d9. Wu-Tang Clan “Iron Flag” 2001. (cd Loud, nuovo, € 17.52, AMG)
La sorpresa è grande quando, non so bene come, capito su una recensione di tal album “Iron Flag” a firma Wu-Tang Clan. E che cazzo è? Il nuovo! Il nuovo!
Cosa volete che vi dica, l’evoluzione dell’hip-hop starà pure altrove, ma con il Clan tocca fare i conti lo stesso. Dove l’eterogeneo, forse dispersivo, ma sottovalutato “The W” cercava di allargare l’orizzonte sonoro di riferimento, questo “Iron Flag” suona compatto e scorre liscio dall’inizio alla fine.
Posto in apertura, l’incedere incalzante di “In The Hood” fa sperare in un aggiornamento degli stilemi tipici, ma purtroppo non è sempre così. Si stemperano decisamente le atmosfere drammatiche che hanno reso celebre il gruppo, che nel prosieguo dell’album osa solo qua e là (la scarna e tribale “Soul Power” con featuring di Flavor Flav), sopperisce con il mestiere dove l’ispirazione sembra vacillare, infila una manciata di classici (“Ya’ll Been Warned” su tutti, centro-per-cento Wu) e due featuring di prestigio (Ron Isley, oltre al citato Flav) e alla fine se la cava comunque.
I miei uomini? GZA e Method, ma è facile, e pure Inspectah Deck. La scheggia impazzita ODB manca, e si sente.
Il mio Wu-album preferito? Sempre “Liquid Swords”, ancora imbattuto.
29/01/02
25/01/02
f4. “Furore” di John Ford, 1940. (AMG).
Proiezione pomeridiana per gli studenti di Storia e Critica del Cinema 1, presenti in sala circa dieci. Io e colei che accompagno siamo più o meno gli unici under 50, di studenti nemmeno l’ombra. Io ho dato anche Storia e Critica del Cinema 2, poi mi sono fermato a metà esami e sul modulo da compilare per ricevere il programma del cinema a casa ho scritto “?” e poi “musicista”. Lei li ha dati tutti, si è laureata e sul modulo ha scritto “montatore”. Quando si dice due che spaccano.
“Furore” di John Ford, tratto da Steinbeck… la migrazione di migliaia di contadini dall’Oklahoma arso dalla carestia verso le promesse non mantenute della California… epico sarebbe una parola scontata, ma la uso ugualmente. Ed epiche sono anche le condizioni della nostra visione: frusto bianco e nero, edizione originale senza sottotitoli o traduzione simultanea, accento pesantissimo e smangiucchiato… dura prova anche per un master dell’anglo-americano come me… meno male che il libro l’ho letto.
Del monolitico capolavoro scritto il film prende per forza di cose gli eventi salienti, tagliando i raccordi e perdendo quel senso di costruzione di una storia epocale che pagina dopo pagina cresce leggendo il libro.
Ne rende però una versione incredibilmente potenziata dalle immagini. Le riprese sono perfette, alcune scene di una tristezza agghiacciante, gli sguardi disperati dei personaggi esattamente quelli che ci si aspetta di vedere (il solo Henry Fonda nella parte del protagonista Tom Joad sembra un po’ impostato). Il messaggio finale di fiducia nelle possibilità della gente è intatto.
Commovente.
Proiezione pomeridiana per gli studenti di Storia e Critica del Cinema 1, presenti in sala circa dieci. Io e colei che accompagno siamo più o meno gli unici under 50, di studenti nemmeno l’ombra. Io ho dato anche Storia e Critica del Cinema 2, poi mi sono fermato a metà esami e sul modulo da compilare per ricevere il programma del cinema a casa ho scritto “?” e poi “musicista”. Lei li ha dati tutti, si è laureata e sul modulo ha scritto “montatore”. Quando si dice due che spaccano.
“Furore” di John Ford, tratto da Steinbeck… la migrazione di migliaia di contadini dall’Oklahoma arso dalla carestia verso le promesse non mantenute della California… epico sarebbe una parola scontata, ma la uso ugualmente. Ed epiche sono anche le condizioni della nostra visione: frusto bianco e nero, edizione originale senza sottotitoli o traduzione simultanea, accento pesantissimo e smangiucchiato… dura prova anche per un master dell’anglo-americano come me… meno male che il libro l’ho letto.
Del monolitico capolavoro scritto il film prende per forza di cose gli eventi salienti, tagliando i raccordi e perdendo quel senso di costruzione di una storia epocale che pagina dopo pagina cresce leggendo il libro.
Ne rende però una versione incredibilmente potenziata dalle immagini. Le riprese sono perfette, alcune scene di una tristezza agghiacciante, gli sguardi disperati dei personaggi esattamente quelli che ci si aspetta di vedere (il solo Henry Fonda nella parte del protagonista Tom Joad sembra un po’ impostato). Il messaggio finale di fiducia nelle possibilità della gente è intatto.
Commovente.
24/01/02
Non comincio nemmeno a raccontarvi come e perchè e quando e dove, vi passo solo l'informazione nuda a cruda.
"Inzirli 1990.96" (cd) e "Inzirli - Una Storia Per Caso" (libro) raccontano in suoni e in parole la storia degli Inzirli, punk band friulana.
Con loro ho condiviso molte cose. Se sono quello che sono è anche grazie a loro. Se vi ritrovate minimamente in quello che scrivo, dovete averli senza scuse.
Love Boat li distribuisce entrambi. Oppure contattate direttamente Max, Oscar, Gb e Marco.
"Inzirli 1990.96" (cd) e "Inzirli - Una Storia Per Caso" (libro) raccontano in suoni e in parole la storia degli Inzirli, punk band friulana.
Con loro ho condiviso molte cose. Se sono quello che sono è anche grazie a loro. Se vi ritrovate minimamente in quello che scrivo, dovete averli senza scuse.
Love Boat li distribuisce entrambi. Oppure contattate direttamente Max, Oscar, Gb e Marco.
23/01/02
Via Po, di ritorno dal cinema pomeridiano, prendo la strada più lunga.
Nella vetrina del negozio di dischi usati non c'è nulla di interessante, e il poco pudore rimasto mi impedisce di entrare. Ma entro in libreria poco più avanti.
"Esco A Fare Due Passi", di Fabio Volo. E "Canne Al Vento", di Grazia Deledda. Che coppia, i due. La commessa avrà pensato che stessi recuperando regali di natale a due persone diverse, o che fossi pazzo. Ma non me li sono fatti incartare, non dovrei essere pazzo e probabilmente nemmeno così platealmente eccentrico come la scelta farebbe pensare.
Trovo Fabio Volo simpatico e intelligente. La sua trasmissione su Deejay rendeva meno miserabile lo svegliarmi ogni mattina per andare a fare il tragico lavoro che facevo fino a tre mesi fa (non chiedetemi cosa facevo perchè, e dico sul serio, non saprei cosa dirvi). Il suo libro lo adocchiavo già da un po', ma devo ammettere che la scritta "8900 lire" su fondo oro faceva la sua parte.
Grazia Deledda mi è tornata in mente ieri sera a cena.
Eravamo in quattro, più o meno trentenni, e parlavamo di libri e film con la televisione spenta.
Ed è tutto vero, cristo. Ma allora succedono davvero queste cose? Comunque, sono sempre lo stesso, e se perdo una puntata di "Centovetrine" è sempre una piccola tragedia.
Grazia Deledda... mi ha sempre affascinato l'ìdea di questa scrittrice donna e sarda di inizio secolo. Sono un continentale irrecuperabile al 100%, ma ho metà parenti in Sardegna, e adoro tutto quello che riguarda l'isola. Ogni tanto vado pure a prendere il caffè nel bar di via San Pio V, dove è servita birra Ichnusa e si legge "L'Unione Sarda".
