Non so se vi ho mai spiegato i link qui a fianco.
Love Boat Records & Buttons è la mia etichetta. In catalogo ci sono dischi di Altro, A Modern Safari, Deep End, Frammenti, Giardini Di Mirò, J Church e Nuvolablu. C'è anche un sacco di altra roba nella sezione mailorder. Se poi vi interessa realizzare delle spillette con il logo del vostro gruppo o della vostra squadra di pallavolo, ve le faccio io!
Disco Drive è il gruppo in cui suono. Entro la fine di maggio uscirà il nostro primo 7". Sul sito trovate un mp3 e le date dei nostri concerti, per ora.
Sodapop è un'ottima webzine di musica indipendente con cui collaboro. In genere, per Sodapop mi occupo di musica nera in generale e reggae in particolare. Talvolta anche di altro (è online una lunga intervista con Ian MacKaye).
24/04/03
23/04/03
21. The Byrds Fifth Dimension
(Columbia 1966/1996, cd nuovo, € 12.00)
Sempre nello stesso negozio, il resto del catalogo è abbassato tutto a 12 euro. Ottima occasione per completare la quadrilogia dei primi Byrds con il terzo dei titoli in questione, l’unico ancora su cassetta registrata e non sostituito da questa splendida serie di ristampe a medio prezzo, complete di pezzi bonus, foto e grafiche di lusso, note interessantissime e commento track-by-track denso di aneddoti e curiosità.
Ci voleva, perché Fifth Dimension, oltre a essere uno dei dischi chiave della storia del rock, è l’album della maggiore età per i Byrds, il disco nel quale infiltrazioni acide cominciano a farsi strada prepotenti nel folk-rock già predisposto alla psichedelia dei primi due album. È un passaggio non traumatico e netto ma sostanziale: Eight Miles High ne è portabandiera, uno dei massimi esempi di trip rock (anche se la band sostenne sempre la versione del viaggio in aereo), spalleggiata da I See You, John Riley, What’s Happening? e dalla cover del superclassico Hey Joe. La title-track ravviva il marchio di fabbrica jingle-jangle chitarristico dei cinque, mentre Captain Soul e 2-4-2 Fox Trot (The Lear Jet Song) hanno influenze quasi soul-funk, I Come And Stand At Every Door è una scura e inquietante cantilena a tema post-atomico e Wild Mountain Thyme e Mr. Spaceman hanno due modi diversi di suonare tradizionali e bucoliche.
I sei bonus rivelano una band sempre più incline a continuare sulla strada delle sperimentazioni, ma allo stesso tempo già avanti sui tempi. È il 1965, Turn, Turn, Turn ancora spopola in classifica e loro incidono le prime versioni di Why (poi su Younger Than Yesterday, ma molto più acida e temeraria nelle due takes presenti qui) ed Eight Miles High (anch’essa più grezza e fedele alle intenzioni della band). Scusate se è poco. Il traditional I Know My Rider (I Know You Rider) è una meravigliosa fusione di potenza jingle-jangle orientaleggiante e echi beatlesiani, mentre Psychodrama City una sorta di disincantato blues acido e la variazione finale sul tema di John Riley una improvvisata e velocizzata escursione in terreni jazzati.
Perché i Byrds non siano oggi famosi quanto i Beatles resta un mistero.
22. Oasis Definitely Maybe
(Sony 1994, cd nuovo, € 12.00)
Un. Fottuto. Classico.
22/04/03
20. Mandrill Fencewalk: The Anthology
(Polydor 1997, dcd nuovo, € 5.00)
Ma il colpaccio, nel negozio di cui ho detto, è questo. Un gruppo introvabile se non sparso qua e là su compilation (vedi Pulp Fusion: Return To The Tough Side, archivio di maggio 2002), un doppio antologico fatto come dio comanda, cinque euro totali. Soul Mate #65 vince ancora.
