25/01/09

Se la cercano



Berlusconi: "Ci vorrebbero tanti soldati quante sono le belle ragazze italiane".
Per questa ci vorrebbe davvero un bel commento interessante e dettagliato, ma proprio non ci riesco.

22/01/09

Lidl by Lidl



Anche una nota catena di supermercati prende nota di quanto i tempi siano a-changin'.
Che tutto ciò accada durante la settimana dei prodotti americani - con burro di arachidi, bagel, popcorn e patatine e quant'altro in offerta - e che la settimana dei prodotti americani sia proprio questa settimana è solo una coincidenza, o l'ufficio marketing della Lidl merita un bell'high five?

19/01/09

Where are your friends tonight?



Visto W. di Oliver Stone.
Pensare che alcune decisioni riguardanti la vita, e soprattutto la morte, di migliaia di persone siano state prese in quella maniera fa sempre male. Pensare che uno zero del genere, dopo anni spesi a fare assolutamente nulla se non danni, sia riuscito a diventare quello che è diventato e a convincere metà del suo popolo - voto più voto meno, in Florida soprattutto - di essere l'uomo giusto da eleggere e rieleggere, fa altrettanto male.
(So a cosa state pensando, e mi costa un bel po' dirlo: il nostro almeno qualche cosa concreta prima di scendere in campo l'ha fatta, questo proprio niente cazzo! Anzi, una cosa sì, il presidente di una squadra. Di baseball, che avevate capito? E poi Silvio il babbo Presidente non l'ha mai avuto!)

Sono tutti momenti che il film mostra in modo molto verosimile. Didascalico forse, ma efficace, e quindi altamente irritante.
Quasi altrettanto irritante è però un'altra considerazione, che viene spontanea soprattutto dopo aver preso nota delle parole recenti dello stesso Bush, delle ammissioni sulla totale inesistenza delle armi di distruzione di massa in Iraq, delle poche righe che la notizia ha guadagnato sui giornali e nei telegiornali, della corsa a dire quanto scemo sia questo Bush: è un po' facile, adesso. Sa di spari sulla Croce Rossa. Di accanimento un po' vigliacchetto su uno che ormai è stato abbandonato da tutti, nemici e amici, e del quale dice bene ormai soltanto il nostro Presidente del Consiglio.

Oliver Stone negli ultimi otto anni dove era?
Fare il film nel 2004 pareva brutto?
Tutte queste cose sul conto del criminale impunito George Walker Bush, sapute e risapute, al grande regista radical le hanno dette di recente?


LCD Soundsystem All My Friends

Allegati

15/01/09

A prescindere



Sempre per la serie "Le parole sono importanti", che come avrete capito mi appassiona molto e rischia di diventare lunga quanto Beautiful.

Tutti i mezzi di informazione sottolineano con gran cura che Emmanuel Bonsu, lo studente ghanese picchiato e insultato a Parma lo scorso 29 settembre da un certo numero di Vigili Urbani in servizio, era stato scambiato per uno spacciatore.
Come se il dato facesse qualche sorta di differenza.
Come a dire che sta lì, nell'errore (commesso per il bene del cittadino!) e non nella violenza ignorante e nel razzismo di chi dovrebbe proteggerci, la gravità della vicenda.

Fosse stato uno spacciatore, seguiamo il filo logico del ragionamento, sarebbe stato diverso. Anche se solo sospettato, anche se non ancora giudicato colpevole da un tribunale, anche se le pene corporali e le umiliazioni non fanno parte del nostro codice penale: se lo sarebbe cercato e meritato, su.
Non ci sarebbe stata notizia.
E tanti di quelli convinti che non sia loro figlio a chiedere la droga, ma il faccetta nera ad obbligarlo a comprarla, avrebbero probabilmente approvato il comportamento dei Vigili Urbani di Parma. Altro che leggi e leggine, giù legnate e via a casa sua.

