Pensavo e speravo che questo momento non arrivasse mai, o quantomeno che tardasse e tardasse, ma alla fine non ce l’ho fatta. Fratelli e sorelle mi tocca finire qui. La vita prosegue incurante di questa misera paginetta, gli impegni si accumulano e diventano sempre più seri, il tempo è sempre lo stesso. Diventa indispensabile tagliare, e “Soul Food” non è l’unico ramo a farne le spese. Pensavo di potercela fare, per un po’ ce l’ho fatta, ma sotto sotto forse mi sbagliavo. Un “Soul Food” blando che timbra il cartellino non è il “Soul Food” che avevo in mente e che nei suoi migliori momenti è stato. Spero sarete d’accordo con me.
E ora? Potete rileggere gli archivi (fino a quando Blogger vorrà tenerli in piedi), potete continuare a scrivermi (forse ora avrò più tempo per rispondervi, chissà…), potete tenere d’occhio il sito della mia etichetta (Love Boat) e quello del mio gruppo (Disco Drive), potete -se proprio vi mancherò- leggermi in edicola su “Rumore” e online su “Sodapop”. Capito perché?
Ma potete, soprattutto, uscire di casa e andare a cercare dischi perché sentite che in quel momento è l’unica cosa che davvero volete fare. Tornare con nomi mai sentiti o titoli che cercavate da anni, offerte speciali inaspettate e mezzi pacchi da far fuori subito. “Soul Food” parlava anche e soprattutto di questo.
Andate e moltiplicatevi.
PS - Visto il consueto e spesso massiccio scarto temporale tra il giorno dell’acquisto e quello della pubblicazione, ci sono un po’ di titoli che attendevano pazientemente il loro turno. Per uno di questi mi ero portato avanti con il lavoro, degli altri vi bastino i dati essenziali.
32. VV.AA. In The Beginning There Was Rhythm
(Soul Jazz 2002, cd nuovo, € 20.60)
33. Antelope Antelope
(Dischord/Bug 2003, cd nuovo, € 10.00)
34. Measles Mumps Rubella Measles Mumps Rubella
(demo 2002, cd nuovo, € 5.00)
35. Measles Mumps Rubella Zusammen Mit Motown / Lighters Out
(M’alady’S 2003, 7” nuovo, € 5.00)
36. The Rolling Stones Singles Collection – The London Years
(Abkco 1986, 3cd usato, € 7.15)
Uno di quei colpi che ti fanno ridere a settantacinque denti. Leggendario cofanetto che ordina cronologicamente in tre cd, con note dettagliatissime su ogni singolo pezzo, tutti i singoli degli Stones usciti su London. Quindi: il periodo migliore. Quindi: la scaletta ideale, perché è sui singoli che si basa la discografia della band negli anni ’60. Quindi: a soli 15 euro, ulteriormente abbassati da un po’ di croste lasciate in cambio al negoziante, chi non lo prende è clinicamente morto. Chi lo vende, lasciamo perdere. Chi lo prezza 15 euro, magari pensandolo alla stregua delle raccoltazze doppie o triple che tutti conosciamo, lasciamo perdere. Archivi di ottobre e novembre 2002 per approfondire.
37. The Stranglers Rattus Norvegicus
(United Artists 1977, lp usato, € 2.85)
38. White Stripes Elephant
(XL 2003, cd nuovo, € 17.50)
39. Junior Kelly Bless
(Penitentiary 2003, cd nuovo, e 20.10)
40. Joe Bataan Latin Funk Brother
(Vampi Soul 2003, cd usato, € 10.33)
41. Massive Attack Special Cases
(EMI 2003, cds nuovo, € 5.60)
42. Painè Spontaneous
(Temposphere 2003, cd nuovo, € 16.90)
43. Bright Eyes Lifted or The Story Is In The Soil, Keep Your Ear To The Ground
(Saddle Creek/Wichita 2002, cd usato, € 10.33)
44. Amanda Woodward Ultramort
(autoprodotto 2002, cd nuovo, € 6.00)
45. Amanda Woodward Pleine De Grâce
(Waiting For An Angel 2003, cds nuovo, € 5.00)
46. Nusrat Fateh Ali Khan Mustt Mustt
(Real World 1990, lp usato, € 5.00)
47. Tsunami Deep End
(Simple Machines 1992, lp usato, € 5.00)
48. Beauty Pill The Cigarette Girl From The Future
(De Soto/Dischord 2001, cd nuovo, € 8.00)
49. VV.AA. We Are Getting Bad – The Sound Of Phase One
(Motion 2003, cd nuovo, € 20.00)