Ho letto "Elias Portolu" e "La Madre", rimanendone malinconicamente estasiato, ma non il più celebre di tutti, appunto "Canne Al Vento".
Grazia Deledda mi è tornata in mente ieri sera discutendo di una presunta superiorità dei classici sui libri attuali. Io sui classici sono carente. Ne leggo, ma se devo proprio scegliere scelgo un libro nuovo, magari mediocre, magari completamente dimenticato fra un mese, ma di adesso.
Rispetto a cento o duecento anni fa esce un'enormità di libri, e più persone li leggono, ma anche cento o duecento anni fa saranno usciti dei libri di merda, o no? Forse la percentuale sul totale era soltanto un po' diversa. Ma difficilmente mi sentirete dire che "con i classici non c'è paragone" o roba simile. In attesa che i miei libri di adesso diventino dei classici, ovvio.
Ok, forse non quello di Fabio Volo. Che però va letto oggi, oppure non va letto per niente.
Nella vetrina del negozio di dischi usati non c'è nulla di interessante, e il poco pudore rimasto mi impedisce di entrare. Ma entro in libreria poco più avanti.
"Esco A Fare Due Passi", di Fabio Volo. E "Canne Al Vento", di Grazia Deledda. Che coppia, i due. La commessa avrà pensato che stessi recuperando regali di natale a due persone diverse, o che fossi pazzo. Ma non me li sono fatti incartare, non dovrei essere pazzo e probabilmente nemmeno così platealmente eccentrico come la scelta farebbe pensare.
Trovo Fabio Volo simpatico e intelligente. La sua trasmissione su Deejay rendeva meno miserabile lo svegliarmi ogni mattina per andare a fare il tragico lavoro che facevo fino a tre mesi fa (non chiedetemi cosa facevo perchè, e dico sul serio, non saprei cosa dirvi). Il suo libro lo adocchiavo già da un po', ma devo ammettere che la scritta "8900 lire" su fondo oro faceva la sua parte.
Grazia Deledda mi è tornata in mente ieri sera a cena.
Eravamo in quattro, più o meno trentenni, e parlavamo di libri e film con la televisione spenta.
Ed è tutto vero, cristo. Ma allora succedono davvero queste cose? Comunque, sono sempre lo stesso, e se perdo una puntata di "Centovetrine" è sempre una piccola tragedia.
Grazia Deledda... mi ha sempre affascinato l'ìdea di questa scrittrice donna e sarda di inizio secolo. Sono un continentale irrecuperabile al 100%, ma ho metà parenti in Sardegna, e adoro tutto quello che riguarda l'isola. Ogni tanto vado pure a prendere il caffè nel bar di via San Pio V, dove è servita birra Ichnusa e si legge "L'Unione Sarda".
Ho letto "Elias Portolu" e "La Madre", rimanendone malinconicamente estasiato, ma non il più celebre di tutti, appunto "Canne Al Vento".
Grazia Deledda mi è tornata in mente ieri sera discutendo di una presunta superiorità dei classici sui libri attuali. Io sui classici sono carente. Ne leggo, ma se devo proprio scegliere scelgo un libro nuovo, magari mediocre, magari completamente dimenticato fra un mese, ma di adesso.
Rispetto a cento o duecento anni fa esce un'enormità di libri, e più persone li leggono, ma anche cento o duecento anni fa saranno usciti dei libri di merda, o no? Forse la percentuale sul totale era soltanto un po' diversa. Ma difficilmente mi sentirete dire che "con i classici non c'è paragone" o roba simile. In attesa che i miei libri di adesso diventino dei classici, ovvio.
Ok, forse non quello di Fabio Volo. Che però va letto oggi, oppure non va letto per niente.
22/01/02
Esiste qualcosa, un prodotto, un ritrovato, una radice che renda più facile l'organizzazione del proprio tempo e meno facile la perdita del tempo stesso?
O il problema è forse che cosa considero perdita del mio tempo, e perchè?
Vi sembra possibile che in una situazione del genere uno possa prendersi altri 4 impegni di un certo spessore?
Lo è. Basta organizzarsi. E poi c'è tutto quel discorso del vivere ogni istante della propria vita come se fosse l'ultimo.
Avanti.
f3. “Matrimonio Indiano” di Mira Nair, 2001. (AMG).
Devo premettere una cosa: trovo gli indiani e i pakistani bellissimi. Uomini e donne. E se in "East Is East" la goduria c’era ma parziale, data l’ambientazione inglese, qui ho rischiato il sovraccarico sensoriale. Musica, colori, facce: dicono che i punjabi stiano all’India come i napoletani stanno all’Italia. Luoghi comuni a parte, pare plausibile.
L’India di “Monsoon Wedding” (ennesimo bel titolo deturpato dalla traduzione) è l’India dell’alta borghesia di Delhi, occidentalizzata e lussureggiante, stridente nel contrasto con le immagini della vita per le strade, fuori dalla villa in cui ha luogo, appunto, il matrimonio.
La storia in sé è poca cosa: matrimonio combinato, lei che non ci sta ma poi ci sta. Intorno, però, si si intrecciano le storie di una famiglia sparsa per il mondo e ritrovatasi per l’occasione. Gli attori perfetti, e l’omaggio della regista al mondo di Bollywood, il cinema popolare indiano che sforna titoli a ciclo continuo, prende forma con il tocco e le scelte del cinema d’autore (belle le riprese, tutte con camera a mano, e stordente nei suoni colori vivacissimi la fotografia). Bello.
O il problema è forse che cosa considero perdita del mio tempo, e perchè?
Vi sembra possibile che in una situazione del genere uno possa prendersi altri 4 impegni di un certo spessore?
Lo è. Basta organizzarsi. E poi c'è tutto quel discorso del vivere ogni istante della propria vita come se fosse l'ultimo.
Avanti.
f3. “Matrimonio Indiano” di Mira Nair, 2001. (AMG).
Devo premettere una cosa: trovo gli indiani e i pakistani bellissimi. Uomini e donne. E se in "East Is East" la goduria c’era ma parziale, data l’ambientazione inglese, qui ho rischiato il sovraccarico sensoriale. Musica, colori, facce: dicono che i punjabi stiano all’India come i napoletani stanno all’Italia. Luoghi comuni a parte, pare plausibile.
L’India di “Monsoon Wedding” (ennesimo bel titolo deturpato dalla traduzione) è l’India dell’alta borghesia di Delhi, occidentalizzata e lussureggiante, stridente nel contrasto con le immagini della vita per le strade, fuori dalla villa in cui ha luogo, appunto, il matrimonio.
La storia in sé è poca cosa: matrimonio combinato, lei che non ci sta ma poi ci sta. Intorno, però, si si intrecciano le storie di una famiglia sparsa per il mondo e ritrovatasi per l’occasione. Gli attori perfetti, e l’omaggio della regista al mondo di Bollywood, il cinema popolare indiano che sforna titoli a ciclo continuo, prende forma con il tocco e le scelte del cinema d’autore (belle le riprese, tutte con camera a mano, e stordente nei suoni colori vivacissimi la fotografia). Bello.
17/01/02
Oggi vi lascio un link, è il weblog di un mio amico e si chiama Jaded Eyes. Non mi ritrovo molto spesso nella sua visione pessimistica di tutto (sbaglio io, forse?), ma Andrea scrive benissimo ed è raramente banale.
