07/09/11

La seconda "i"

Su quanto e come le lingue straniere - senza scomodare il mandarino e nemmeno lo spagnolo, le prime due al mondo, restiamo per prudenza sulla terza e più convenzionalmente universale inglese - siano parlate dagli italiani, ci sarebbe da scrivere una tesi di laurea.

Personalmente, ho un debole per questo breve video girato durante il piccolo pogrom di Rosarno del gennaio 2010, in cui un presunto baluba zulu ignorante sintetizza come meglio non si potrebbe lo stato delle cose a riguardo.

Rosarno (Italy) - African citizen explain the protest from AfricanewsITALY on Vimeo.

E, sempre personalmente, ho provato brividi di natura perversa quando un amico, di professione fonico per un noto giovane ("Ma giovani..." "Sotto i cinquantacinque anni") gruppo rock italiano, mi ha raccontato di come presso il celebre festival estivo ungherese Sziget esista, oltre al campeggio libero e a quello VIP, il cosiddetto "campeggio italiano". Ovvero, un'area consigliata esplicitamente ai nostri connazionali ("ristorante italiano, info point con staff che parla italiano e inglese e con prese per caricabatterie. Operato da L'Alternativa Srl, venduto in Italia ed Olanda") e creata perchè, secondo quanto detto al mio amico da una organizzatrice dell'evento, nessuno degli italiani parla inglese ed è più semplice e comodo raggrupparli tutti insieme.
Che all'estero cercano comunque cibo italiano perchè è sempre il più buono, e che vengono dalla seconda nazione al mondo con più cellulari pro-capite, non lo ha detto ma lo ha sicuramente pensato.

Di isi pil (si scrive come si legge) e carefree (si legge come si scrive) non parlo nemmeno. Così come non apro il solito buco nero del doppiaggio di film e programmi tv (però cazzo, almeno le repliche delle repliche di Bourdain su Rai5 le vogliamo sottotitolare e non doppiare?).
Apro invece quello, anch'esso esplorato fino allo sfinimento, dei titoli che in Italia vengono dati ai film stranieri, perché da lì arriva lo spunto.

Da qualche tempo lavoro in libreria, in una nota catena nazionale che vende anche dischi e film. Vedo sullo scaffale il dvd di Away We Go di Sam Mendes, che mi avevano prestato in lingua originale, e vedo - con discreto ritardo, essendo uscito nei cinema alla fine del 2010 - che è stato intitolato American Life. Il che porta l'arte italica del titolo a cazzo di cane a un livello superiore.
Ovvero: non cambio il titolo in inglese con la sua traduzione in italiano (legittimo, lo concedo) e nemmeno cambio il titolo in inglese con un titolo in italiano che non c'entra nulla (pessimo).
No, cambio il titolo in inglese CON UN ALTRO TITOLO IN INGLESE, che non c'entra nulla.
Ma che c'entra eccome, intitolandosi American Beauty il precedente e molto fortunato film dello stesso regista. Il quale, ignaro dei meccanismi di marketing dei media italiani e di quelli mentali del pubblico italiano, passerà pure per uomo di scarsa fantasia che approfitta della situazione.
(Ora che ci penso, lo stesso vale per Denis Arcand: Le invasioni barbariche per Les invasions barbares ci stava, per carità, ma Le età barbariche per L'âge des ténèbres? Ok, chiudiamo subito la parentesi o fra un attimo ce ne sono altri mille).

Creo un filone, insomma.
Poco distante da quel dvd sta lo scaffale con la classifica dei libri più venduti, e lì noto lo stesso meccanismo applicato ai libri. Di autori diversi.
Sembra uno scherzo, cazzo.
Il linguaggio segreto dei fiori, di Vanessa Diffenbaugh, Garzanti (titolo originale: The Language of Flowers); e a rimorchio:
- Il profumo delle foglie di limone, di Clara Sánchez, sempre Garzanti (titolo originale: Lo que esconde tu nombre);
- Il profumo della cannella, di Samar Yazbek, Castelvecchi (titolo originale: Ra'ihat al-Qirfa, in inglese chissà quanto fedele Cinnamon);
- Il profumo del tè e dell'amore, di Fiona Neill, Newton Compton (titolo originale: Friends, Lovers and Other Indiscretions);
- Il gusto segreto del cioccolato amaro, di Kevin Alan Milne, Sperling & Kupfer (titolo originale: Sweet Misfortune).