50. The Kills Black Rooster e.p.
(Domino 2002, mcd usato, € 5.00)
51. Broadcast Pendulum
(warp 2003, cds nuovo, € 5.50)
52. Il Balletto Di Bronzo Ys
(Polydor 1972/2993, cd nuovo, € 4.80)
53. VV.AA. Funk Drops – Breaks, Nuggets And Rarities
(Warner 2001, cd nuovo, € 12.85)
26/05/03
11/05/03
31. La Quiete/The Apoplexy Twist Orchestra split
(Heroine 2003, 7” nuovo, € 3.00)
Ho perso il contatto già da tempo con tutto quanto è screamo (leggi: scream+emo, leggi la strada che parte dell’hardcore punk ha preso dai tardi ’90 in poi), e faccio francamente fatica a orientarmi nella miriade di dischi usciti ed etichette attive in tutto il mondo. Non sono quindi la voce più attendibile in materia (se mai in qualche materia lo sia), ma vi dico lo stesso che secondo me i romagnoli La Quiete hanno i numeri per elevarsi. L’ingresso in formazione del boy wonder Roccu ha fatto alzare il tiro, rendendo più complicate ed epiche le trame chitarristiche melodiche appoggiate sul caos prodotto dal resto della band. Se devo trovare un punto debole, dirò che la voce mi sembra poco efficace, e che i pezzi dello split con i francesi Acrimonie avevano un’immediatezza maggiore. Sull’altro lato, la tedesca Orchestra Del Colpo Apoplettico suona al confronto molto più metallica e datata, e non mi dice molto.
30. Morrissey Bona Drag
(EMI 1990, lp nuovo, € 4.20)
Qui davvero non so da che parte cominciare.
Forse un giorno mi dilungherò sugli Smiths e sulla mia adolescenza. Bastino i segni indelebili che hanno lasciato, non solo fisicamente.
Quando si sciolsero, i seguaci presero più o meno due strade: chi continuò a seguire fedelmente Morrissey e chi invece lasciò perdere. Il sottoscritto appartiene (da solo?) alla seconda categoria. Uscì Suedehead e mi piacque, ma lasciai perdere. Non so bene perché. Oggi posso ripensarci per la prima volta. Gli Smiths erano una cosa, Morrissey un’altra. Certo i testi sono scritti dalla stessa persona, e non ricondurrei la fondamentale differenza alla sola chitarra di Marr o alla ritmica Joyce/Rourke, o alla più nitida forma pop delle prove soliste. È tutto ad essere diverso. Manca la violenza. Gli Smiths furono un’esperienza violenta, perché rivelatoria e cruda, perché inevitabile e indispensabile.
Morrissey è un’altra cosa, e chissà perché non mi ha mai coinvolto al di là dell’ascolto del singolo di turno. Non che non mi piacesse, semplicemente e involontariamente non mi interessava. Comprai Viva Hate usato qualche tempo fa, ma è inutile calcolare la frazione di ascolti che ha avuto in rapporto a qualunque vinile degli Smiths. Addirittura, non ero nemmeno sicuro che il mio unico disco di Morrissey non fosse proprio questo, prima di comprarlo e magari ritrovarmi in casa un doppione!
A mente fredda e molti anni dopo, ascolto Bona Drag con molta curiosità (e nonostante la copertina davvero orribile... è così bello il retro, non potevano invertire?). È una raccolta di singoli, uscita solo due anni dopo il suo esordio solista. Ma in quei due anni di singoli ce ne sono stati ben sette, due tratti dal suddetto esordio e ben cinque rimasti lì a riempire la lunga attesa per il seguito, il poco fortunato Kill Uncle. Si tratta, dicono gli esperti, di alcune tra le migliori cose a nome Morrissey. Si tratta, dico io, di un gran bel disco. I lati a sono ormai storici -Suedehead, Everyday Is Like Sunday, The Last Of The Famous International Playboys, Interesting Drug, Ouija Board, Ouija Board, November Spawned A Monster e Piccadilly Palare- e tra i lati b spuntano chicche come Hairdresser On Fire e Such A Little Thing Makes Such A Big Difference (oltre alla citazione/omaggio/ripoff di quel capolavoro assoluto che è How Soon Is Now? in Disappointed).