Seguono quindi i soliti interrogativi abbastanza inquietanti: con gli spacciatori è quella la prassi? Qualcun altro è stato "scambiato per uno spacciatore"? Qualcuno che lo era sul serio ha ricevuto lo stesso trattamento (senza ovviamente la possibilità di far scoppiare il caso)? Menare in tanti contro uno e insultare per il colore della pelle non è un comportamento grave e inqualificabile a prescindere? E non diventa ancora più grave se sono le forze dell'ordine a rendersene protagoniste, quand'anche con individui che hanno commesso un reato?

Piccoli annunci

A tutti i bolognesi o simili: domattina su Radio Città del Capo, all'interno di Angolo B, si parla di tutta la questione. Quindi doppiaggi maldestri, The Millionaire, etc etc.
La trasmissione va in onda dalle 8.30 alle 9.30, io arrivo verso le 8.50, altrimenti c'è lo streaming.

(Per tutti i torinesi o simili, invece, qualcosa di più social: sempre domani, dalle 19.30 in avanti, metto dischi insieme a Giorgio Valletta da Amantes, in via Principe Tommaso).

14/01/09

Nel dubbio, Osama



Qualche aggiornamento sulla faccenda.
Intanto, interpellata ieri da Repubblica, la società che distribuisce il film in Italia (Lucky Red) dichiara che di disattenzione si è trattato: "Sì ci siamo sbagliati, ce ne siamo accorti quando le 106 copie del film erano in circolazione."
Chiede la giornalista: come è potuta accadere una simile "svista", in un momento tra l'altro così delicato? "La scena è concitata e l'audio non era chiarissimo. Il traduttore ha inteso male. É una disattenzione, più che un errore."
Si chiude quindi con la prima notizia buona: nella versione dvd, di prossima uscita, la magagna verrà corretta. Notizia non virgolettata, e quindi lasciata un po' a metà fra la dichiarazione ufficiale e l'auspicio, sacrosanto, della giornalista (e dei lettori con lei) che la cosa sia talmente ovvia da non richiedere dichiarazione ufficiale. Staremo a vedere.
(Aggiornamento: lo hanno proprio detto loro, nel dvd correggeranno)

Concordo comunque con chi commentando ha parlato di sciatteria, tipicamente italiana. Ugualmente colpevole, sia chiaro.
Una settimana dopo la strage di Mumbai, in mancanza di rivendicazioni attendibili, quella scena suona come una bella rivendicazione "indotta" e molto simbolica.
Ma non penso si sia trattato di una decisione coscientemente e chirurgicamente politica. Piuttosto, di una sorta di lapsus, da parte delle varie figure coinvolte (traduttore, dialoghista, correttore, responsabile del doppiaggio). Il che è se possibile ancora più grave, non tanto in termini di responsabilità individuale loro, quanto in termini di stato delle cose della società italiana.
L'episodio dice infatti di quanto certi preconcetti siano entrati a fondo nel nostro subconscio. Anche la sciatteria risponde a dei riflessi condizionati, non è mai del tutto pura. Nel dubbio, il traduttore ha scelto la soluzione per lui più plausibile, verosimile, normale: sono i musulmani che fanno quelle cose, è ovvio.
Anche se è lui stesso che ha poi tradotto il resto del film, con tutti i vari segni evidenti di islamismo nei protagonisti. Ma forse non aveva i mezzi culturali per rendersene conto, e questo è un altro grosso problema che riguarda tutte le traduzioni (vedi anche i libri, come quelli musicali in cui vengono tradotti titoli di canzoni come fossero invece discorso). O forse aveva poco tempo per consegnare e non si è fatto troppi scrupoli. Sapendo che mettere i musulmani nella parte dei cattivi è sempre meglio del contrario.