[10/9 - manco a farlo apposta, ieri vado al lavoro e ne trovo altri due appena usciti:
- Il segreto della collana di perle, di Jane Corry, Newton Compton (titolo originale: The Pearls);
- Gli ingredienti segreti dell'amore, di Nicolas Barreau, Feltrinelli (titolo originale: Das Lächeln der Frauen, in italiano "I sorrisi delle donne").]

[12/9 - manco a farlo apposta, oggi vado al lavoro e ne trovo altri tre:
- Gli ingredienti dell'amore perfetto, di Kate Jacobs, Piemme (titolo originale: Comfort Food);
- Il gusto proibito dello zenzero, di Jamie Ford, Garzanti (titolo originale: Hotel on the Corner of Bitter and Sweet);
- Un'eredità di avorio e ambra, di Edmund de Waal, Bollati Boringhieri (addirittura!) (titolo originale: The Hare with Amber Eyes. A Hidden Inheritance).]

Non siamo considerati molto intelligenti, insomma. Forse a ragione.

9 commenti:

Francesco ha detto...

Mi rendo conto che, se cominciamo, il giochino rischia di non terminare mai, ma "The Eternal Sunshine Of The Spotless Mind" che diventa "Se mi lasci ti cancello" è criminale. Per non parlare dell'ISBN che trasforma "Bring the Noise" in "Hip Hop Rock" (e davvero titolo più brutto non si poteva)...

popsylon ha detto...

Per curiosità quante lingue parlano gli inglesi e i suoi cugini?
A me fa ribrezzo sentire dire e leggere Venice (potrei confonderla per vernice) al posto di Venezia.
Poi quando impareranno che si guida a dx, si dice km ed esiste il litro allora magari cambierò opinione.
Poi ci sono puere quelli che si incazzano perchè pronunciamo male Arkansas. Voglio sentire un anglo pronunciare Friuli Venezia Giulia correttemente.

Andrea Pomini ha detto...

Francesco:
è davvero un gioco senza fine e purtroppo antico. Scrivendo il post volevo sottolineare però soprattutto il passaggio a un livello superiore.
Ovvero, non il semplice titolo cambiato con un altro che non c'entra un cazzo, e nemmeno la serialità di titoli a cazzo nell'opera di un autore (come nell'esempio di Sam Mendes), cose alle quali eravamo già tristemente abituati, bensì l'invenzione di una serialità che riunisce autori e libri diversi. La creazione di una associazione di idee fittizia ma, nei loro programmi, quantomeno redditizia.

*****

Popsylon:
ho usato l'esempio dell'inglese non in quanto *lingua parlata dagli inglesi*, ma in quanto *lingua universalmente usata in tutto il mondo come sorta di lingua franca*.
A me interessa parlare e capire l'inglese non perchè lo parlano e lo capiscono in Inghilterra, ma perchè lo parlano e lo capiscono *in tutto il mondo*.

Lo Sziget di cui parlo nel post è in Ungheria, non in Scozia.
Gli italiani che ho visto tentare di esprimersi in un inglese primitivo e del tutto inadeguato, di fronte a locali dotati invece di un inglese semplice ma efficace, non erano (solo) in Inghilterra o negli Usa, ma in tutto il mondo. Anche in paesi del cosiddetto "terzo mondo".