Ora però basta, o divento nostalgico.
29. Public Image Limited Paris In The Spring
(Virgin 1980, lp nuovo, € 4.20)
Sempre nei piani alti del negozietto, sempre in edizione italiana ancora incartata, trovo questo live dei Public Image Limited. Passo indietro: dei P.I.L. non ho nulla. Ricordo l’omonima Public Image Ltd. su una cassetta punk di quarta generazione doppiata dal fratello maggiore di un amico a quattordici anni circa, e ricordo come fu l’unico pezzo a piacermi quando ascoltai sconcertato l’intero First Issue. Capirete, spero: avevo appena scoperto i Sex Pistols e già mi toccavano i Public Image Limited! Ricordo anche, l’anno seguente, il disco che si chiamava Album su vinile, Compact Disc su cd e Cassette su cassetta, quello con il singolo che si vedeva anche in tv, e fui più volte sul punto di comprarlo in uno dei due negozi cittadini. Ma allora di dischi ne compravo uno o due al mese, e scelsi altirmenti.
Moltissimi anni dopo, memore dell’incitamento dell’ex collega pericolosamente simile all’Ozzy giovane a cui già accennai, trovo questo live e lo prendo a scatola chiusa. Tre pezzi dall’esordio e quattro dal successivo Metal Box/Second Edition. Il suono è immediatamente ostico, Theme piazzata in apertura non aiuta certo, ma presto vengono fuori le ritmiche dubbeggianti che Ozzy mi magnificava. La voce di Lydon è fastidiosa il giusto, i tempi sono caterpillar di basso e batteria (le quattro corde di Jah Wobble sono ancora della partita) percorsi da lancinanti sventagliate di chitarra a cura di Keith Levene. C’è spazio anche per accelerazioni dance mutanti (Bad Baby), timidi ricordi punk (Low Life) e sprazzi di pop (la finale Poptones). Mi piace.
10/05/03
28. Pete Shelley XL1
(Genetic/Island 1983, lp nuovo, € 4.20)
Ancora Buzzcocks. Pete Shelley ne era leader e autore principale, ma quello che doveva diventare il quarto album di una band unica e in continua progressione diventò in realtà il suo primo vero disco solista. Entrato in studio per registrare dei provini con il produttore Martin Rushent, ne uscì completamente flippato per l’elettronica e con in mano Homosapien, ovvero il suddetto quarto album dei Buzzcocks in verisone synth-pop. Gruppo sciolto a suon di avvocati, fans sconcertati.
XL1 segue di due anni, reintroducendo chitarre elettriche e ambientazioni più rock, ma ammorbidendo la verve punk-pop del suo autore (che del punk-pop può essere considerato tra gli inventori). Ecco, non si trattasse di Shelley difficilmente presterei attenzione al disco nella sua interezza. Qua e là affiora la consueta classe (l’iniziale Telephone Operator, la melodia tribale di What Was Heaven?, i ricordi di You Know Better Than I Know, la title-track), lì o altrove giurerei di aver sentito premonizioni di Subsonica quindici anni prima.
Ma per l’acquisto al buio, un’altra cosa mi ha convinto definitivamente: come annuncia un volantino confezionato con la copertina, XL1 “Contiene un programma per il computer ZX-Spectrum 48 K – istruzioni all’interno”! E dentro c’è proprio il foglietto con le istruzioni in italiano (anche qui, stampa Ricordi): “L’ultimo brano della facciata B è un programma adatto per il computer ZX Spectrum (48 K). COME FUNZIONA? Registrare il codice su una musicassetta, (…) caricare il Computer con il programma ora contenuto nella musicassetta, (…) sincronizzare l’inizio del programma con l’inizio del disco. mentre la musica suonerà, il Vostro televisore mostrerà non solo disegni grafici, ma anche i testi delle canzoni”.
Fantastico. Troppo avanti.