Nello spazio di pochi post ha messo la freccia ed ha superato di slancio mezze dozzine di giovani parvenu del weblogging già stanchi dopo la sbornia iniziale. Potere a lui.
f2. “Quando Eravamo Re” di Leon Gast, 1996. (AMG)
James Brown in tutina, placca G.F.O.S. (GodFather Of Soul, diamine!) in vita e collarino con le iniziali. Sudore freddo. Kinshasa nel 1974, Mobutu Sese Seko in fez di leopardo cerca consensi per la sua dittatura dopo l’eliminazione di Patrice Lumumba.
“Quando Eravamo Re” è storia e cronaca di un incontro di boxe epocale e delle settimane che lo precedono. Due pugili americani, Muhammad Ali e George Foreman, si contendono il titolo mondiale nello stadio della capitale dello Zaire, nel cuore dell’Africa Nera.
Don King, il promoter con i capelli dritti, fiuta l’affare e rende l’incontro un happening sportivo-musicale: B.B. King, The Spinners, Jazz Crusaders, Miriam Makeba e un incontenibile James Brown.
Dove Foreman resta aggrappato al suo ruolo di professionista, sbruffone come il copione della boxe prevede ma sempre americano, Ali va letteralmente fuori di testa, scoprendosi realmente afroamericano.
Dove Foreman è ospite (l’artista zairese Malik Bowens racconta: “…non sapevamo nemmeno che fosse nero”), Ali è a casa sua. La sua oratoria incontenibile da autentico predicatore e la sua spavalderia a 360° trovano terreno fertile in una situazione unica ed irripetibile. Parliamo di un campione del mondo di pugilato che rinuncia a carriera, soldi e libertà rifiutandosi di andare a fare la guerra in Vietnam, ricordatelo.
Splendide immagini d’archivio (conferenze stampa, allenamenti, viaggi, relax, l’INCONTRO) alternate a interviste attuali a Spike Lee e agli scrittori Norman Mailer e George Plimpton (presenti a Kinshasa) e a spezzoni del concerto.
Certo, il film è fatto in modo che lo spettatore non possa che tifare Ali, ma forse non è un caso, come non è certamente un caso che di George Foreman, pugile, si ricordino gli addetti ai lavori, mentre di Muhammad Ali, persona E pugile, si ricordino TUTTI. Gran film, a tratti da pelle d’oca.
“Ali, boma ye”.
d8. AA.VV. “Funk Session – 30 Chunks Of The Fattest Funk Cuts” 2001. (2cd Union Square. Nuovo, € 19.63)
Il primo impatto mi vede sospettoso. Ho imparato ad adorare le raccolte della BBE e della Harmless, dai primi pionieristici volumi di “Legendary Deep Funk” attraverso i vari “Spectrum” (funk, soul, jazz) per arrivare alle decine di uscite odierne.
Grafiche fantastiche, ma soprattutto libretti densi di note, informazioni e quadro storico. AMORE per quello che si sta facendo. L’equivalente soul-funk, insomma, di quello che etichette come Blood & Fire e Pressure Sounds sono per il reggae.
Qui ci sono un doppio cd al prezzo di un singolo, un titolo banale (ma anche “Pulp Fusion” della Harmless lo è, dio se lo è), un'idea grafica molto buona, ma basata su una foto penosa (bellezza-d’ebano-che-lecca-un-leccalecca), un libretto inesistente.
Non c’è amore. Ma a quello, una volta di più, pensano quelli che nei due cd sono ospitati. E nei due cd di amore ce n’è davvero tanto.
Si comincia che più banale non si può (i Funkadelic di “One Nation Under A Groove” sono troppo “gommosi” e puliti per me, molto meglio quelli di “Free Your Mind And Your Ass Will Follow o “Maggot Brain”, se mi chiedete), ma si continua con califfi del groove del calibro di Roy Ayers, Herbie Hancock, Johnny Guitar Watson, Fatback Band, Clarence Wheeler & The Enforcers, Jimmy McGriff, Maceo Parker, 24 Carat Black (il nome del secolo?), The Meters (campioni del funk scarnificato, cercateli!), The Bar-Kays (l'immortale "Son Of Shaft").
Volete le canzoni? Un Aaron Neville da brividi, Isley Brothers (il torrido inno maschilista “It’s Your Thing”), Blackbyrds, Curtis Mayfield (la meravigliosa “Freddie’s Dead” da “Superfly”), Earth Wind & Fire, Average White Band, i c-o-l-o-s-s-a-l-i e misconosciuti Cymande (su campioni della loro “Dove” si basa “The Score” dei Fugees, quelle brevi frasi di chitarra così notturne…), Ripple (che dire di fronte a un titolo come “Don’t Know What It Is But It Sure Is Funky”?), The Undisputed Truth, Charles Wright & The Watts 103rd Street Rhythm Band (“Express Yourself” dal primo album degli NWA è praticamente una cover di questa ”Express Yourself”!), The O’Jays e un uomo di nome Billy Paul (la sua devastante “Am I Black Enough For Ya” è senza dubbio la sorpresa #1 del disco).
Si cala leggermente verso la fine del secondo cd, con due o tre sconfinamenti negli ’80 e nella disco (ottima disco, per carità), e con 15 minuti abbondanti di Funkadelic.
Ma su “Reach Up” di Toney Lee è pur sempre costruita “The Music Sounds Better With You” degli Stardust, apoteosi del french touch, o no?
Sono coperti diversi territori dello scibile funk, molto diversi fra loro, ma dove si perde forse in omogeneità del tutto si guadagna in qualità media elevatissima, per una buona metà dei 30 brani addirittura celestiale.
Disco consigliato, in fin dei conti. Ai neofiti come introduzione (ma c’è molto di più da scoprire, ricordatelo), agli appassionati non ancora completisti come goduria. Lo trovate da Ricordi, ed esiste pure un analogo doppio cd “Soul Sessions”.
Nello spazio di pochi post ha messo la freccia ed ha superato di slancio mezze dozzine di giovani parvenu del weblogging già stanchi dopo la sbornia iniziale. Potere a lui.
f2. “Quando Eravamo Re” di Leon Gast, 1996. (AMG)
James Brown in tutina, placca G.F.O.S. (GodFather Of Soul, diamine!) in vita e collarino con le iniziali. Sudore freddo. Kinshasa nel 1974, Mobutu Sese Seko in fez di leopardo cerca consensi per la sua dittatura dopo l’eliminazione di Patrice Lumumba.
“Quando Eravamo Re” è storia e cronaca di un incontro di boxe epocale e delle settimane che lo precedono. Due pugili americani, Muhammad Ali e George Foreman, si contendono il titolo mondiale nello stadio della capitale dello Zaire, nel cuore dell’Africa Nera.
Don King, il promoter con i capelli dritti, fiuta l’affare e rende l’incontro un happening sportivo-musicale: B.B. King, The Spinners, Jazz Crusaders, Miriam Makeba e un incontenibile James Brown.
Dove Foreman resta aggrappato al suo ruolo di professionista, sbruffone come il copione della boxe prevede ma sempre americano, Ali va letteralmente fuori di testa, scoprendosi realmente afroamericano.
Dove Foreman è ospite (l’artista zairese Malik Bowens racconta: “…non sapevamo nemmeno che fosse nero”), Ali è a casa sua. La sua oratoria incontenibile da autentico predicatore e la sua spavalderia a 360° trovano terreno fertile in una situazione unica ed irripetibile. Parliamo di un campione del mondo di pugilato che rinuncia a carriera, soldi e libertà rifiutandosi di andare a fare la guerra in Vietnam, ricordatelo.