Se il mondo si fosse evoluto diversamente e questa lingua universale non fosse l'inglese ma il rumeno o l'islandese, il discorso non cambierebbe di una virgola. E non riguarderebbe i parlanti "originali" di quella lingua, e l'eventualità che rumeni o islandesi a loro volta non parlino bene la mia lingua.
Non sono tenuti a farlo, la mia lingua non è una lingua universale parlata e capita in tutto il mondo.

Detto questo, sono d'accordo con te, gli inglesi e gli americani non brillano per disponibilità verso le lingue straniere.
Ma se loro dicono Venice noi diciamo "Londra" e "Dublino", noi diciamo "talebani" (con numero di b variabile da 2 a 4) e tutto il resto del mondo usa il corretto "taliban", e via di seguito. In quanto a trasformazione di nomi stranieri nella propria lingua, gli italiani restano dei maestri insuperabili.
Quando troviamo una "h" in un nome slavo o arabo non ci sogniamo nemmeno lontanamente di pronunciarla, appena vediamo tre consonanti o tre vocali vicine diciamo "nome impronunciabile" (i telecronisti del calcio sono specialisti in questo), e via di seguito anche qui.

Ma ripeto, il discorso non è questo. Il fatto che io pronunci male Arkansas e uno dell'Arkansas pronunci male Friuli Venezia Giulia è nell'ordine delle cose.

Questo, infine --- "Poi quando impareranno che si guida a dx, si dice km ed esiste il litro allora magari cambierò opinione" --- preferisco non commentarlo.

popsylon ha detto...

A Rosario hanno ben altri problemi e sarei più contento che imparassero il gaelico stretto, passassero tutte le loro ferie nella ridente Irlanda e buttassero a mare i delinquenti che infestano la Calabria (ma vale anche per il resto dell’Italia).
Comunque sono d’accordo con te in parte, poi il blog è tuo e non voglio rompere e farti perdere tempo.
L’inglese è sicuramente una delle lingue più parlate del mondo ma solo per quelli che svolgono certi lavori e viaggiano da mattina a sera.
A mio avviso, nel resto del mondo, diciamo sui cinque miliardi, l’inglese non lo conosce manco di striscio o volendo, solo per alcune parole legate all’uso di qualche prodotto entrate di routine.
Il ragazzo del video non l’ha imparato per diletto ma coattamente nelle scuole del suo paese, come il francese in mezza Africa, ma se avesse potuto avrebbe preferito parlare solo la sua lingua, lavorare nel suo paese, fregarsene di girare tutto il mondo ed imparare solo un centinaio di parole, tanto per farsi capire.
Per quanto riguarda i film tradotti c’è da dire che servivano negli anni scorsi principalmente per far conoscere l’italiano alla maggior parte della popolazione che parlava ancora dialetti diversi. Poi a dirla tutta preferisco le voci di Cigoli, Panicali, Simioneschi e De Angelis agli originali. Vale anche per i rumoristi, preferisco rumori finti agli originali.
D’altronde a vedere i film sottotitolati, cosa a cui gli americani non gliene può fregar di meno (solo a qualche cinefilo), mi si storpiano gli occhi ed inoltre non ci penso proprio a far veder Rapunzel o Paperino a mio figlio in originale.
Penso che gli inglesi e gli americani dovrebbero cantare invece di parlare. I primi si masticano le adenoidi i secondi parlano con un dito nel naso (ma questo non vuol dire nulla: opinione personalissima).
D’altronde il sottoscritto nelle canzoni per il 50% non ha mai capito una mazza, per il 40% non fregava nulla e per un 10% qualcosa di interessante rimaneva. Stessa percentuale per i testi italiani.
Per quanto riguarda la pronuncia, l’inglese è una delle più incomprensibili ed hanno dovuto inventare lo spelling per capirsi.
Guarda un po’, dopo il disastro aereo più clamoroso della storia a Tenerife hanno dovuto mettere frasi standard per capirsi tra piloti e torre di controllo. Se avessero usato i numeri era lo stesso.
Mi viene pure in mente la perdita di un satellite su Marte per sbaglio di unità di misura tra sistema metrico decimale e quello anglosassone (250 miliardi buttati nel cesso).