Newyorkesi multirazziali guidati dai fratelli di origine panamense Carlos, Lou e “Doctor” Ric Wilson, ed attivi lungo tutti gli anni ’70 principalmente come settetto, i Mandrill furono una delle band che definirono l’era, unendo funk, soul, jazz, psichedelia, rock e musica latina in un calderone bollente, all’insegna della massima libertà creativa, dell’ibridazione tra generi e della positività. Nei sette minuti e trentotto secondi di Rollin’ On c’è tutto, così come nei quattro e trenta di Git It All, e se siete già fans dei più famosi War, Funkadelic ed Earth, Wind & Fire sappiate che i Mandrill stanno lassù con loro, e che anzi i tre colossi citati spesso e volentieri aprivano i concerti dei Mandrill! Guardateli sulla copertina di Just Outside Of Town del 1973: abiti al limite del kitsch -e oltre- portati con orgoglio, palazzoni di periferia sullo sfondo, sguardi fieri di uomini neri consapevoli di essere nel bel mezzo di un epoca irripetibile. In trentuno pezzi e due ore e mezza di musica questo doppio cd ce li fa conoscere ed apprezzare a fondo, ed è una goduria.
La scarsa predisposizione al singolo radiofonico e alcune scelte poco fortunate impedirono purtroppo alla band di diventare popolare come i suddetti, ma se setacciate il mondo hip-hop vi imbatterete in molti campioni dei Mandrill, garantito.
21/04/03
18. Roots Manuva Brand New Second Hand
(Big Dada/Ninja Tune 1999, cd nuovo, € 5.00)
19. Roots Manuva Run Come Save Me
(Big Dada 2001, cd nuovo, € 5.00)
Nello stesso suddetto negozio e per gli stessi 5 euro a pezzo, mi guadagno la discografia quasi completa di Roots Manuva, ovvero quello che è stato unanimemente descritto come il migliore rapper inglese di tutti i tempi. Alcuni staranno pensando a George Weah o a Jari Litmanen, e a quanto sia relativamente facile essere il miglior calciatore di tutti i tempi in Liberia o in Finlandia, ma il paragone per quanto azzardato pare reggere: primo, non si ricordano grandi exploit britannici in campo hip-hop; secondo, Rodney Smith è un rapper di levatura mondiale. Scuro e severo, spesso produttore oltre che rimatore, ha cose da dire e le dice sicuro su basi che fondono hip-hop newyorkese, fumosa battuta bassa come Ninja Tune comanda e influenze jamaicane da buon londinese.
Brand New Second Hand (lo esaltarono all’epoca “Mixmag”, “NME” ed “Echoes”) è un esordio che colpisce, dall’iniziale Movements alle wutangiche Sinking Sands e Juggle Tings Proper, dalle movenze dub di Inna e Strange Behaviour a quelle ragga di Big Tings Gwidarn. Forse solo un po’ troppo lungo e faticoso nella sua parte finale, piazza comunque in chiusura una Motion 5000 degna di nota. Bellissima l’idea grafica, così come quella del successivo Run Come Save Me, entrambe molto poco riconducibili all’iconografia hip-hop tradizionale.
Run Come Save Me è l’album della maggiore età. Dopo un breve interludio di archi e voci eteree, che anticipa la conclusiva e splendida Dreamy Days, è subito il momento della spezzettata Bashment Boogie e del potente singolo Witness (1 Hope), guidato da una vibrazione electro-dub che anima anche la seguente Join The Dots in compagnia di Chali 2na dei Jurassic Five. Dub Styles ha un ritmo reggae trasfigurato stranissimo, ed anche Ital Visions e Highest Grade riverberano echi isolani. Swords In The Dirt è una jam corale con sei amici ospiti, Sinny Sin Sins una lucida autobiografia religiosa.
Non tutto il disco è all’altezza degli episodi citati, anche qui un po’ di pezzi meno fantasiosi appesantiscono il tutto, ma non cambia la sostanza: non sottovalutate Roots Manuva.
19/04/03
17. The Heptones Dub Dictionary
(Trenchtown 2002, cd nuovo, € 5.00)
La musica in mano a chi non la merita.