Splendide immagini d’archivio (conferenze stampa, allenamenti, viaggi, relax, l’INCONTRO) alternate a interviste attuali a Spike Lee e agli scrittori Norman Mailer e George Plimpton (presenti a Kinshasa) e a spezzoni del concerto.
Certo, il film è fatto in modo che lo spettatore non possa che tifare Ali, ma forse non è un caso, come non è certamente un caso che di George Foreman, pugile, si ricordino gli addetti ai lavori, mentre di Muhammad Ali, persona E pugile, si ricordino TUTTI. Gran film, a tratti da pelle d’oca.
“Ali, boma ye”.
d8. AA.VV. “Funk Session – 30 Chunks Of The Fattest Funk Cuts” 2001. (2cd Union Square. Nuovo, € 19.63)
Il primo impatto mi vede sospettoso. Ho imparato ad adorare le raccolte della BBE e della Harmless, dai primi pionieristici volumi di “Legendary Deep Funk” attraverso i vari “Spectrum” (funk, soul, jazz) per arrivare alle decine di uscite odierne.
Grafiche fantastiche, ma soprattutto libretti densi di note, informazioni e quadro storico. AMORE per quello che si sta facendo. L’equivalente soul-funk, insomma, di quello che etichette come Blood & Fire e Pressure Sounds sono per il reggae.
Qui ci sono un doppio cd al prezzo di un singolo, un titolo banale (ma anche “Pulp Fusion” della Harmless lo è, dio se lo è), un'idea grafica molto buona, ma basata su una foto penosa (bellezza-d’ebano-che-lecca-un-leccalecca), un libretto inesistente.
Non c’è amore. Ma a quello, una volta di più, pensano quelli che nei due cd sono ospitati. E nei due cd di amore ce n’è davvero tanto.
Si comincia che più banale non si può (i Funkadelic di “One Nation Under A Groove” sono troppo “gommosi” e puliti per me, molto meglio quelli di “Free Your Mind And Your Ass Will Follow o “Maggot Brain”, se mi chiedete), ma si continua con califfi del groove del calibro di Roy Ayers, Herbie Hancock, Johnny Guitar Watson, Fatback Band, Clarence Wheeler & The Enforcers, Jimmy McGriff, Maceo Parker, 24 Carat Black (il nome del secolo?), The Meters (campioni del funk scarnificato, cercateli!), The Bar-Kays (l'immortale "Son Of Shaft").
Volete le canzoni? Un Aaron Neville da brividi, Isley Brothers (il torrido inno maschilista “It’s Your Thing”), Blackbyrds, Curtis Mayfield (la meravigliosa “Freddie’s Dead” da “Superfly”), Earth Wind & Fire, Average White Band, i c-o-l-o-s-s-a-l-i e misconosciuti Cymande (su campioni della loro “Dove” si basa “The Score” dei Fugees, quelle brevi frasi di chitarra così notturne…), Ripple (che dire di fronte a un titolo come “Don’t Know What It Is But It Sure Is Funky”?), The Undisputed Truth, Charles Wright & The Watts 103rd Street Rhythm Band (“Express Yourself” dal primo album degli NWA è praticamente una cover di questa ”Express Yourself”!), The O’Jays e un uomo di nome Billy Paul (la sua devastante “Am I Black Enough For Ya” è senza dubbio la sorpresa #1 del disco).
Si cala leggermente verso la fine del secondo cd, con due o tre sconfinamenti negli ’80 e nella disco (ottima disco, per carità), e con 15 minuti abbondanti di Funkadelic.
Ma su “Reach Up” di Toney Lee è pur sempre costruita “The Music Sounds Better With You” degli Stardust, apoteosi del french touch, o no?
Sono coperti diversi territori dello scibile funk, molto diversi fra loro, ma dove si perde forse in omogeneità del tutto si guadagna in qualità media elevatissima, per una buona metà dei 30 brani addirittura celestiale.
Disco consigliato, in fin dei conti. Ai neofiti come introduzione (ma c’è molto di più da scoprire, ricordatelo), agli appassionati non ancora completisti come goduria. Lo trovate da Ricordi, ed esiste pure un analogo doppio cd “Soul Sessions”.
12/01/02
Davvero, credevo che l'estrazione di un dente del giudizio storto ed orribilmente cariato fosse qualcosa di più doloroso.
Meglio così.
d7. Swearing At Motorists “The Burnt Orange Heresy” 2000. (cdep Secretly Canadian, usato, € 8.20)
E mi pareva strano. Proprio in quel negozio lì che in questo genere è specializzato, Swearing At Motorists, un disco del 2000, 8 pezzi, solo sedicimila lire. Usato, è vero, ma il mio prezzo immaginario per un articolo del genere sarebbe stato, che ne so, ventimila. Fedele alla linea, quindi, non ho potuto fare a meno di prenderlo.
Trattasi di un tour cd in edizione limitata (500? 1000?), del quale anche in rete si conosce poco o nulla, per quattordici minuti di durata. Lungi da me l’applicazione del rapporto prezzo/minutaggio alla musica, pratica che aborro, le mie perplessità riguardano la natura sostanzialmente da fans di un disco come questo.
Una ballata lenta e rarefatta in apertura, via via appena più elettriche le due seguenti, un brevissimo sketch elettronico inutile, uno sprazzo di roots-pop alla traccia numero 5, un altro breve sketch (stavolta di chitarra elettrica effettata), un ibrido tra techno e chiesa, una ballata finale dal sapore desertico. Non male, ma tutto molto incompiuto.
Che me ne faccio io, che del gruppo non ho null’altro? Quanto è rappresentativo questo ep? Comprerò mai un cd vero e proprio del gruppo sulla base di questo ep? Mah. Intanto lo tengo e aspetto che salga di valore, non si sa mai.
Meglio così.
d7. Swearing At Motorists “The Burnt Orange Heresy” 2000. (cdep Secretly Canadian, usato, € 8.20)
E mi pareva strano. Proprio in quel negozio lì che in questo genere è specializzato, Swearing At Motorists, un disco del 2000, 8 pezzi, solo sedicimila lire. Usato, è vero, ma il mio prezzo immaginario per un articolo del genere sarebbe stato, che ne so, ventimila. Fedele alla linea, quindi, non ho potuto fare a meno di prenderlo.
Trattasi di un tour cd in edizione limitata (500? 1000?), del quale anche in rete si conosce poco o nulla, per quattordici minuti di durata. Lungi da me l’applicazione del rapporto prezzo/minutaggio alla musica, pratica che aborro, le mie perplessità riguardano la natura sostanzialmente da fans di un disco come questo.
Una ballata lenta e rarefatta in apertura, via via appena più elettriche le due seguenti, un brevissimo sketch elettronico inutile, uno sprazzo di roots-pop alla traccia numero 5, un altro breve sketch (stavolta di chitarra elettrica effettata), un ibrido tra techno e chiesa, una ballata finale dal sapore desertico. Non male, ma tutto molto incompiuto.
Che me ne faccio io, che del gruppo non ho null’altro? Quanto è rappresentativo questo ep? Comprerò mai un cd vero e proprio del gruppo sulla base di questo ep? Mah. Intanto lo tengo e aspetto che salga di valore, non si sa mai.
d5. MC5 “Back In The USA” 1970. (cd Atlantic, nuovo, € 10.30, AMG)
Il migliore album degli MC5.
