39. The Now Time Delegation “Watch For Today” 2001. (cd In The Red, nuovo, € 20.14, AMG).
“Stand And Deliver”, innanzitutto: adrenalina distillata tra gli MC5 di “Back In The USA” e Otis Day And The Knights, sì, il gruppo che suona al toga-party in “Animal House”. Il classico pezzo che vale il disco da solo, scusate la banalità. Ancora Detroit schizza fuori dalle casse un po’ impolverate di casa Soul Mate #65. Una Detroit più sporca e viscerale di quella così sensuale e misurata dei concittadini Come Ons, ma altrettanto trascinante. Ennesima creatura del veterano Tim Kerr, la Delegazione arriva in rappresentanza del migliore rhytm’n’blues e del soul più sincero, interpretati con amore profondo e sacro furore punk-garage. Originali a cinque stelle e cover di classe (Eddie Floyd e Curtis Mayfield periodo Impressions, ma anche T.S.U. Toronados, Flirtations, uno struggente King Floyd e i mods The Quick) per un album che è soul puro e divertimento a mille. Accogliete la Delegazione con tutti gli onori del caso, aprite i vostri cuori e sperate insieme a noi di poterla testimoniare dal vivo, un giorno.
30/04/02
27/04/02
38. Teengenerate “Get Action!” 1994. (lp Crypt, usato, € 5.16).
Ricordo il concerto dei Teengenerate come uno dei più energetici mai visti. Ho aperto la bocca in adorazione alla prima nota e l’ho chiusa sbavante dopo 15 o 20 minuti, per riaprirla immediatamente dopo e fare spazio probabilmente a una bestemmia. Quattro ragazzini scalcagnati e frenetici alle prese con un punk’n’roll garagistico primordiale e a bassissima fedeltà, lo stesso che salta fuori dalle casse ascoltando questo album d’esordio del gruppo (fino al quel momento uscito solo con una serie memorabile di singoli). Diciannove brevi schegge, chitarre sferraglianti tutte sugli acuti, voci degenerate e innocenza. Quella sera i quattro giapponesi aprivano per i New Bomb Turks, all’epoca più tosti che mai, ma non ci fu confronto. Dopo i Teengenerate i New Bomb Turks (periodo “Information Highway Revisited”, mica bruscolini) sembravano mosci e prevedibili. Fate voi.
Ricordo il concerto dei Teengenerate come uno dei più energetici mai visti. Ho aperto la bocca in adorazione alla prima nota e l’ho chiusa sbavante dopo 15 o 20 minuti, per riaprirla immediatamente dopo e fare spazio probabilmente a una bestemmia. Quattro ragazzini scalcagnati e frenetici alle prese con un punk’n’roll garagistico primordiale e a bassissima fedeltà, lo stesso che salta fuori dalle casse ascoltando questo album d’esordio del gruppo (fino al quel momento uscito solo con una serie memorabile di singoli). Diciannove brevi schegge, chitarre sferraglianti tutte sugli acuti, voci degenerate e innocenza. Quella sera i quattro giapponesi aprivano per i New Bomb Turks, all’epoca più tosti che mai, ma non ci fu confronto. Dopo i Teengenerate i New Bomb Turks (periodo “Information Highway Revisited”, mica bruscolini) sembravano mosci e prevedibili. Fate voi.