Allora, c’è questo negozio vicino a casa mia, a due passi dalla stazione ferroviaria. Ha cambiato diverse gestioni, peggiorando di volta in volta. Cominciò (almeno per noi provinciali in cerca di vinili) con una buona selezione rock indipendente a prezzi concorrenziali, e con Dirty dei Sonic Youth in doppio vinile acchiappato dal Musso appena uscito. Continuò con sempre maggior enfasi sul lato black, e mai lo ringrazierò abbastanza per avere avuto quella copia di Jesus Dread, doppio monumentale e pietra miliare del reggae firmata Yabby You. Insomma, uno di quei negozi dedicati al passaggio ma dove rischi spesso e volentieri di trovare la chicca.
Fatto sta che i due tipi mollano, e i nuovi gestori si presentano così: “Offerta black music: tutto a 5 euro” strilla il cartello in vetrina, circondato da dischi che avvicinandosi paiono sempre più interessanti. Ci sono gli Heptones, c’è Tony Allen, il mitico batterista di Fela Kuti, c’è altra roba potenzialmente interessante. Entro, e scopro che quella in vetrina è solo una selezione. Questi vogliono svendere, e non so come ma si respira aria di negozio super pacco in arrivo. Frugo nello scaffaletto e trovo due o tre titoli succosi di cui leggerete, li metto da parte e chiedo di vedere quelli in vetrina. Esco con la commessa/padrona munita di chiave, che mi chiede quali deve prendere. Io vado sicuro: “Mi fai vedere gli Heptones e Tony Allen?”. Lei appare sorpresa e assolutamente fuori posto, ma nondimeno desiderosa di compiacere il cliente: “Però! Te ne intendi eh? Li conosci proprio tutti!”. Io effettivamente li conosco, non quei dischi evidentemente ma i loro autori. Di fronte all’idiozia però ammicco imbarazzato un “Eh… ma… mica tanto…” e intanto penso: “Mah, veramente non li ho mai sentiti. Te l’ho detto per aiutarti a trovarli, visto che i nomi sono scritti grandi così in copertina. che cazzo volevi, che ti facessi quello là col dito e ti dicessi terza fila, quarto da sinistra, copertina verdina con la foto di loro un po’ sfocata? E poi quell’altro là col dito e seconda fila, quinto da destra, di fianco al cartello, copertina nera con le foto messe in riquadri con gli angoli arrotondati. Ma sei cretina o cosa?”.
Lo so, sono un maniaco. Ma la musica in mano a chi non la merita mi fa diventare bastardo. In ogni caso, gli Heptones vengono via con me e Tony Allen no. Anche se Dub Dictionary sembra a prima vista e anche ad un esame più approfondito poco più della classica ristampa reggae smarza che detesto: nel montaggio fotografico in copertina Earl Morgan e Barry Llewellyn sono a fuoco, mentre Leroy Sibbles è sfocatissimo e addirittura sbagliato in Sibblies; il sottotitolo “The backbone inside the Studio 1 catalogue” ha il nome della leggendaria etichetta gigantesco, ancora più grande di quello del gruppo stesso, quando è evidente che Coxsone Dodd nulla ha a che fare con questo disco; le note dicono con incredibile approssimazione che “il 50% dei pezzi è stato registrato e mixato allo Studio One, e l’altro 50% (segue elenco)”, ma subito dopo ci ricordano che la Jamaica è la terra del mare e del sole, e che la maggior parte dei musicisti coinvolti entrerà presto nella Reggae Hall Of Fame; poco più sopra, in calce all’interminabile elenco degli stessi musicisti, il curatore si dice stupito del fatto che alcuni membri dei Wailers agli inizi abbiano suonato in qualcuno di questi pezzi; le note interne, formate dallo stesso Earl Morgan, sono tanto interessanti e toccanti quanto slegate e a tratti quasi deliranti. Tutto sembra messo dove è apposta per convincerci a comprare il disco. Ma dico io, stiamo parlando di una leggenda del reggae, non c’è bisogno di insistere! Leggo però un “Made in Jamaica”, e decido di fidarmi. Di solito i pacchi sono europei o americani.