Francesco ha detto...

Andrea:
Assolutamente d'accordo! Non credo che si evinca dal mio post, ma la citazione di "Se mi lasci ti cancello" voleva essere esemplificativa proprio in questo senso. E cioè l'idea (folle) di voler "vendere" il film di Gondry a un pubblico che si aspetta "Se scappi ti sposo" et similia, creando di fatto quell'assurda serialità di cui giustamente parlavi tu.

Popsylon:
Con tutto il rispetto per le tue opinioni, volevo solo farti notare che i tuoi due post rappresentano proprio la lagnanza dell'italiano medio che all'estero ha bisogno del supporto offerto, ad esempio, dagli organizzatori dello Sziget. Non entro nel merito semplicemente perché, come giustamente dicevi tu, questo blog non è il nostro. Però ti assicuro che, da calabrese e traduttore, spero che questo genere di mentalità cambi.
PS: il paese si chiama Rosarno, non Rosario.

Andrea Pomini ha detto...

Il ragazzo del video non dice "Io parlo l'inglese, voi no".
Dice "Gli olandesi, i tedeschi e tutti gli altri parlano l'inglese, voi no".

popsylon ha detto...

Rosario è colpa del correttore automatico e 250 milioni non miliardi!
Prima considerazione: tu fai il traduttore mica il professore d’italiano ed è logico che tu debba sapere l’inglese. Il mio idraulico, medico o meccanico se non lo sanno per me fa lo stesso basta che siano bravi.
Esempio mio: lessi su una pubblicazione medica che fino agli anni ’90 una gran parte degli articoli pubblicati americani erano pieni di dati falsi perché ogni anno negli USA si deve dimostrare quello che produci e quindi si faceva prima a falsificare che a rendere.
Quello che è successo dopo non si sa ma, visto che tira una brutta aria, non ci metterei la mano sul fuoco. Preferiscono, a mio avviso, farsi mettere il nome (obbligatoriamente) su lavori scientifici di altri nazioni.
Seconda considerazione: se io organizzo un concerto internazionale in Italia ci devo mettere gente che sappia l’inglese è logico, ma fanno sempre parte della schiera di lavori che hanno a che fare con traduttori. Per gli italiani nel recinto non ò che lo fanno per controllarci meglio? Non siamo purtroppo precisini come gli olandesi e tedeschi.
Personalmente anch’io farei dei campeggi, spiagge ed alberghi per russi, ungheresi e bulgari. Avevo una bis di coppie vicine di ombrellone e partivano dalle 10 a bersi birre in spiaggia a 40 C.. Non so se parlassero inglese, ma non penso che in tutta l’Ungheria lo mastichino fluentemente.
Terza: se si impara è meglio, se non lo si sa fa nulla. Per mio umilissimo conto.

Francesco ha detto...

Non ho parole...

cratete ha detto...

Gli italiani sanno talmente poco l'inglese che anche i sottotitoli del video postato sopra son sbagliati: "Go to Spain, go to Germany: they speak german, they speak deutsch" è stato tradotto "Andate in Germania, in Olanda. Parlano tedesco e olandese [...]".
E comunque, nulla da eccepire su tutta la linea: indisponibilità italiana, machiavellismo ignorante delle case editrici, triste considerazione che suppongo all'estero abbiano di noi in quanto popolo.
Detto questo, per guardare un poco di pagliuzza anche negli occhi altrui, a dispetto di quanto dice il ragazzo intervistato nel video, in Spagna ho sempre provato molta frustrazione quando ho cercato di parlare con la gente in inglese. L'ultimo caso provato è quello del gestore di un ostello che l'inglese non lo parlava per niente, lo scriveva soltanto grazie a google translate. E a suo dire (perché gliel'ho chiesto) non aveva problemi col suo lavoro, anche se l'ostello si trovava in centro a Barcellona.


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