26/04/02
37. Wilson Pickett “In The Midnight Hour” 1965. (cd Atlantic/Rhino, usato, €7.75, AMG).
Primo album ufficiale del ragazzo di Prattville, Alabama, “In The Midnight Hour” raccoglie materiale registrato tra il 1961 ed il 1965 e in parte già uscito in quegli anni come singolo. Eterogeneo, dati i periodi e i musicisti diversi, il contenuto: dagli esordi con i Falcons, quartetto vocale in tipico stile pop/soul primi ’60, alle sessions newyorkesi seguenti che ne incominciano a formare il classico stile rhythm’n’blues, fino alle prime sessions in quel di Memphis agli studi Stax, con strumentisti di importanza cruciale. La chitarra di Steve Cropper, il basso di Donald “Duck” Dunn… li si conosce per “The Blues Brothers”, ma questi signori hanno definito un suono ed un’epoca, quella della Stax Records appunto, fondamentale per la storia della musica tutta. Ecco, proprio questi quattro brani valgono da soli l’acquisto del disco, perché anticipazioni di quello che di lì a poco arriverà in quantità (“The Exciting Wilson Pickett” per esempio, per restare nella produzione del Nostro, ma ogni cosa Stax va presa...) e perché grandi brani a prescindere: la monumentale title-track, il bluesaccio “That’s A Man Way”, la rilassata “I’m Not Tired” e soprattutto la torrida “Don’t Fight It”, quintessenza del rhythm’n’blues di quegli anni. I pezzi sono mescolati ma l’edizione, oltre alle solite note esaustive, comprende anche una tracklist alternativa per chi volesse l’ordine cronologico. Consigliata.
Primo album ufficiale del ragazzo di Prattville, Alabama, “In The Midnight Hour” raccoglie materiale registrato tra il 1961 ed il 1965 e in parte già uscito in quegli anni come singolo. Eterogeneo, dati i periodi e i musicisti diversi, il contenuto: dagli esordi con i Falcons, quartetto vocale in tipico stile pop/soul primi ’60, alle sessions newyorkesi seguenti che ne incominciano a formare il classico stile rhythm’n’blues, fino alle prime sessions in quel di Memphis agli studi Stax, con strumentisti di importanza cruciale. La chitarra di Steve Cropper, il basso di Donald “Duck” Dunn… li si conosce per “The Blues Brothers”, ma questi signori hanno definito un suono ed un’epoca, quella della Stax Records appunto, fondamentale per la storia della musica tutta. Ecco, proprio questi quattro brani valgono da soli l’acquisto del disco, perché anticipazioni di quello che di lì a poco arriverà in quantità (“The Exciting Wilson Pickett” per esempio, per restare nella produzione del Nostro, ma ogni cosa Stax va presa...) e perché grandi brani a prescindere: la monumentale title-track, il bluesaccio “That’s A Man Way”, la rilassata “I’m Not Tired” e soprattutto la torrida “Don’t Fight It”, quintessenza del rhythm’n’blues di quegli anni. I pezzi sono mescolati ma l’edizione, oltre alle solite note esaustive, comprende anche una tracklist alternativa per chi volesse l’ordine cronologico. Consigliata.
21/04/02
Aggiornamenti rari, ultimamente, e quasi esclusivamente limitati alle recensioni. Succedono meno cose strambe in negozio? Mah, non direi. I clienti nonsense perseverano, i loro ranghi si infoltiscono, ma non tutto quello che riescono a fare è traferibile su una pagina web senza che perda almeno un po’ della propria carica devastante. Il momento e il contesto contano, purtroppo. Ma voi non disperate: li tengo d’occhio.
Se poi riuscissi a dormire o anche solo a riposarmi un po’ di più, non mi lamenterei. Ma gli impegni aumentano invece di diminuire, le scadenze mi passano allegramente oltre e non so da che parte cominciare.
Per il momento vi chiedo solo un favore: non parlatemi dei Get Up Kids per qualche anno almeno, ok?
35. Pavement “Slanted And Enchanted” 1992. (cd Big Cat, usato, € 10.00, AMG).
Ecco, questo invece è un disco che ho doppiato su cassetta da quando è uscito, ma che non mi è mancato per niente e che riascoltato adesso mi piace ancora meno di dieci anni fa, quando non si poteva non averlo. Perdonate la mia irriverenza verso la pietra miliare, ma qui il primo (unico) pezzo davvero bello arriva con il numero nove sulla maglia. Il resto, a parte qualche ritornello accattivante e qualche buona idea qua e là, mi sembra soprattutto irritante. Chitarre scordate, voci stonate, attitudine lo-fi francamente inconcludente. Davvero non riesco a capire come “Slanted And Enchanted” sia considerato un classico del rock indipendente.