Vengo poi a sapere sul forum della Blood & Fire che la Trenchtown è l’etichetta semi-bootleg messa in piedi proprio da Earl Morgan, e che Leroy Sibbles (senza tema di smentite, la vera anima del gruppo, per la voce e per il talento di bassista che prestò anche a numerosi altri nomi dell’epoca) sembra non essere troppo felice della sua esistenza. Un’autoproduzione alla jamaicana, insomma, di un uomo che giustamente vuole raccogliere anche un po’ di soldini per se. Il 50% fa tenerezza, l’altro 50% francamente un po’ pena per il modo di vendersi. Ma tutto questo non ha a che vedere con la musica che nel cd è contenuta. Come detto, gli Heptones sono stati una colonna portante del reggae dalla fine dei ’60 alla metà dei ’70, dagli inizi appunto targati Studio One alle prove adulte sotto l’egida di Lee “Scratch” Perry. Queste ventisei tracce –ci sono più versioni strumentali che dub, in realtà… ma la parolina “dub” di questi tempi funziona…- seguono le suddette fasi, ripescando vecchi retri di singoli mai usciti su cd e svelando tesori nascosti (Ivy’s Dub Special su tutti) della carriera del fantastico trio vocale.
Questa telefonata è di nicchia, ma chi capirà apprezzerà.
Lui (che chissà come si spaccia per macrobiotico old school): “Avete dello shoyu?”
Io: “Sì”
Lui: “Ma proprio shoyu, eh! Non salsa di soia. Che non ci sia scritto salsa di soia!”
16. Soledad Brothers Steal Your Soul And Dare Your Spirit To Move
(Estrus 2002, cd usato, € 8.00)
Cristo, ho comprato la quinta e la sesta facciata di Exile On Main Street? È il blues revival baby, e i Fratelli Di Soledad (ebbene sì…) ci stanno in pieno, pur essendo uno di troppo rispetto all’obbligatoria formazione a due: Johhny Walker (era quello con l’etichetta storta, o sbaglio?) è il leader, Oliver Henry e Ben Swank i due guardiaspalle.
A metà tra il puro revival e la sua reinterpretazione sta questo loro secondo album: se suoni, energia e un certo lasciarsi andare rivelano un approccio punk alla materia, l’impressione più forte è quella del devoto alle prese con i classici, teso a replicarne oltre allo spirito anche l’estetica. Ma tutto questo non vuol dire che Steal Your Soul And Dare Your Spirit To Move sia un brutto disco, fatto di cavalcate elettriche che sferragliano a destra e sinistra e litanie scure, arricchito da sax, piano e armonica, e da testi niente affatto da buttare. Che dire ancora? “My name is Johhny, you deal with me now”.
Lui (che chissà come si spaccia per macrobiotico old school): “Avete dello shoyu?”
Io: “Sì”
Lui: “Ma proprio shoyu, eh! Non salsa di soia. Che non ci sia scritto salsa di soia!”
16. Soledad Brothers Steal Your Soul And Dare Your Spirit To Move
(Estrus 2002, cd usato, € 8.00)
Cristo, ho comprato la quinta e la sesta facciata di Exile On Main Street? È il blues revival baby, e i Fratelli Di Soledad (ebbene sì…) ci stanno in pieno, pur essendo uno di troppo rispetto all’obbligatoria formazione a due: Johhny Walker (era quello con l’etichetta storta, o sbaglio?) è il leader, Oliver Henry e Ben Swank i due guardiaspalle.
A metà tra il puro revival e la sua reinterpretazione sta questo loro secondo album: se suoni, energia e un certo lasciarsi andare rivelano un approccio punk alla materia, l’impressione più forte è quella del devoto alle prese con i classici, teso a replicarne oltre allo spirito anche l’estetica. Ma tutto questo non vuol dire che Steal Your Soul And Dare Your Spirit To Move sia un brutto disco, fatto di cavalcate elettriche che sferragliano a destra e sinistra e litanie scure, arricchito da sax, piano e armonica, e da testi niente affatto da buttare. Che dire ancora? “My name is Johhny, you deal with me now”.