Per me poi, che fui un kid dello ZX particolarmente duro verso l’odiato Commodore! Ah, averlo adesso il mio amato parallelepipedo nero, piccolo e metallico, con il registratore e il televisore collegati! Ma ve lo immaginate? L’antenato della traccia cd rom sui cd odierni! Nel 1983! Se qualcuno tra voi ha ancora lo ZX batta un colpo.
27. Magazine Play
(Virgin 1980, lp nuovo, € 4.20)
Torno il giorno seguente, punto dritto alle mensole più alte e chiedo al baffetto titolare uno sgabello, una sedia. È incredulo. Sono probabilmente il primo ad avergli mai chiesto una cosa del genere. Deve essere piuttosto raro da queste parti uno che in un negozio di dischi vuole vedere… dei dischi. Chi altro passerà sulla via pedonale della ridente località e degnerà di uno sguardo due mensole di vinile irraggiungibili da terra? Forte di questo argomento, al momento di andarmene chiedo lo sconto sulla quantità. Lui -diviso tra “questo è pazzo e mi sta liberando delle croste” e “questo deve per forza essere uno che se ne intende”- inizialmente tentenna, poi accorda uno sconto pur se minimo. E io esco con poco ma buono vinile selezionato che mai avrei immaginato di trovare, ancora incellophanato, la domenica pomeriggio proprio lì.
Il live dei Magazine, ad esempio, che per il sottoscritto è un ritorno. L’avevo infatti ascoltato anni e anni fa grazie al prezioso consiglio dell’amico Franco (maximum respect al postino rock e alla sua collezione da me ampiamente saccheggiata quando ancora si facevano le c90, senza badare troppo all’accoppiamento tra i due lati), ma non mi era piaciuto. Forse non ero pronto, ho pensato prendendolo ora a scatola chiusa e dopo quasi dieci anni, ma ascoltandolo mi accorgo di non essere molto pronto nemmeno ora per il rock-wave teatrale e tastieristico dell’ex-Buzzcocks della primissima ora Howard Devoto e dei suoi accoliti (spicca Barry Adamson al basso). Forse Play non è il disco migliore per farsi un’idea sul gruppo, forse i suoni non sono esattamente quelli dei dischi in studio. Ma è anche vero che, in teoria, un live dalla scaletta più o meno rappresentativa dovrebbe bastare per farsi un’idea su un gruppo, no? Insomma, pollice verso. Ma il primo album Real Life lo ascolterei volentieri. Qualcuno lo ha?
09/05/03
25. Pigbag Favourite Things
(Y/Ricordi 1983, lp nuovo, € 5.00)
26. Pigbag Lend An Ear
(Y/Ricordi 1983, lp nuovo, € 5.00)
In fondo alla stanza, ecco invece il resto del vinile. È sparso tra scaffali a muro, uno scaffale centrale e un po’ di mensole che si arrampicano sulla parete. Comincio a rovistare e titoli familiari saltano fuori. Dischi che già ho (alla sensazione stranissima di questi particolari momenti bisognerebbe dedicare un altro paragrafo almeno… quando trovi dischi che già hai, nell’usato soprattutto, è come un preavviso che qualcosa d’altro arriverà, una conferma ed una speranza insieme…), dischi che ho registrati su cassetta e dischi di cui ricordo le recensioni ma che non ho mai preso, perlopiù roba indipendente inglese degli ’80. Il tutto, sarà bene ricordarlo, in mezzo alla merda. Il tutto a cinque euro al pezzo. Perché quel disco della Creation che ora non ricordo (Jasmine Minks, mi pare) e Liberty Belle And The Black Diamond Express dei Go-Betweens siano rimasti lì invece di tornare a casa con me non lo so, ma le mensole forse hanno la risposta. Il tempo stringe, e riesco a guardare solo l’unica raggiungibile senza ausilio di sedie o scale. Due album dei Pigbag ancora nel cellophane possono bastare? Stampa italiana Ricordi, vabbè… ma almeno all’epoca la Ricordi stampava in Italia i dischi dei Pigbag!