Il tutto potrebbe anche scatenare mille discussioni sul perchè il doppiaggio dei film resista così tenacemente qui in Italia (tanto per citare un Paese che consideriamo di gran lunga inferiore al nostro: è stato bello accendere la televisione in un bed & breakfast di Gjirokastër quest'estate, e scoprire che in Albania i film li danno in originale con i sottotitoli), al di là del mito/realtà della lobby potentissima dei doppiatori che ogni volta viene tirata in ballo.
Dai commenti al post precedente (grazie!) scopro che "in Europa è una tradizione dei Paesi che tra le due guerre mondiali del XX sec. erano sotto dittatura: Spagna, Germania e Italia. Durante Franco in Spagna il doppiaggio divenne obbligatorio. In Italia, a causa della censura cinematografica istituita con il decreto Giolitti del 1914, non era possibile, dopo l’avvento del sonoro, proiettare i film stranieri nella versione originale con le vere voci degli attori e la chiarificazione dei sottotitoli. Il “Regolamento per l’esecuzione della legge 25 Giugno 1913, n. 785, relativa alla vigilanza sulle pellicole cinematografiche” approvato con Regio decreto 31 Maggio 1914, n. 352, recitava così in chiusura dell’articolo 3: “I titoli, i sottotitoli e le scritture, tanto sulla pellicola quanto sugli esemplari della domanda, debbono essere in corretta lingua italiana. Possono tuttavia essere espressi anche in lingua straniera, purché riprodotti fedelmente e correttamente anche in lingua italiana”

L'amico Max mi segnala nel frattempo un episodio speculare e altrettanto sconcertante, forse anche più per la malafede lampante. Un esempio di intervento censorio classico dall'alto, e non dal basso come quello di The Millionaire: "In 007 GoldenEye nella prima scena si vede un mercato illegale di armi inquadrato dal binocolo di James Bond e commentato sugli schermi del MI6. A un certo punto il labiale originale dice "italian mines", prontamente tradotto con un "mine cilene"."
L'Italia è nota come uno dei maggiori produttori mondiali di mine, nostro prodotto tipico tanto quanto gli spaghetti o l'alta moda. Dire "mine italiane" è un po' come dire "riso thailandese" o "caffè brasiliano". Ma noi siamo quelli buoni che tutto il mondo ama, quelli che fanno le missioni di pace con i bambini che sorridono ai soldati. Meglio non rovinare il quadretto. Meglio il Cile, che evoca disordine, colpi di stato, dittature, Sudamerica, morti, repressione.

Quali che siano le ragioni, i risultati di questa politica sono evidenti: oltre alla beata ignoranza su questioni importanti come quella appena detta (purtroppo non nuova: siamo o non siamo il popolo al quale hanno raccontato con successo che per 40 anni hanno governato i comunisti?) ne deriva un'ignoranza più sottile, ma generatrice di ignoranza a sua volta. La gente qui non sa le lingue, nemmeno quelle quattro cose elementari. La gente qui si imbarazza quando deve parlarle, e anche chi non dovrebbe fa errori di pronuncia imperdonabili, dice "nome impronunciabile" appena vede tre consonanti vicine, cade nel panico, pronuncia una volta in un modo e una volta in un altro. Dal telegiornale alle telecronache delle partite di calcio alle pubblicità: gente che ci dovrebbe insegnare a parlare, e invece fatica persino con l'abc.
Sapere le lingue vuol dire sapere almeno un po' anche le culture che queste lingue veicolano, vivere meglio, ragionare, accettare. Averne paura è anche un po' avere paura di chi le parla.

PS - Rettifica doverosa: Salim nella verisone originale dice proprio "God is great".
PPS - Qui oppure qui uno dei contributi di M.I.A. alla colonna sonora del film: O Saya, un brano realizzato in collaborazione con il re delle colonne sonore indiane A. R. Rahman.

11/01/09

Lost in translation



(Premessa: in questo post si parla di media, non di religione, non di politica)

Chi mi conosce sa che sono piuttosto pignolo, e lo considero un pregio. Aggiungete un paio di esami di semiotica all'università, e una conseguente passione per i particolari, soprattutto quando rivelano i meccanismi attraverso i quali i media funzionano. Corsivo del tutto intenzionale.