36. Bugo “Ne Vale La Pena?” 2002. (10” Bar La Muerte/Wallace/Burp, nuovo, € 5.00).
Altrimenti conosciuto come “Alfa Rodeo”, picture disc limitatissimo a 200 copie, questo potrebbe essere l’ultima testimonianza indipendente del Bugo. Ormai lo sanno tutti, il nostro ha major e grosse indipendenti alle calcagna, ma la cosa pare non levargli né il sonno né la voglia di scrivere canzoni a getto continuo. Mentre si vocifera di ben due album già fatti e finiti, ecco sei pezzi nuovi. I cinque su un lato vedono il Bugo in veste ultra lo-fi, alle prese con garage (“Ne Vale La Pena?”, “Le Ragazze Belle”, “Alfa Rodeo”), blues spenceriano (“Il Mio 4 Trks”) e proto-punk (“Portafoglio”). Il lungo brano che occupa interamente l’altro lato è un po’ un cut-up dei tre stili con inserti parlati deliranti, senza ritegno e assolutamente fuori. Mmmmh, magico Bugo.
Se poi riuscissi a dormire o anche solo a riposarmi un po’ di più, non mi lamenterei. Ma gli impegni aumentano invece di diminuire, le scadenze mi passano allegramente oltre e non so da che parte cominciare.
Per il momento vi chiedo solo un favore: non parlatemi dei Get Up Kids per qualche anno almeno, ok?
35. Pavement “Slanted And Enchanted” 1992. (cd Big Cat, usato, € 10.00, AMG).
Ecco, questo invece è un disco che ho doppiato su cassetta da quando è uscito, ma che non mi è mancato per niente e che riascoltato adesso mi piace ancora meno di dieci anni fa, quando non si poteva non averlo. Perdonate la mia irriverenza verso la pietra miliare, ma qui il primo (unico) pezzo davvero bello arriva con il numero nove sulla maglia. Il resto, a parte qualche ritornello accattivante e qualche buona idea qua e là, mi sembra soprattutto irritante. Chitarre scordate, voci stonate, attitudine lo-fi francamente inconcludente. Davvero non riesco a capire come “Slanted And Enchanted” sia considerato un classico del rock indipendente.
36. Bugo “Ne Vale La Pena?” 2002. (10” Bar La Muerte/Wallace/Burp, nuovo, € 5.00).
Altrimenti conosciuto come “Alfa Rodeo”, picture disc limitatissimo a 200 copie, questo potrebbe essere l’ultima testimonianza indipendente del Bugo. Ormai lo sanno tutti, il nostro ha major e grosse indipendenti alle calcagna, ma la cosa pare non levargli né il sonno né la voglia di scrivere canzoni a getto continuo. Mentre si vocifera di ben due album già fatti e finiti, ecco sei pezzi nuovi. I cinque su un lato vedono il Bugo in veste ultra lo-fi, alle prese con garage (“Ne Vale La Pena?”, “Le Ragazze Belle”, “Alfa Rodeo”), blues spenceriano (“Il Mio 4 Trks”) e proto-punk (“Portafoglio”). Il lungo brano che occupa interamente l’altro lato è un po’ un cut-up dei tre stili con inserti parlati deliranti, senza ritegno e assolutamente fuori. Mmmmh, magico Bugo.
18/04/02
34. Sonic Youth “Experimental Jet Set, Trash And No Star” 1994. (cd DGC, usato, € 8.00, AMG).
Arrivare dopo “Dirty” è cosa incongrua, assai. Ma nonostante l’impressione superficiale di essere un “Dirty 2” un po’ sottotono, “Experimental Jet Set, Trash And No Star” se la cava assai bene. E non è nemmeno così “Dirty 2” come temuto: i quattordici brani sono poppizzati ed ascoltabili, ma meno immediati di quelli dell’illustre predecessore, più devianti ed imperfetti. Nello stesso tempo, enormemente più godibili di quelli che seguiranno, quando la fase pop avrà lasciato nuovamente il posto allo spessore. Sì, perché saranno pure belli e sperimentali, ma io “A Thousand Leaves” e soprattutto “Washing Machine” li ho ascoltati una manciata di volte ciascuno ed ora se ne stanno lì placidi nello scaffale, mentre questo qua lo avevo registrato appena uscito e non lo sentivo da almeno sette anni, ma alcuni pezzi me li ricordavo ancora benissimo, o me li sono canticchiati per tutto questo tempo. “Self-Obsessed And Sexxee”, per esempio, oppure “Androgynous Mind”, o “Tokyo Eye”. Ok, “Tokyo Eye” non è esattamente canticchiabile, ma dovrei aver reso l’idea. Uno dei meglio dischi dei Sonic Youth, sul mio personalissimo taccuino.
