e trasandato nella foto allegata.
E un attore ("che ne sa un attore di queste cose?"), nemmeno bolognese, inizialmente noto come belloccio idolo delle ragazzine e quindi condannato - stante la pigrizia dei nostri mezzi di comunicazione, che hanno appena accettato che Jovanotti non sia più quello del cappelletto al contrario e Gimme Five - a restare tale vita natural durante. Bello fumato nella foto allegata.
Non sapendone nulla, voi con chi andreste? (Ok, anche io andrei con Guccini e Scamarcio, ma ci siamo capiti).
Sicuri che non ci fossero, fra i contrari, due figure paragonabili per peso, ruolo e prestigio, a Prodi e Merola?
Quando la presa di posizione non si vede, ma c'è.

03/05/13

Faccia lei

La fascetta definitiva.
Non più "l'ho visto in tv, quindi vado a comprarlo", ma "se tu mi dici che è andato in tv, lo compro".

30/04/13

Campioni di Cecenia! Campioni di Cecenia! Campioni di Cecenia!



Interessante.

Peccato che:
1) il "campionato ceceno" di calcio non esista.
2) la partita è una partita della Russian Premier League, il campionato della Federazione Russa (di cui la Cecenia è parte)
3) la società Amkar Perm sia della città di Perm, che infatti non è in Cecenia - e non ha senso che partecipi al "campionato ceceno, quindi - ma appunto nella repubblica di Perm, amministrativamente allo stesso livello della cecenia all'interno della Federazione Russa.
4) la "federazione calcistica cecena" non esista (esiste una nazionale non riconosciuta dalla FIFA, quello sì, come in tutti i posti che reclamano in vario modo e grado la loro indipendenza).

Pare ci sia voglia di sottolineare che la cosa (pazza, strana, violenta, assurda) è successa in Cecenia, insomma. Chissà perché.

(Se fosse successo a campi invertiti in casa dell'Amkar avremmo sicuramente letto "Perm: il guardalinee picchia il giocatore", vero?)

09/04/13

Champagne

Come ha scritto oggi un amico, "chissà cosa posteremo quando morirà Berlusconi, magari un articolo di Marco Travaglio".
Qui intanto facevano festa, già trent'anni fa.

01/04/13

Ma forse accadrebbe lo stesso se chiedessi a un tassista romano degli Area

Una lunga intervista al sottoscritto, pubblicata ieri su Mestolate.
Si parla di musica e un po' di cose che le girano intorno.

03/01/13

Natale in India


Ho postato un link a questo post fra i commenti del post di Wu Ming di cui sotto, e fra lì e Twitter qualcuno ha avuto da ridire sull'attendibilità assoluta dei dati (cosa da me peraltro già segnalata nel post stesso, "Non la Bibbia, certo, ma nemmeno Il Giornale" è un modo per dirlo).
La percentuale di stupri effettivamente denunciati varia da paese a paese, così come l'interpretazione più o meno estensiva del termine "violenza sessuale", e dire che in Italia si stupra quattro volte più che in India è effettivamente un errore.
Ma non è questo il punto: non volevo parlare di stupri, e non sono i dati (più o meno attendibili che siano) a dare sostanza a ciò che intendevo dire. Fate finta che il post vero sia questo qui sotto. In coda quello originale, per conoscenza.


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Rimandandovi alla lettura di questo post forte e chiaro di Matteo Miavaldi per Wu Ming, che racconta tutta la vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in maniera asciutta, essenziale e documentata (e per questo, assuefatti come siamo alla versione dominante sui media italiani, rischiando di sembrare paradossalmente di parte), e ribadendo come anche da parte di chi scrive il tutto sia una delle più vergognose manifestazioni di idiozia patriottica e cripto-fascismo viste in Italia negli ultimi decenni, aggiungo un'osservazione. A margine, ma nemmeno troppo.

Guardando i telegiornali e leggendo i giornali italiani nelle ultime settimane - grossomodo dal 23 dicembre, anzi esattamente dal 23 dicembre - sembra che improvvisamente l'India sia diventata la patria dello stupro, che le donne vengano stuprate solo o soprattutto lì, che sia in atto una vera e propria emergenza. (Ai tempi dell'elezione del sindaco di Roma i campioni in carica erano i rumeni, ricordate bene, ma mica si può vincere sempre).
Dal terribile caso dello stupro di gruppo a New Delhi - raccapricciante, ma successo il 16 dicembre, ovvero quasi una settimana prima; ignorato per sei giorni e diventato notizia da prima pagina il 23 - è un bollettino di guerra giornaliero a base di violenze sessuali in ogni stato e in ogni città, con l'India all'onore delle cronache come difficilmente succede nei nostri media a visuale ridotta.