La rivoluzione abbandona le strade e le improvvisazioni jazz dell’era White Panthers per infilarsi nella biancheria intima di migliaia di teenagers e nel rock’n’roll più animalesco. Se prima erano proclami e violenza, ora è tempo di sesso e ribellione giovanile nel cuore dell’America a cavallo dei due decenni. La politica è sempre lì -eccome!- ma cambia tutto il resto. Little Richard in apertura, Chuck Berry in chiusura (“I’m so glad I’m living in the Usa” in bocca a Rob Tyner non ha la stessa potenza deflagrante di un “kick out the jams, motherfuckers!” o forse più?), nove originali grandiosi in mezzo da citare tutti o nessuno. Una copertina tra le più belle mai viste, perché aggiunge al disco invece di avvolgerlo e basta.
Disco indispensabile. Lo trovate in serie economica e non avete nessuna scusa.
d6. The Stooges “Fun House” 1970. (cd Elektra, nuovo, € 10.30, AMG)
Il migliore album degli Stooges.
L’impatto inquietante e devastante del debutto è spinto al livello successivo da una band compatta e sicura dei propri incredibili mezzi. Iggy ulula in preda a chissà quali spasmi, il suono è notturno, crudo, malato. Non riesco a immaginare che genere di fun si possa trovare in una house del genere. Ma nei primi cinque pezzi, scusate se è poco, si scrive la storia: “Down On The Street”, “Loose”, “T.V. Eye”, “Dirt” e “1970”. I sette minuti d’orologio di “Dirt”, se devo scegliere, lasciano il segno più doloroso. Tirate il fiato. Nei restanti due, la title-track e la conclusiva “L.A. Blues” soprattutto, prende il sopravvento l’anima più free del gruppo, lasciatosi andare senza ritegno e coadiuvato da un sax delirante. Ed era il 1970, tenetelo sempre ben presente.
Disco indispensabile. Lo trovate in serie economica e non evete nessuna scusa.
Il migliore album degli MC5.
La rivoluzione abbandona le strade e le improvvisazioni jazz dell’era White Panthers per infilarsi nella biancheria intima di migliaia di teenagers e nel rock’n’roll più animalesco. Se prima erano proclami e violenza, ora è tempo di sesso e ribellione giovanile nel cuore dell’America a cavallo dei due decenni. La politica è sempre lì -eccome!- ma cambia tutto il resto. Little Richard in apertura, Chuck Berry in chiusura (“I’m so glad I’m living in the Usa” in bocca a Rob Tyner non ha la stessa potenza deflagrante di un “kick out the jams, motherfuckers!” o forse più?), nove originali grandiosi in mezzo da citare tutti o nessuno. Una copertina tra le più belle mai viste, perché aggiunge al disco invece di avvolgerlo e basta.
Disco indispensabile. Lo trovate in serie economica e non avete nessuna scusa.
d6. The Stooges “Fun House” 1970. (cd Elektra, nuovo, € 10.30, AMG)
Il migliore album degli Stooges.
L’impatto inquietante e devastante del debutto è spinto al livello successivo da una band compatta e sicura dei propri incredibili mezzi. Iggy ulula in preda a chissà quali spasmi, il suono è notturno, crudo, malato. Non riesco a immaginare che genere di fun si possa trovare in una house del genere. Ma nei primi cinque pezzi, scusate se è poco, si scrive la storia: “Down On The Street”, “Loose”, “T.V. Eye”, “Dirt” e “1970”. I sette minuti d’orologio di “Dirt”, se devo scegliere, lasciano il segno più doloroso. Tirate il fiato. Nei restanti due, la title-track e la conclusiva “L.A. Blues” soprattutto, prende il sopravvento l’anima più free del gruppo, lasciatosi andare senza ritegno e coadiuvato da un sax delirante. Ed era il 1970, tenetelo sempre ben presente.
Disco indispensabile. Lo trovate in serie economica e non evete nessuna scusa.
10/01/02
d4. Bob Marley And The Wailers “Babylon By Bus” 1978. (cd Island, usato, € 9.30, AMG).
Chi mi conosce almeno un po’ sa che la mia musica preferita è il reggae. Quasi tutti, sentendo la parola, subito pensano a Bob Marley. Io, se penso al reggae, non penso a Bob marley, non mi viene in mente lui. King Tubby, piuttosto. O le ristampe benedette della Blood And Fire.
Bob Marley non è reggae, Bob Marley è Bob Marley e basta, come ogni icona che si rispetti (pare che qualche anno fa un sondaggio in qualche nazione africana abbia chiesto quale fosse il personaggio maschile più popolare fra i giovani: terzo Gesù Cristo, secondo Nelson Mandela, primo Bob Marley). E poi la musica: è reggae, ovvio, ma è un reggae peculiare, sicuramente influenzato dal suo essere diffuso in tutto il mondo presso un pubblico fondamentalmente rock, così come dal carisma inarrivabile del suo autore.
Detto questo, viva Bob Marley.
Registrato dal vivo in quattro capitali europee durante il tour del 1978, originariamente doppio vinile racchiuso in una splendida copertina che ha fatto storia, il disco è un monumento. Dove il pur ottimo “Live”, di qualche anno precedente, funzionava per limiti di durata come sunto di una sua esibizione live, “Babylon By Bus” si avvicina di molto a quello che un intero concerto dei Wailers doveva essere (ma ho il sospetto che l’happening durasse ben oltre i 74 minuti).
In forma smagliante le I-Threes, instancabile l’originale drum an’ bass line a cura dei fratelli Barrett,
Numerosi i brani del primo periodo Island, classici e non. Frequenti le escursioni dub, sempre altissima la tensione spirituale e la comunicazione con la folla. Un solo titolo a disposizione? “Rat Race”, da brividi.
Lettura consigliata: Timothy White “Bob Marley – Una vita di fuoco” (Arcana)
Chi mi conosce almeno un po’ sa che la mia musica preferita è il reggae. Quasi tutti, sentendo la parola, subito pensano a Bob Marley. Io, se penso al reggae, non penso a Bob marley, non mi viene in mente lui. King Tubby, piuttosto. O le ristampe benedette della Blood And Fire.
Bob Marley non è reggae, Bob Marley è Bob Marley e basta, come ogni icona che si rispetti (pare che qualche anno fa un sondaggio in qualche nazione africana abbia chiesto quale fosse il personaggio maschile più popolare fra i giovani: terzo Gesù Cristo, secondo Nelson Mandela, primo Bob Marley). E poi la musica: è reggae, ovvio, ma è un reggae peculiare, sicuramente influenzato dal suo essere diffuso in tutto il mondo presso un pubblico fondamentalmente rock, così come dal carisma inarrivabile del suo autore.
Detto questo, viva Bob Marley.
Registrato dal vivo in quattro capitali europee durante il tour del 1978, originariamente doppio vinile racchiuso in una splendida copertina che ha fatto storia, il disco è un monumento. Dove il pur ottimo “Live”, di qualche anno precedente, funzionava per limiti di durata come sunto di una sua esibizione live, “Babylon By Bus” si avvicina di molto a quello che un intero concerto dei Wailers doveva essere (ma ho il sospetto che l’happening durasse ben oltre i 74 minuti).
In forma smagliante le I-Threes, instancabile l’originale drum an’ bass line a cura dei fratelli Barrett,
Numerosi i brani del primo periodo Island, classici e non. Frequenti le escursioni dub, sempre altissima la tensione spirituale e la comunicazione con la folla. Un solo titolo a disposizione? “Rat Race”, da brividi.
Lettura consigliata: Timothy White “Bob Marley – Una vita di fuoco” (Arcana)
Premessa: non pensiate che abbia comprato cinque cd in un pomeriggio spendendo realmente quasi 58 euro. È vero che non mi drogo, e che spesso e volentieri indulgo nell’acquisto compulsivo, ma stavolta è andata diversamente. Se non nella sostanza, almeno nei conti.