Torno ora dal cinema, The Millionaire di Danny Boyle.
Mi è piaciuto, ma da un certo punto in avanti ho avuto una pulce nell'orecchio che non me lo ha fatto godere appieno. Quando ho realizzato che la pulce aveva ragione, hanno cominciato a girarmi i coglioni.

I due bambini protagonisti della pellicola, a un certo punto, vedono assassinata la madre davanti ai loro occhi. Un lavatoio pieno di donne che lavano e bambini che giocano felici viene assaltato a sangue freddo da un centinaio di uomini inferociti, armati di bastoni e molotov, che picchiano e bruciano senza pietà tutto quello che si trovano di fronte. Compresa la povera madre dei due bambini. Una scena di violenza gratuita che segna lo spettatore, e gli avvenimenti che seguiranno.

Una voce si ode chiaramente fra le urla e i rumori: "Aiuto, sono musulmani, scappiamo".

L'anziano signore nella fila dietro spiega alla moglie che non ha capito: "Sono i musulmani".
In molte recensioni del film trovate in rete si legge: "Madre morta durante un'aggressione da parte di musulmani".
Il pubblico in senso lato spiega a se stesso: "Sono i musulmani".

Ogni giorno giornali e telegiornali ci dicono in ogni maniera esplicita o meno che i cattivi, i fondamentalisti (quanti di noi conoscono il significato della parola?), gli integralisti (idem) sono i musulmani. Cioè circa un miliardo e mezzo di persone, suppergiù.
Il film si svolge inoltre a Mumbai, recentemente teatro di una terribile strage che, nel dubbio, ci è stata immancabilmente raccontata come attacco terroristico di matrice islamica. Senza fonti o quasi. Dice la pagina Wikipedia della città stessa: "Il 26 novembre del 2008 si è verificata una serie di gravi attentati terroristici di verosimile rivendicazione integralista islamica che hanno causato 195 vittime e 295 feriti (bilancio ancora provvisorio). Gli attentati sono stati rivendicati da un gruppo islamico pressoché sconosciuto, i Mujaheddin del Deccan. Il gruppo ha inviato messaggi di posta elettronica a vari organi di stampa."

"Il gruppo ha inviato messaggi di posta elettronica a vari organi di stampa". Ah, beh! Una bella mail di rivendicazione che se vuole può fare pure mio cuginetto, si apre un bell'account e via. Come sempre, per i media internet è a seconda dei casi e delle convenienze il massimo dell'attendibilità oppure l'ennesima cosa stramba da americani.


Mumbai, 26 novembre 2008. Il film esce negli Stati Uniti il 12 novembre 2008, quindi prima.
In italia il 5 dicembre 2008, quindi dopo. Perchè è importante?
Perchè una voce si ode chiaramente fra le urla e i rumori: "Aiuto, sono musulmani, scappiamo". Una voce che, con ogni probabilità, nella versione originale non c'è. O dice altro, come vedremo.
Perchè?
Perchè i due fratelli protagonisti, e quindi presumibilmente anche la madre, sono evidentemente musulmani.
C'è scritto in ogni recensione estera del film, intanto, e anche in qualche recensione italiana. C'è scritto nei riassunti della trama precucinati per i siti specializzati esteri. E poi: si chiamano Jamal Malik e Salim Malik, nomi non molto cristiani e nemmeno molto indù. E poi: Jamal dice chiaramente di ricordare suo malgrado benissimo Rama, divinità indù, da lui associata per sempre alla morte della madre. E poi: a un certo punto Salim prega rivolto verso la Mecca su un tappetino, nella classica postura in cui pregano i musulmani. Salim stesso più volte nel film esclama convinto un "Dio è grande" che sa molto del classico "Allahu Akbar", ma che forse pareva brutto tradurre con "Allah è grande". Per non urtare la suscettibilità del pubblico italiano, probabilmente.