18/04/03
15. All Saints Saints & Sinners
(London 2000, cd usato, € 4.00)
Il resto è poca roba, ma credetemi quando vi dico che Pure Shores e Black Coffe sono due capolavori pop che fermano il tempo, nonché due tra le mie canzoni preferite in assoluto.
Fra venti anni, riascoltandole come fosse la prima volta, ringrazierò quel negoziante di Macerata per avermi finalmente convinto con la forza di un’offerta speciale a comprare Saints & Sinners (il cd singolo di e Black Coffe già lo avevo, ma qui ci sono tutte e due insieme…). Sai che me ne frega di un jewel case rotto.
16/04/03
Rieccoci qua, dopo molto tempo. Un po' è colpa mia, un po' di questo benedetto Blogger che fa scherzi. In ogni caso, I'm back muthafuckas.
12. Desiderata Desiderata
(Dischord/Desiderata 1991, 7” usato, € 6.00)
Volendo seguire l’evoluzione della scena di Washington DC e delle varie direzioni in cui il suo suono è andato, sono di enorme aiuto le cosidette half-label releases, ovvero i dischi che la grande mamma Dischord decide di produrre in collaborazione con etichette cittadine più piccole, fornendo supporto e moneta. Il settore giovanile, insomma, della prima squadra.
Sono uscite difficilissime da trovare, qui. i distributori importano solo le uscite 100% Dischord, e per il resto tocca affidarsi ai gruppi in tour o alla carta di credito. Come sarà arrivato qui questo singolo dei Desiderata, per esempio?
Chi segue l’hardcore si ricorderà di loro in apertura della storica compilation Give Me Back edita da Ebullition all’inizio degli anni ’90, dedicata alla violenza sessuale e intitolata come un verso degli Embrace di Ian MacKaye. Alla voce c’è la sorella di Ian, Amanda, e questo è un po’ l’altro motivo per cui tutti si ricordano dei Desiderata. Non avendo mai visto la band dal vivo, il loro unire energia punk e ricordi di rock duro non mi ha fatto impazzire, così come la voce di Amanda non mi sembra niente di trascendentale. Non male il break percussivo di Walking In My Sleep, comunque. Insomma, una band minore nel panorama DC, ma sempre una testimonianza di una scena fondamentale.
13. Cadallaca Out West
(Rough Trade/Kill Rock Stars 1999, cds usato, € 3.50)
Corin Tucker (spero di non dovervi dire in che gruppo suona), STS (Haggard) e Sarah Dougher sono -erano?- Cadallaca. Un album su K nel 1998 e questo ep le uniche testimonianze reperibili, entrambe poco distanti dai territori battuti da Sleater-Kinney (ecco, ve l’ho detto) e dai brani più movimentati della stessa Dougher. Ricordo che all’epoca rimasi impressionato dall’album, e che cercai invano questo ep quando seppi della sua uscita. Ora, perdipiù con le suddette Sleater-Kinney diventate il miglior gruppo rock del pianeta, suona meno essenziale di quanto immagino avrebbe suonato all’epoca. E mancano pure i testi, tra l’altro. Ma per la collezione andrà benissimo, e si fa pure ascoltare con piacere (soprattutto quando Sarah Dougher prevale).
14. Bright Eyes 3 More Hit Songs By Bright Eyes
(Wichita 2002, cds usato, € 3.50)
Singolo europeo per l’enfant prodige Conor Oberst, che a dir la verità conosco poco o nulla. Mi prestarono Fevers & Mirrors al tempo, ma al primo ascolto non mi dissero molto, e mi toccò passare oltre. A sentire Lover I Don’t Have To Love -legittima quanto un po’ trita ode alla promiscuità condita da alcool e droghe, quelle cose che ai giovani piace raccontare quanto fare, ma che alle mie orecchie vecchie e ciniche suonano un po’ così…- su pop epico di derivazione Radiohead, mi devo ricredere: il giovanotto è meno pizzoso di quanto ricordassi. Completano il singolo due brani tratti dall’ep americano There Is No Beginning To The Story: una verisone live di Out On The Weekend di Neil Young e l’acustica e casalinga Amy In The White Coat (peccato manchi il testo).