Non suoni come una minimizzazione del problema (non devo nemmeno cominciare a dire cosa penso della violenza sessuale; "Chi mi conosce lo sa", diceva Alberto Tomba), ma da quando lo stupro di una donna in un paese straniero è notizia degna di attenzione altissima per i nostri media? I media di un paese in cui ogni giorno vengono denunciate alle autorità circa tredici violenze sessuali e in cui il cosiddetto "femminicidio" è diventato (quello sì) un'emergenza difficile da ignorare, i media che ogni giorno letteralmente ignorano quello che succede nel 95% del mondo (India compresa) e che nei loro titoli e nei loro articoli veicolano una immagine della donna che, se non incoraggia, certo fornisce una discreta sponda a chi vede il genere femminile come carne a sua disposizione.

Anche tralasciando i dati ONU sulle violenze sessuali (riferiti ai soli stupri denunciati, dicono che in India si denunciano quattro volte meno stupri che in Italia, quattordici meno che negli Stati Uniti, trenta meno che in Svezia e sessanta meno che in Sudafrica), non è che c'è qualche nesso?
Non è che questa scelta delle notizie - formalmente inattaccabile, certo: ovviamente un fatto come quello di New Delhi è grave ed è degno di attenzione, ovviamente ogni stupro lo è - e questa indignazione nascondano dell'altro, e abbiano la data di scadenza stampata sopra?


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Rimandandovi alla lettura di questo post forte e chiaro di Matteo Miavaldi per Wu Ming, che racconta tutta la vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in maniera asciutta, essenziale e documentata (e per questo, assuefatti come siamo alla versione dominante sui media italiani, rischiando di sembrare paradossalmente di parte), e ribadendo come anche da parte di chi scrive il tutto sia una delle più vergognose manifestazioni di idiozia patriottica e cripto-fascismo viste in Italia negli ultimi decenni, aggiungo un'osservazione. A margine, ma nemmeno troppo.

Guardando i telegiornali e leggendo i giornali italiani nelle ultime settimane - grossomodo dal 23 dicembre, anzi esattamente dal 23 dicembre - sembra che improvvisamente l'India sia diventata la patria dello stupro, che le donne vengano stuprate solo o soprattutto lì, che sia in atto una vera e propria emergenza. (Ai tempi dell'elezione del sindaco di Roma i campioni in carica erano i rumeni, ricordate bene, ma mica si può vincere sempre).
Dal terribile caso dello stupro di gruppo a New Delhi - raccapricciante, ma successo il 16 dicembre, ovvero quasi una settimana prima; ignorato per sei giorni e diventato notizia da prima pagina il 23 - è un bollettino di guerra giornaliero a base di violenze sessuali in ogni stato e in ogni città, con l'India all'onore delle cronache come difficilmente succede nei nostri media a visuale ridotta.

Sta tutto lì, basta avere la voglia e la capacità davvero minima di andare a vedere.
Come quasi sempre capita, basta farsi domande semplici e saper trovare in giro le risposte. Basta una banalissima pagina Wikipedia, in questo caso: quella delle statistiche ONU sugli stupri. Non la Bibbia, certo, ma nemmeno Il Giornale.
Guardiamo il numero di stupri ogni centomila abitanti e fermiamoci al 2006, perché i dati indiani vanno avanti fino al 2010 ma quelli italiani finiscono lì.

India: 1.7
Italia: 7.6

Cioè, in Italia si stupra più del quadruplo che in India.
Con una progressione tra l'altro inquietante (4.7 nel 2003, 6.4 nel 2004, 6.9 nel 2005; e dati Istat dicono circa 8 nel 2010) rispetto al quasi impercettibile aumento indiano (1.6 nel 2004, idem nel 2005, 1.7 appunto nel 2006, 1.8 fisso dal 2007 al 2010).
Nulla in confronto al Sudafrica (120) e al Botswana (92.9), ma anche in confronto alle civilissime Australia (79.5) e Svezia (63.5), o al comunque soddisfacente 27.3 degli Stati Uniti d'America.

Quindi?

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