Nella sostanza, tre negozi diversi, tre acquisti “passivi” secondo la già descritta pratica del guardare nelle pattumiere degli altri in cerca di occasioni da cogliere al volo.
Nei conti, una manciata di cd usati di cui liberarmi in un posto, una tessera fedeltà completata in un altro e la compiacenza di un ex-collega pericolosamente somigliante all’Ozzy giovane nel terzo hanno fatto sì che dai circa 58 si arrivasse ai circa 26 euro finali.
Con Dilated Peoples di nuovo al suo posto nel suo scaffale e tre pietre miliari del rock nel mio, di scaffale. Non male, no?
E i dischi? Arrivano, arrivano...
E il videoregistratore? Mah... un po' va e un po' fatica... dopo mezz'ora di "L'Allenatore Nel Pallone" è andato nel pallone pure lui.
"Mira, Canà! Mira, Canà!"
Nella sostanza, tre negozi diversi, tre acquisti “passivi” secondo la già descritta pratica del guardare nelle pattumiere degli altri in cerca di occasioni da cogliere al volo.
Nei conti, una manciata di cd usati di cui liberarmi in un posto, una tessera fedeltà completata in un altro e la compiacenza di un ex-collega pericolosamente somigliante all’Ozzy giovane nel terzo hanno fatto sì che dai circa 58 si arrivasse ai circa 26 euro finali.
Con Dilated Peoples di nuovo al suo posto nel suo scaffale e tre pietre miliari del rock nel mio, di scaffale. Non male, no?
E i dischi? Arrivano, arrivano...
E il videoregistratore? Mah... un po' va e un po' fatica... dopo mezz'ora di "L'Allenatore Nel Pallone" è andato nel pallone pure lui.
"Mira, Canà! Mira, Canà!"
09/01/02
I miei genitori hanno cambiato videoregistratore e mi hanno passato quello vecchio. È il momento della verità, fratelli e sorelle.
d3. Dilated Peoples “Expansion Team” 2001. (cd Capitol, nuovo, € 11.85, AMG)
Io sono fatto così. Per prima cosa guardo i dischi usati, ma questa non è un’attitudine che ha bisogno di essere giustificata. Incoraggiata, piuttosto.
Poi guardo il resto, e se c’è una cosa che costa meno del suo prezzo plausibile, la compro. Anche se magari la ascolterò meno e con meno soddisfazione di un possibile-disco-della-vita lasciato nello scaffale perché costava 39000 e non 27000.
E badate, non sono assolutamente uno tirato con i soldi, sui dischi meno che su tutto il resto. Sono un compratore senza ritegno, ma non ho altri vizi ugualmente o più costosi (non ricordo le parole esatte, e non ricordo se l’ho letto in un’intervista a Ian MacKaye che lo citava a sua volta, o in un’intervista proprio a Henry Rollins stesso: “La gente mi chiede come faccio ad avere così tanti dischi. Semplice, non mi sono mai drogato”).
In ogni caso, sono da Ricordi e c’è questo nuovo cd di Dilated Peoples. Due copie sono import e costano qualcosa come 49000 lire, una è europea e addirittura a prezzo medio. Inutile dire che la compro. Insomma, le referenze sono buone: grosso nome dell’underground hip-hop californiano, brani di Evidence (uno dei tre) già scaricati da Epitonic a spese del mio vecchio datore di lavoro, grafica super (conta, credetemi, conta), team di produttori di lusso con Premier, Beatminerz, Alchemist e compagnia bella.
Comunque, a 49000, ma anche a 39000, non l’avrei preso.
Brutto non è, ma non è quello che mi aspettavo. Mi aspettavo qualcosa di più “rivoluzionario”, passatemi il termine. Non mi aspettavo certo la coscienza politica su rime favolose dei mastodontici Dead Prez, e magari nemmeno le visioni di scuola Wu-Tang e quindi Cannibal Ox, ma almeno un po’ di inventiva e rapping personale. Almeno la sensazione che di underground si tratti, quantomeno nell’approccio. Altrimenti meglio il mainstream, se mainstream vuol dire Outkast! O Gente Guasta, dio buono!
“Expansion Team” è solo un buon disco hip-hop, con i suoi alti e i suoi bassi, ma poco più. Le basi sono più o meno entusiasmanti, i temi per lo più già sentiti miliardi di volte, il flow per lo più scontato. Sarà un caso, ma nel pezzo più convincente del disco (l'ottima “Heavy Rotation”) lo spazio è praticamente tutto per gli ospiti Tha Licks.
Vedo Toast 5 già aperto, un cd Tdk vergine ed un negozio di dischi usati nell’immediato futuro.
Però, riascoltandolo un’altra volta… vedete, alla fine mi piace tutto. Merda.
d3. Dilated Peoples “Expansion Team” 2001. (cd Capitol, nuovo, € 11.85, AMG)
Io sono fatto così. Per prima cosa guardo i dischi usati, ma questa non è un’attitudine che ha bisogno di essere giustificata. Incoraggiata, piuttosto.
Poi guardo il resto, e se c’è una cosa che costa meno del suo prezzo plausibile, la compro. Anche se magari la ascolterò meno e con meno soddisfazione di un possibile-disco-della-vita lasciato nello scaffale perché costava 39000 e non 27000.
E badate, non sono assolutamente uno tirato con i soldi, sui dischi meno che su tutto il resto. Sono un compratore senza ritegno, ma non ho altri vizi ugualmente o più costosi (non ricordo le parole esatte, e non ricordo se l’ho letto in un’intervista a Ian MacKaye che lo citava a sua volta, o in un’intervista proprio a Henry Rollins stesso: “La gente mi chiede come faccio ad avere così tanti dischi. Semplice, non mi sono mai drogato”).
In ogni caso, sono da Ricordi e c’è questo nuovo cd di Dilated Peoples. Due copie sono import e costano qualcosa come 49000 lire, una è europea e addirittura a prezzo medio. Inutile dire che la compro. Insomma, le referenze sono buone: grosso nome dell’underground hip-hop californiano, brani di Evidence (uno dei tre) già scaricati da Epitonic a spese del mio vecchio datore di lavoro, grafica super (conta, credetemi, conta), team di produttori di lusso con Premier, Beatminerz, Alchemist e compagnia bella.
Comunque, a 49000, ma anche a 39000, non l’avrei preso.
Brutto non è, ma non è quello che mi aspettavo. Mi aspettavo qualcosa di più “rivoluzionario”, passatemi il termine. Non mi aspettavo certo la coscienza politica su rime favolose dei mastodontici Dead Prez, e magari nemmeno le visioni di scuola Wu-Tang e quindi Cannibal Ox, ma almeno un po’ di inventiva e rapping personale. Almeno la sensazione che di underground si tratti, quantomeno nell’approccio. Altrimenti meglio il mainstream, se mainstream vuol dire Outkast! O Gente Guasta, dio buono!
“Expansion Team” è solo un buon disco hip-hop, con i suoi alti e i suoi bassi, ma poco più. Le basi sono più o meno entusiasmanti, i temi per lo più già sentiti miliardi di volte, il flow per lo più scontato. Sarà un caso, ma nel pezzo più convincente del disco (l'ottima “Heavy Rotation”) lo spazio è praticamente tutto per gli ospiti Tha Licks.
Vedo Toast 5 già aperto, un cd Tdk vergine ed un negozio di dischi usati nell’immediato futuro.
Però, riascoltandolo un’altra volta… vedete, alla fine mi piace tutto. Merda.
06/01/02
Il videoregistratore, è definitivo, non va.