E poi: basta un minimo di conoscenza dell'India e delle sue vicende per capire che è molto più probabile il contrario, che assalti del genere e con tali modalità sono abbastanza tipici delle frange più fanatiche della maggioranza indù. In una nazione dove i musulmani sono sì 150 milioni, ma sono solo il 13% della popolazione totale. E subiscono da anni attacchi del genere, con moschee rase al suolo e morti in quantità ben più elevate rispetto alla strage di Mumbai, che però chissà come hanno sempre pochissima risonanza sui media occidentali e italiani in particolare.
Basta aver letto il bellissimo articolo di Arundhati Roy sul recente numero 775 di Internazionale, che come sempre sembra un giornale rivoluzionario per il semplice darci notizie alle quali non avremmo altrimenti accesso. Oppure il libro/reportage In Vespa di Giorgio Bettinelli, quando l'autore racconta di essersi trovato in una Calcutta messa a ferro e fuoco per giorni da centinaia di indù armati, inneggianti al dio Rama nel dare la caccia ai musulmani.

Ma soprattutto, sono musulmani perchè lo dice Danny Boyle stesso, in questa interessante intervista incentrata proprio sui temi religiosi del film (non a caso elogiato da vari musulmani proprio per le caratteristiche normali e per nulla associate a terrorismo o violenze varie che hanno il personaggio di Jamal e quello della sua amata Latika):

Domanda: "Che ruolo gioca l'essere musulmano di Jamal?"
Risposta: "Molto importante all'inizio, perchè sua madre viene uccisa in un disordine, un disordine religioso scatenato da nazionalisti indù di destra."

Inoltre: in una versione italiana scaricata (grazie a Marina per il preciso resoconto), non appena la madre viene colpita a morte e si sente la voce urlare "Aiuto, sono musulmani, scappiamo", appare un sottotitolo inglese, che al cinema non ricordo di aver visto. Probabilmente si tratta del dvd, nella versione originale quella parte è in hindi ed è stata lasciata così ricorrendo ai sottotitoli inglesi. Il sottotitolo dice: "They're muslims, get them!!!". Che non si traduce con "Aiuto, sono musulmani, scappiamo", bensì con "Sono musulmani, prendeteli!!!". A parlare è un aggressore, non un aggredito. E la differenza è sostanziale, enorme.

Insomma, l'incongruenza è lampante.

Un caso? Mah.
Un errore in buona fede? Già più probabile. Davvero grossolano, se così fosse.
Ma a pensar male... Una frase sola in un film di due ore, che sarà mai? Una di quelle finezze che da sole significano qualcosa solo per i pignoli con qualche lontano esame di semiotica, ma che tutte insieme e sottopelle fanno il loro dovere. Ribaltano significati, creano opinioni, spostano voti, cambiano modi di vivere, generano divisioni, costruiscono consenso e magari anche uccidono. L'accendiamo? L'accendiamo.

E Boyle, lo sa?

PS - La stessa Marina mi conferma un altro particolare, che leva gli ultimi dubbi e fa escludere quasi con certezza l'ipotesi della buona fede: la voce italiana che dice "Aiuto, sono musulmani, scappiamo" è una voce di donna, come donne (e bambini) sono tutte le persone aggredite. Gli aggressori sono invece tutti uomini, ed è quindi sicuro che nell'originale la voce che dice "They're muslims, get them!!!" fosse invece una voce maschile. Dovendo cambiare il significato, era necessario anche questo.