Arrivare dopo “Dirty” è cosa incongrua, assai. Ma nonostante l’impressione superficiale di essere un “Dirty 2” un po’ sottotono, “Experimental Jet Set, Trash And No Star” se la cava assai bene. E non è nemmeno così “Dirty 2” come temuto: i quattordici brani sono poppizzati ed ascoltabili, ma meno immediati di quelli dell’illustre predecessore, più devianti ed imperfetti. Nello stesso tempo, enormemente più godibili di quelli che seguiranno, quando la fase pop avrà lasciato nuovamente il posto allo spessore. Sì, perché saranno pure belli e sperimentali, ma io “A Thousand Leaves” e soprattutto “Washing Machine” li ho ascoltati una manciata di volte ciascuno ed ora se ne stanno lì placidi nello scaffale, mentre questo qua lo avevo registrato appena uscito e non lo sentivo da almeno sette anni, ma alcuni pezzi me li ricordavo ancora benissimo, o me li sono canticchiati per tutto questo tempo. “Self-Obsessed And Sexxee”, per esempio, oppure “Androgynous Mind”, o “Tokyo Eye”. Ok, “Tokyo Eye” non è esattamente canticchiabile, ma dovrei aver reso l’idea. Uno dei meglio dischi dei Sonic Youth, sul mio personalissimo taccuino.
11/04/02
33. Neil Young “Tonight’s The Night” 1975. (cd Reprise, usato, € 10.33, AMG).
Tradizionale nelle strutture sonore, ma dark nella scarna veste grafica così come nei contenuti: pare che “Tonight’s The Night” sia uno dei capolavori meno appariscenti ma più pregnanti del Canadese. Nessuna grande hit, forse, ma “Borrowed Tune”, “Albuquerque” e le due parti della title-track a capo e coda del disco valgono l’entrata da sole. Con i Crazy Horse a supportarlo, Neil lascia da parte il country/folk che lo aveva lanciato e si mette a macinare rock’n’roll e blues elettrico, senza badare troppo alla forma e lasciando via libera a stati d’animo scuri. Il disco è infatti dedicato proprio al chitarrista dei Crazy Horse, Danny Whitten, morto poco prima “per il rock’n’roll” (come dicono le note di copertina) o per overdose (come dice la storia). Agghiacciante, a tale proposito, la foto interna della band dal vivo con i nomi scritti sotto ciascun membro e “Danny Whitten” scritto sotto un amplificatore, senza nessuno davanti a suonare.
Tradizionale nelle strutture sonore, ma dark nella scarna veste grafica così come nei contenuti: pare che “Tonight’s The Night” sia uno dei capolavori meno appariscenti ma più pregnanti del Canadese. Nessuna grande hit, forse, ma “Borrowed Tune”, “Albuquerque” e le due parti della title-track a capo e coda del disco valgono l’entrata da sole. Con i Crazy Horse a supportarlo, Neil lascia da parte il country/folk che lo aveva lanciato e si mette a macinare rock’n’roll e blues elettrico, senza badare troppo alla forma e lasciando via libera a stati d’animo scuri. Il disco è infatti dedicato proprio al chitarrista dei Crazy Horse, Danny Whitten, morto poco prima “per il rock’n’roll” (come dicono le note di copertina) o per overdose (come dice la storia). Agghiacciante, a tale proposito, la foto interna della band dal vivo con i nomi scritti sotto ciascun membro e “Danny Whitten” scritto sotto un amplificatore, senza nessuno davanti a suonare.