La situazione è quindi quella tipica di ogni piccolo elettrodomestico dagli anni '90 in poi: "con quel poco che costa comprarne uno nuovo, vale la pena di spendere dei soldi per aggiustarlo?". Oppure: "Con 50000 lire in più ne compro uno nuovo...".
Si butta via il rotto, si spende pochissimo per sostituirlo con il nuovo. Il nuovo costa pochissimo (anche) perchè è fatto con materiali di merda. Dopo pochi anni si rompe. E via di seguito. Difficile resistere. E la riparazione, quanto durerà?
Recensione di Dilated Peoples in stand-by, serve ancora qualche ascolto.
Dimenticavo: se volete contattarmi fatelo!
La situazione è quindi quella tipica di ogni piccolo elettrodomestico dagli anni '90 in poi: "con quel poco che costa comprarne uno nuovo, vale la pena di spendere dei soldi per aggiustarlo?". Oppure: "Con 50000 lire in più ne compro uno nuovo...".
Si butta via il rotto, si spende pochissimo per sostituirlo con il nuovo. Il nuovo costa pochissimo (anche) perchè è fatto con materiali di merda. Dopo pochi anni si rompe. E via di seguito. Difficile resistere. E la riparazione, quanto durerà?
Recensione di Dilated Peoples in stand-by, serve ancora qualche ascolto.
Dimenticavo: se volete contattarmi fatelo!
04/01/02
Ricompare in casa il videoregistratore, lo si ricollega al televisore e la versione ufficiale, quando torno dal lavoro, è che funziona.
Anche se non è cambiato assolutamente nulla da qualche mese fa, quando non funzionava.
"L'allenatore nel pallone" va. Meno male. "The Simpsons - Too hot for TV" va. "Tutto su mia madre" va. Via le originali e avanti con le registrate. "Brutti sporchi e cattivi" va, poi non va, poi va, poi non si capisce se è l'antenna (l'antenna? centra qualcosa?). "Cicciolina e Moana mondiali" assolutamente non ne vuole sapere. Moralista di merda.
Ma i film che vedrò (se tutto va bene) in cassetta contano nella lista o no?
E i cd masterizzati?
No a entrambi, direi.
d2. One Dimensional Man "You Kill Me" 2001. (lp Wallace, nuovo, € 11).
Se sei o sette anni fa, ad un concerto dei Geyser, mi avessero detto che quel tipo seduto alla batteria sarebbe diventato uno dei migliori chitarristi del mondo, beh, chissà come avrei reagito.
Ma quella era gente speciale, capace di tutto, sparata in cento direzioni diverse, attraversata dal fuoco spavaldo della creatività. I Geyser li ho visti suonare due volte, e me ne vanto. L’unico pezzo uscito, sul 7” split con gli Infranti, è una minima parte di quello che rappresentavano. Dovrete farvelo bastare.
Nicola l’ho rivisto lo scorso giugno. Samuele lo scorso febbraio, ora suona nei John Woo. Roy l’avevo lasciato nei Brenda Eccless, e lo ritrovo (se di lui si tratta) addirittura santo nel pezzo di apertura di questo terzo album dell’Uomo a Una Dimensione. Giulio, come dicevo, ci suona la chitarra. Ecco, per me One Dimensional Man, non me ne vogliano i due soci, sono essenzialmente Giulio che suona la chitarra dal vivo.
Sono un pessimo chitarrista, chi mi conosce lo sa, non riconosco la tecnica: resto affascinato dall’estetica del modo di suonare, dal gusto, dalla creatività, dalla posizione delle dita sui tasti. E quando vedo One Dimensional Man ho occhi solo per il redneck.
Su disco, i tre non mi hanno mai entusiasmato. Né quando il terzo non era Giulio ed il gruppo suonava radicalmente diverso, nè nel secondo album, già da questa parte della svolta blues ma ancora troppo monotono e forzato per i miei gusti.
Beh, sarò banale perché è quello che più o meno stanno dicendo tutti, ma qua il discorso è diverso eccome. Il blues malato non è che la radice da cui cresce un suono potente e vario.
La scrittura è matura, gli arrangiamenti calibrati a puntino, ogni cosa al suo posto: bingo. Persino il cantato e i testi, fino a ieri punto debole della band secondo la mia umile opinione, funzionano benone.
Non sono un fanatico del genere, ma questo “You Kill Me” mi sembra un gran bel disco. Peccato per la grafica, davvero non all’altezza. In ogni caso, cd fuori su Gamma Pop, vinile super-heavy 220 grammi fuori su Wallace in edizione limitata a 500 copie numerate. E ora che suonino presto a Torino.
a presto: Dilated Peoples "Expansion Team".
Anche se non è cambiato assolutamente nulla da qualche mese fa, quando non funzionava.
"L'allenatore nel pallone" va. Meno male. "The Simpsons - Too hot for TV" va. "Tutto su mia madre" va. Via le originali e avanti con le registrate. "Brutti sporchi e cattivi" va, poi non va, poi va, poi non si capisce se è l'antenna (l'antenna? centra qualcosa?). "Cicciolina e Moana mondiali" assolutamente non ne vuole sapere. Moralista di merda.
Ma i film che vedrò (se tutto va bene) in cassetta contano nella lista o no?
E i cd masterizzati?
No a entrambi, direi.
d2. One Dimensional Man "You Kill Me" 2001. (lp Wallace, nuovo, € 11).
Se sei o sette anni fa, ad un concerto dei Geyser, mi avessero detto che quel tipo seduto alla batteria sarebbe diventato uno dei migliori chitarristi del mondo, beh, chissà come avrei reagito.
Ma quella era gente speciale, capace di tutto, sparata in cento direzioni diverse, attraversata dal fuoco spavaldo della creatività. I Geyser li ho visti suonare due volte, e me ne vanto. L’unico pezzo uscito, sul 7” split con gli Infranti, è una minima parte di quello che rappresentavano. Dovrete farvelo bastare.
Nicola l’ho rivisto lo scorso giugno. Samuele lo scorso febbraio, ora suona nei John Woo. Roy l’avevo lasciato nei Brenda Eccless, e lo ritrovo (se di lui si tratta) addirittura santo nel pezzo di apertura di questo terzo album dell’Uomo a Una Dimensione. Giulio, come dicevo, ci suona la chitarra. Ecco, per me One Dimensional Man, non me ne vogliano i due soci, sono essenzialmente Giulio che suona la chitarra dal vivo.
Sono un pessimo chitarrista, chi mi conosce lo sa, non riconosco la tecnica: resto affascinato dall’estetica del modo di suonare, dal gusto, dalla creatività, dalla posizione delle dita sui tasti. E quando vedo One Dimensional Man ho occhi solo per il redneck.
Su disco, i tre non mi hanno mai entusiasmato. Né quando il terzo non era Giulio ed il gruppo suonava radicalmente diverso, nè nel secondo album, già da questa parte della svolta blues ma ancora troppo monotono e forzato per i miei gusti.
Beh, sarò banale perché è quello che più o meno stanno dicendo tutti, ma qua il discorso è diverso eccome. Il blues malato non è che la radice da cui cresce un suono potente e vario.
La scrittura è matura, gli arrangiamenti calibrati a puntino, ogni cosa al suo posto: bingo. Persino il cantato e i testi, fino a ieri punto debole della band secondo la mia umile opinione, funzionano benone.
Non sono un fanatico del genere, ma questo “You Kill Me” mi sembra un gran bel disco. Peccato per la grafica, davvero non all’altezza. In ogni caso, cd fuori su Gamma Pop, vinile super-heavy 220 grammi fuori su Wallace in edizione limitata a 500 copie numerate. E ora che suonino presto a Torino.
a presto: Dilated Peoples "Expansion Team".