08/01/09

"Who's the terrorist now?" (MDC)

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?
di Mustafa Barghouti
(Ex Ministro dell'Informazione del governo di unità nazionale palestinese)

Ramallah, 27 dicembre 2008

E leggerò domani, sui vostri giornali,
che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una
forma di pace, quel campo di
concentramento falciato dalla fame e dalla sete.
E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra?
Dalla ragioneria dei morti? E i bambini
consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in
sala operatoria?
Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si
chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che
tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo,
inviolabile diritto di autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo,
i suoi muscoli nucleari contro razzi di
latta, e cartapesta e disperazione.
E mi sarà precisato naturalmente, che no,
questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte,
ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che
chiacchierano di Palestina, qui all'angolo
della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza,
e dunque un gruppo illegale,
una forza combattente? - se nei documenti
ufficiali siamo marchiati come entità nemica,
e senza più il minimo argine etico, il cancro di
Israele?
Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia,
a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della
democrazia - ma quale altra opzione rimane?
Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.
Non è il fondamentalismo, a essere
bombardato in questo momento, ma tutto
quello che qui si oppone al fondamentalismo.
Tutto quello che a questa ferocia indistinta
non restituisce gratuito un odio uguale e
contrario, ma una parola scalza di dialogo,
la lucidità di ragionare
il coraggio di disertare - non è
un attacco contro il terrorismo,
questo, ma contro l'altra Palestina,
terza e diversa, mentre schiva
missili stretta tra la complicità di
Fatah e la miopia di Hamas.
Stava per assassinarmi per autodifesa, ho
dovuto assassinarlo per autodifesa -
la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani,
che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli
israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con
cui parlare. E effettivamente -
e ma come potrebbero mai averlo,
trincerati dietro otto metri di cemento di Muro?
E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo
l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica
internazionale?
Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli
attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non
intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti,
come - testuale - gli attacchi contro i civili.
Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto,
è un crimine di guerra non una questione di cortesia.
E se Annapolis è un processo di pace, mentre
l'unica mappa che procede sono qui intanto le
terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti
allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita?
La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di
tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di
reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento.
Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi
leggerò solo, ancora, l'indifferenza.
Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano
la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io
conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito
abbandono e smarrimento.
Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la
sovranità egiziana, al varco di Rafah, la
morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli.
Sfilate qui, delegazione dopo delegazione -
e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole
restano nell'aria, come sugheri sull'acqua.
Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo
dignità, libertà, frontiere aperte,
non chiediamo favori, rivendichiamo diritti.
E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa
potete fare per noi. Una scuola?
Una clinica forse? Delle borse di
studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa
solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni,
sanzioni contro Israele.
Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e
dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei
vincitori - no, sarebbe antisemita.
Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele
passo a passo per sessant'anni,
fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per
gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un
ghetto da entrambi i lati?
Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi
palestinesi la sua schiuma della terra,
è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e
la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico,
che sarebbero stati infine gli inglesi stessi?
No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto,
sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah
chiamata sionismo.
Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo,
ma contro l'altro Israele, terzo e diverso,
mentre schiva il pensiero unico stretto tra la
complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali.
Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza.
Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio.
Perché non importa che le politiche israeliane,
tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni
delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo
aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che
l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda
e moltiplica la forza dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra
neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni.
Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro.
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

3 gennaio 2009

06/01/09

"Le parole sono importanti"

Qualcuno ha ancora il coraggio di chiamarlo "conflitto tra Hamas e l'esercito israeliano."
Quasi tutti, a ben vedere.

02/01/09

E chi non canta resta a casa / 6

Per inaugurare l'anno nuovo, un altro post nella serie dedicata ai matrimoni insoliti fra cori da stadio e musica pop-rock di qualità. Ancora una volta, ad essere protagonisti sono i caldissimi e competentissimi tifosi dell'FC United Of Manchester, con una rielaborazione del classico di Woody Guthrie This Land Is Your Land. Sempre dedicato, come prevedibile, alle circostanze che hanno portato alla nascita del team.

This badge is your badge
This badge is my badge
Three stripes and three sails
Oh what a fine badge
They tried to take it
but we've replaced it
on the shirt of United FC

Qui i soliti, inarrivabili Red Rebels:


Qui Woody Guthrie (mai letta la sua autobiografia?):


Qui la versione di Johnny Cash:

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