09/04/02
31. Low “Things We Lost In The Fire” 2001. (cd Tugboat, nuovo, € 14.50, AMG).
Acclamato come capolavoro dell’indie-rock intimista, questo ultimo album del trio di Duluth ha la capacità di sospendere il tempo e la classicità dei grandi. Quando cominci con un pezzo come “Sunflower” ti giochi tutto e rischi grosso, perché è facile mettere per prima la canzone più bella del repertorio, ma sono le altre undici (sette? Nove? Quante canzoni ha l’album rock perfetto? Pari o dispari?) che contano. E queste contano, eccome. Non vorrei contraddirli, ma tra le cose perse nell’incendio dai Low non c’è la capacità di scrivere e suonare grande musica, in forma di canzoni epiche nella loro semplicità, notturne ed evocative, a volte immediate ed altre volte immobili, calde come un abbraccio anche in passaggi apparentemente gelidi. Nulla è fuori posto. Vengono in mente in ordine sparso Mojave 3, Karate, Bedhead, Seam (scusate la commozione), Dakota Suite e Cowboy Junkies, ma sono solo minimi appigli per noi che ne abbiamo bisogno. Non curatevene.
32. The Come Ons “Hip Check!” 2001. (cd SFTRI, nuovo, € 20.66).
Visto nello scaffale, scrutato, smascherato (insomma, gli ospiti si occupano di organo, backing vocals, piano elettrico, tromba, saxofoni, armonica e handclapping!) e preso. Al limite del superfluo l’ascolto, ma come negare a sé e ai presenti, oltre che al negoziante che già sa, un po’ di pura eccitazione qui ed ora? Pare che a Detroit ci sia una nuova scuola di garagers riconvertiti al soul/errebì più puro, e che questi Come Ons ne siano tra i portabandiera, insieme a Now Time Delegation, Dirtbombs e Detroit Cobras. Al mio primo approccio con la cricca, alzo entrambi i pollici. “Hip Check!” è pura dinamite rare groove, ed è nero fino al mimetismo: se Sound Verite mettesse “Mesmerizer” tra un pezzo di Helene Smith ed uno di Mary Jane Hooper ve ne accorgereste? Certo Deanne Iovan non ha la straripante esuberanza vocale delle regine del funk che fu, ma perché farne una colpa quando la signorina scrive tutti i pezzi, canta egregiamente con sensuale distacco, e suona basso e organo? Disco pressochè perfetto, compresi i lenti alla fine di ogni lato (da palpeggio “Strangelove”, da stretta al cuore il country-blues finale di “Dollar In My Pocket” per sole voce, chitarra elettrica e sirena della polizia autentica in sottofondo). Gran bel disco per i vostri party e/o per bollenti session con il vostro lui o la vostra lei, garantito.
Acclamato come capolavoro dell’indie-rock intimista, questo ultimo album del trio di Duluth ha la capacità di sospendere il tempo e la classicità dei grandi. Quando cominci con un pezzo come “Sunflower” ti giochi tutto e rischi grosso, perché è facile mettere per prima la canzone più bella del repertorio, ma sono le altre undici (sette? Nove? Quante canzoni ha l’album rock perfetto? Pari o dispari?) che contano. E queste contano, eccome. Non vorrei contraddirli, ma tra le cose perse nell’incendio dai Low non c’è la capacità di scrivere e suonare grande musica, in forma di canzoni epiche nella loro semplicità, notturne ed evocative, a volte immediate ed altre volte immobili, calde come un abbraccio anche in passaggi apparentemente gelidi. Nulla è fuori posto. Vengono in mente in ordine sparso Mojave 3, Karate, Bedhead, Seam (scusate la commozione), Dakota Suite e Cowboy Junkies, ma sono solo minimi appigli per noi che ne abbiamo bisogno. Non curatevene.