02/01/02
questa è troppo bella.
ore 9. vado dal giornalaio e prendo la mia brava "stampa" (da queste parti la chiamano "la busiarda", ma poi la comprano tutti).
davanti a me una signora sui 45 anni fa lo stesso, ed annuncia non priva di eccitazione che pagherà in euro... "sono la prima?".
giornalaio: "sono 88 centesimi"
lei (ride istericamente): "le dò 1 euro allora, eh? e quanto farà di resto? oh mamma mia... le dò 1 euro e le mi da..."
giornalaio: "12 centesimi"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
lei (incurante): "io le dò 1 euro... dunque... le dò 1 euro e le mi da..."
giornalaio: "12 centesimi, me lo sono anche studiato ieri sera il resto per i quotidiani"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
io: "12 centesimi"
lei (sfacciatamente incurante del fatto che in oltre 2000 anni di matematica 100 meno 88 ha sempre fatto 12 - o 1 meno 0,88 ha sempre fatto 0,12 - o 10000 lire meno 8800 lire ha sempre fatto 1200 lire): "aspetti, che mi hanno proprio regalato la calcolatrice apposta per l'euro, adesso faccio il calcolo... vediamo... 1-euro-meno-zero-virgola-ottantotto-uguale... ... zero virgola dodici... quindi..."
giornalaio: "dodici centesimi"
lei (euforica): "DODICI CENTESIMI"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
io: "12 centesimi".
ne vedremo delle belle.
ore 9. vado dal giornalaio e prendo la mia brava "stampa" (da queste parti la chiamano "la busiarda", ma poi la comprano tutti).
davanti a me una signora sui 45 anni fa lo stesso, ed annuncia non priva di eccitazione che pagherà in euro... "sono la prima?".
giornalaio: "sono 88 centesimi"
lei (ride istericamente): "le dò 1 euro allora, eh? e quanto farà di resto? oh mamma mia... le dò 1 euro e le mi da..."
giornalaio: "12 centesimi"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
lei (incurante): "io le dò 1 euro... dunque... le dò 1 euro e le mi da..."
giornalaio: "12 centesimi, me lo sono anche studiato ieri sera il resto per i quotidiani"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
io: "12 centesimi"
lei (sfacciatamente incurante del fatto che in oltre 2000 anni di matematica 100 meno 88 ha sempre fatto 12 - o 1 meno 0,88 ha sempre fatto 0,12 - o 10000 lire meno 8800 lire ha sempre fatto 1200 lire): "aspetti, che mi hanno proprio regalato la calcolatrice apposta per l'euro, adesso faccio il calcolo... vediamo... 1-euro-meno-zero-virgola-ottantotto-uguale... ... zero virgola dodici... quindi..."
giornalaio: "dodici centesimi"
lei (euforica): "DODICI CENTESIMI"
moglie del giornalaio: "12 centesimi"
io: "12 centesimi".
ne vedremo delle belle.
Buon anno, soci.
Tra i molti buoni propositi, spalleggiati da un oroscopo che prende per mano il sagittario e lo accompagna lungo la strada del sesso e del successo, quello di mantenere con una certa costanza questo weblog. Probabilmente è solo una questione di abitudine e di riduzione degli sprechi di tempo. Hai detto niente.
Se già leggevate questa pagina prima della lunga pausa, sapete più o meno cosa aspettarvi. Se siete nuovi, spero che Soul Food vi piaccia. In attesa di un più o meno corposo restyling, accontentatevi del template precostituito e dell'idea più originale degli ultimi tempi.
Ecco i dischi che compro e i film che vedo.
f1. "Ocean's eleven" di Steven Soderbergh, 2001. (AMG).
Visto ieri sera all'odioso Cinema Ambrosio proprietà Berluscao (ma a 3 minuti da casa, maledetta pigrizia...). Un inizio d'anno decisamente positivo, dopo la chiusura funesta del 2001 grazie a "E morì con un felafel in mano", uno dei film più brutti ed insignificanti mai visti, ampiamente recuperata in extremis comunque dalla sicurezza-Coen in splendido bianco e nero.
"Ocean's Eleven" è pura azione, colpi di scena a ripetizione, ottime riprese e tutto ciò che di americano ci può essere in un buon film (o tutto ciò che di buono ci può essere in un film americano?). La storia penso la sappiate, un paio di trafficoni di lusso si mettono in testa di rapinare i tre più grandi casinò di Las Vegas, mettono insieme una squadra di undici specialisti (su tutti i redneck gemelli dello Utah...) e organizzano tutto nei minimi dettagli. Gran film, non mi sono neanche accorto di averlo visto dalla terza fila per due ore abbondanti.
d1. Television "Adventure" 1978. (cd Elektra, usato, € 6.20, AMG).
Che dire... "Marquee Moon" è il capolavoro che spero tutti voi conosciate ed amiate. Questo è il seguito: meno ruvido, meno disperato, meno innovativo, meno tutto e più tradizionalmente rock. Ma pure sempre un disco dei Television, a cantare è pur sempre Tom Verlaine e le chitarre sono sempre quelle. Ma prima cercate "Marquee Moon" e sentite quanto erano avanti...
E ora qualcuno in Europa stampi in fretta il nuovo Wu-tang.
Tra i molti buoni propositi, spalleggiati da un oroscopo che prende per mano il sagittario e lo accompagna lungo la strada del sesso e del successo, quello di mantenere con una certa costanza questo weblog. Probabilmente è solo una questione di abitudine e di riduzione degli sprechi di tempo. Hai detto niente.
Se già leggevate questa pagina prima della lunga pausa, sapete più o meno cosa aspettarvi. Se siete nuovi, spero che Soul Food vi piaccia. In attesa di un più o meno corposo restyling, accontentatevi del template precostituito e dell'idea più originale degli ultimi tempi.
Ecco i dischi che compro e i film che vedo.
f1. "Ocean's eleven" di Steven Soderbergh, 2001. (AMG).
Visto ieri sera all'odioso Cinema Ambrosio proprietà Berluscao (ma a 3 minuti da casa, maledetta pigrizia...). Un inizio d'anno decisamente positivo, dopo la chiusura funesta del 2001 grazie a "E morì con un felafel in mano", uno dei film più brutti ed insignificanti mai visti, ampiamente recuperata in extremis comunque dalla sicurezza-Coen in splendido bianco e nero.
"Ocean's Eleven" è pura azione, colpi di scena a ripetizione, ottime riprese e tutto ciò che di americano ci può essere in un buon film (o tutto ciò che di buono ci può essere in un film americano?). La storia penso la sappiate, un paio di trafficoni di lusso si mettono in testa di rapinare i tre più grandi casinò di Las Vegas, mettono insieme una squadra di undici specialisti (su tutti i redneck gemelli dello Utah...) e organizzano tutto nei minimi dettagli. Gran film, non mi sono neanche accorto di averlo visto dalla terza fila per due ore abbondanti.
d1. Television "Adventure" 1978. (cd Elektra, usato, € 6.20, AMG).
Che dire... "Marquee Moon" è il capolavoro che spero tutti voi conosciate ed amiate. Questo è il seguito: meno ruvido, meno disperato, meno innovativo, meno tutto e più tradizionalmente rock. Ma pure sempre un disco dei Television, a cantare è pur sempre Tom Verlaine e le chitarre sono sempre quelle. Ma prima cercate "Marquee Moon" e sentite quanto erano avanti...
E ora qualcuno in Europa stampi in fretta il nuovo Wu-tang.
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