Insomma, se qualcuno me lo masterizza e mi fotocopia il booklet posso ricambiare.
12. Desiderata Desiderata
(Dischord/Desiderata 1991, 7” usato, € 6.00)
Volendo seguire l’evoluzione della scena di Washington DC e delle varie direzioni in cui il suo suono è andato, sono di enorme aiuto le cosidette half-label releases, ovvero i dischi che la grande mamma Dischord decide di produrre in collaborazione con etichette cittadine più piccole, fornendo supporto e moneta. Il settore giovanile, insomma, della prima squadra.
Sono uscite difficilissime da trovare, qui. i distributori importano solo le uscite 100% Dischord, e per il resto tocca affidarsi ai gruppi in tour o alla carta di credito. Come sarà arrivato qui questo singolo dei Desiderata, per esempio?
Chi segue l’hardcore si ricorderà di loro in apertura della storica compilation Give Me Back edita da Ebullition all’inizio degli anni ’90, dedicata alla violenza sessuale e intitolata come un verso degli Embrace di Ian MacKaye. Alla voce c’è la sorella di Ian, Amanda, e questo è un po’ l’altro motivo per cui tutti si ricordano dei Desiderata. Non avendo mai visto la band dal vivo, il loro unire energia punk e ricordi di rock duro non mi ha fatto impazzire, così come la voce di Amanda non mi sembra niente di trascendentale. Non male il break percussivo di Walking In My Sleep, comunque. Insomma, una band minore nel panorama DC, ma sempre una testimonianza di una scena fondamentale.
13. Cadallaca Out West
(Rough Trade/Kill Rock Stars 1999, cds usato, € 3.50)
Corin Tucker (spero di non dovervi dire in che gruppo suona), STS (Haggard) e Sarah Dougher sono -erano?- Cadallaca. Un album su K nel 1998 e questo ep le uniche testimonianze reperibili, entrambe poco distanti dai territori battuti da Sleater-Kinney (ecco, ve l’ho detto) e dai brani più movimentati della stessa Dougher. Ricordo che all’epoca rimasi impressionato dall’album, e che cercai invano questo ep quando seppi della sua uscita. Ora, perdipiù con le suddette Sleater-Kinney diventate il miglior gruppo rock del pianeta, suona meno essenziale di quanto immagino avrebbe suonato all’epoca. E mancano pure i testi, tra l’altro. Ma per la collezione andrà benissimo, e si fa pure ascoltare con piacere (soprattutto quando Sarah Dougher prevale).
14. Bright Eyes 3 More Hit Songs By Bright Eyes
(Wichita 2002, cds usato, € 3.50)
Singolo europeo per l’enfant prodige Conor Oberst, che a dir la verità conosco poco o nulla. Mi prestarono Fevers & Mirrors al tempo, ma al primo ascolto non mi dissero molto, e mi toccò passare oltre. A sentire Lover I Don’t Have To Love -legittima quanto un po’ trita ode alla promiscuità condita da alcool e droghe, quelle cose che ai giovani piace raccontare quanto fare, ma che alle mie orecchie vecchie e ciniche suonano un po’ così…- su pop epico di derivazione Radiohead, mi devo ricredere: il giovanotto è meno pizzoso di quanto ricordassi. Completano il singolo due brani tratti dall’ep americano There Is No Beginning To The Story: una verisone live di Out On The Weekend di Neil Young e l’acustica e casalinga Amy In The White Coat (peccato manchi il testo).
Insomma, se qualcuno me lo masterizza e mi fotocopia il booklet posso ricambiare.
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