32. The Come Ons “Hip Check!” 2001. (cd SFTRI, nuovo, € 20.66).
Visto nello scaffale, scrutato, smascherato (insomma, gli ospiti si occupano di organo, backing vocals, piano elettrico, tromba, saxofoni, armonica e handclapping!) e preso. Al limite del superfluo l’ascolto, ma come negare a sé e ai presenti, oltre che al negoziante che già sa, un po’ di pura eccitazione qui ed ora? Pare che a Detroit ci sia una nuova scuola di garagers riconvertiti al soul/errebì più puro, e che questi Come Ons ne siano tra i portabandiera, insieme a Now Time Delegation, Dirtbombs e Detroit Cobras. Al mio primo approccio con la cricca, alzo entrambi i pollici. “Hip Check!” è pura dinamite rare groove, ed è nero fino al mimetismo: se Sound Verite mettesse “Mesmerizer” tra un pezzo di Helene Smith ed uno di Mary Jane Hooper ve ne accorgereste? Certo Deanne Iovan non ha la straripante esuberanza vocale delle regine del funk che fu, ma perché farne una colpa quando la signorina scrive tutti i pezzi, canta egregiamente con sensuale distacco, e suona basso e organo? Disco pressochè perfetto, compresi i lenti alla fine di ogni lato (da palpeggio “Strangelove”, da stretta al cuore il country-blues finale di “Dollar In My Pocket” per sole voce, chitarra elettrica e sirena della polizia autentica in sottofondo). Gran bel disco per i vostri party e/o per bollenti session con il vostro lui o la vostra lei, garantito.
08/04/02
Mentre i dischi, nonostante i buoni propositi, si accumulano spaventosamente sullo scaffale, sullo stereo, sul tavolo e sul letto, ne approfitto per un piccolo riepilogo ad uso dei lettori più recenti e per un appello ad uso dei lettori tutti.
Riepilogo: oltre a racconti di vita vissuta, opinioni e quant'altro, "Soul Food" ospita in maniera ordinata e metodica le recensioni di tutti i dischi che compro, dall'inizio del 2002 in avanti. Il numero è dunque progressivo, il link "AMG" porta alla recensione che del disco è stata fatta da All Music Guide. Trattasi di un sito mostruosamente vasto con recensioni, discografie, biografie e informazioni su praticamente TUTTI. Ogni tanto ci scappa la minchiata, ma vale la pena di memorizzarlo tra i preferiti comunque.
Appello: taluni mi scrivono dicendomi che "Soul Food" gli piace, ma che non conoscono i dischi che compro e, dunque, recensisco. Appunto! Li recensisco (anche) per questo! Se non li conoscete ma vi incuriosiscono, cercateli. O chiedetemeli. E fatemi sapere cosa ne pensate, soprattutto!
Riepilogo: oltre a racconti di vita vissuta, opinioni e quant'altro, "Soul Food" ospita in maniera ordinata e metodica le recensioni di tutti i dischi che compro, dall'inizio del 2002 in avanti. Il numero è dunque progressivo, il link "AMG" porta alla recensione che del disco è stata fatta da All Music Guide. Trattasi di un sito mostruosamente vasto con recensioni, discografie, biografie e informazioni su praticamente TUTTI. Ogni tanto ci scappa la minchiata, ma vale la pena di memorizzarlo tra i preferiti comunque.
Appello: taluni mi scrivono dicendomi che "Soul Food" gli piace, ma che non conoscono i dischi che compro e, dunque, recensisco. Appunto! Li recensisco (anche) per questo! Se non li conoscete ma vi incuriosiscono, cercateli. O chiedetemeli. E fatemi sapere cosa ne pensate, soprattutto!
06/04/02
d29. Big Star “Third/Sister Lovers” 1975. (cd Ryko, nuovo, € 9.99, AMG).
Sarò influenzato dalle note interne e, dunque, dalla storia tormentata della Grande Stella e del suo nume tutelare Alex Chilton, ma un senso di abbandono pervade questo terzo travagliato album del gruppo. Il power pop degli inizi è poco più di un ricordo. Il no future è nascosto tra forme rock-pop americane classiche, disperate anche nei momenti di più apparente spensieratezza, da un gruppo ormai allo sbando. Le ballate, soprattutto, fanno venire i brividi: “Kangaroo”, “Big Black Car”, “Holocaust”, “Blue Moon”, “Take Care”, la cover dimessa di “Femme Fatale”. Sembra tutto pericolosamente in bilico, tutto sul punto andare a scatafascio per un soffio d’aria nella direzione sbagliata. Il cd, stampato nel 1992 dalla Ryko, è la versione più ordinata e fedele tra le varie uscite nel corso degli anni, tutte postume e persino con titolo diverso. Oltre ai quattordici brani originali nell’esatta sequenza, cinque bonus tracks provenienti dalle stesse sessioni (“Dream Lover” è proto-Radiohead, la cover di “Whole Lotta Shakin’ Goin’ On” è così inadeguata da fare tenerezza, come fingere di divertirsi mentre è evidente il contrario). Come già detto da molti, gran parte del rock triste ed intimista di ieri e oggi parte da qua.
d30. Ignition “Complete Services” 1994. (cd Dischord, usato, € 7.75).
Fresco reduce dall’avida lettura di “Dance Of Days”, appassionata ed appassionante storia del punk di Washington DC, trovo questa discografia completa su cd degli Ignition, e pur avendo i 3/4 del materiale su vinile, non posso che acquistare. E non posso che consigliare a scatola chiusa a chiunque abbia avuto a che fare in qualunque maniera con il punk o con l’hardcore: leggete il libro, trovate questo disco (come quelli di Rites Of Spring, Embrace, Beefeater, Soulside, Three e tanti altri Dischord e non) e mandate a memoria cosa vuol dire fare le cose perché se ne sente un’esigenza quasi fisica, non perché si decide di farle. Qui sta la differenza, la superiorità, della scena di Washington e di tutte quelle persone per cui punk ha voluto e vuole dire urgenza, creatività, personalità e faccia da cazzo. Non sapete l’inglese? Imparatelo, cristo! È per il vostro bene.
Sarò influenzato dalle note interne e, dunque, dalla storia tormentata della Grande Stella e del suo nume tutelare Alex Chilton, ma un senso di abbandono pervade questo terzo travagliato album del gruppo. Il power pop degli inizi è poco più di un ricordo. Il no future è nascosto tra forme rock-pop americane classiche, disperate anche nei momenti di più apparente spensieratezza, da un gruppo ormai allo sbando. Le ballate, soprattutto, fanno venire i brividi: “Kangaroo”, “Big Black Car”, “Holocaust”, “Blue Moon”, “Take Care”, la cover dimessa di “Femme Fatale”. Sembra tutto pericolosamente in bilico, tutto sul punto andare a scatafascio per un soffio d’aria nella direzione sbagliata. Il cd, stampato nel 1992 dalla Ryko, è la versione più ordinata e fedele tra le varie uscite nel corso degli anni, tutte postume e persino con titolo diverso. Oltre ai quattordici brani originali nell’esatta sequenza, cinque bonus tracks provenienti dalle stesse sessioni (“Dream Lover” è proto-Radiohead, la cover di “Whole Lotta Shakin’ Goin’ On” è così inadeguata da fare tenerezza, come fingere di divertirsi mentre è evidente il contrario). Come già detto da molti, gran parte del rock triste ed intimista di ieri e oggi parte da qua.
d30. Ignition “Complete Services” 1994. (cd Dischord, usato, € 7.75).
Fresco reduce dall’avida lettura di “Dance Of Days”, appassionata ed appassionante storia del punk di Washington DC, trovo questa discografia completa su cd degli Ignition, e pur avendo i 3/4 del materiale su vinile, non posso che acquistare. E non posso che consigliare a scatola chiusa a chiunque abbia avuto a che fare in qualunque maniera con il punk o con l’hardcore: leggete il libro, trovate questo disco (come quelli di Rites Of Spring, Embrace, Beefeater, Soulside, Three e tanti altri Dischord e non) e mandate a memoria cosa vuol dire fare le cose perché se ne sente un’esigenza quasi fisica, non perché si decide di farle. Qui sta la differenza, la superiorità, della scena di Washington e di tutte quelle persone per cui punk ha voluto e vuole dire urgenza, creatività, personalità e faccia da cazzo. Non sapete l’inglese? Imparatelo, cristo! È per il vostro bene.
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