Chi erano? Sciolto il Pop Group, il bassista Simon Underwood forma i suddetti ed enfatizza il lato black e danzereccio della faccenda, con risultati sì debitori del passato ma anche più smaccatamente orecchiabili. Papa’s Got A Brand New Pigbag è il primo singolo successo più grosso, e non c’è da stupirsi: ritmo incalzante, frase di fiati memorabile, inserti schizzati di elettronica e fiati solisti, break percussivi frenetici. Buona parte del suono On-U nasce anche qui, per capirci. L’eccellente raccolta Favourite Things, in mancanza del 12”, è l’unica maniera per ascoltarla in tutto il suo splendore, insieme ad altre chicche uscite solo su singolo e a qualche brano edito su album.
Apre le danze Getting Up, dal primo lp, e le coordinate sono sempre quelle anche per Sunny Day, secondo singolo qui in versione estesa da 12” e Hit The ‘O’ Deck, con i toni jazz della voce di Angela Jaeger. Six Of One ne era il retro, e si dilata in direzione dub. La breve One Way Ticket To Cubesville chiude la facciata, assai jazzata. Sul retro, oltre al citato masterpiece, due altri brani dal primo album (Brazil Nuts e Wiggling) ed una versione 12” del singolo The Big Bean: eccitanti schegge afrobeat, percussioni vorticose e scansioni funk-dance nell’Inghilterra pop-wave dei primi ’80.
Se Favourite Things raggiunge come detto livelli notevoli, altrettanto non si può dire di Lend An Ear, secondo album della band. Di Hit The ‘O’ Deck e One Way Ticket To Cubesville abbiamo già detto, così come dell’ingresso in formazione della cantante Angela Jaeger. L’ispirazione dei primi singoli sembra calata, ed emergono spinte verso una maggiore orecchiabilità che rendono anonimo e un po’ spompato il tutto. C’è anche del buono, per carità. Weak At The Knees è la consueta jam strumentale tipicamente Pigbag. Ubud lo sarebbe pure lei, se non si perdesse per strada nei suoi eccessivi sette minuti e mezzo. Ma l’album nella sua interezza risulta molto meno interessante e molto più palloso di quello che sarebbe stato lecito aspettarsi. Peccato per l’inizio tagliente e molto white-funk di Jump The Line, poi annaquato strada facendo.
06/05/03
24. The Byrds The Notorious Byrd Brothers
(Columbia 1968/1997, cd nuovo, € 7.50)
Non è mai troppo tardi. All’ennesimo weekend sulla riviera ligure, scopro che la via pedonale sotto casa della morosa nasconde un negozio di dischi. Oddio, negozio di dischi forse è una parola grossa… diciamo che tra le pellicole fotografiche e le cazzate ci sono anche gli ultimi cd dei Linkin Park e Giorgia (il cui singolo più recente va peraltro considerato una delle migliori pagine del pop italiano degli ultimi anni, insieme a Luce (Tramonto A Nord-Est) di Elisa, ovviamente. Altre? La Mia Signorina di Neffa, La Descrizione Di Un Attimo dei Tiromancino e Non Mi Basta (Monologo) dei Madreblu almeno). Quello che attira la mia attenzione è uno scaffale di vinili smarzissimi in offerta messo fuori sul marciapiede. Lo frugo, e in mezzo alla merda qualcosa mi dice che potrebbe spuntare il fiore. Si entra, e si comincia con un bel mobiletto di cd a prezzi quasi stracciati, incluso il suddetto titolo dei Byrds.
È il quinto album della band californiana, il primo dopo la storica quadrilogia iniziale ed il primo anche senza Gene Clark. Ma anche un disco cominciato in quattro e finito in due, con David Crosby e Michael Clarke che se ne andranno durante le registrazioni rendendo il gruppo di fatto un duo Roger McGuinn/Chris Hillman. Vi ricordate cosa dissi a proposito di David Axelrod (archivio luglio 2001) e di quanto la sua musica mi comunicasse sopra ogni cosa un senso di classicità e di perfezione? Beh, per i Byrds vale più o meno lo stesso discorso, e lascio a chi ha tempo l’analisi della provenienza californiana di entrambi i nomi. I Byrds mi danno un senso di serenità, se vogliamo, ed è ancora più interessante il fatto che si tratti di una band dilaniata dalle tensioni. Ma quello che chi ascolta percepisce è solo suo, no? in questo quinto album non troviamo i folk-rockers cristallini di Mr. Tambourine Man e Turn! Turn! Turn!, e nemmeno quelli che cominciavano a sperimentare e viaggiare in Fifth Dimension (vedi archivio aprile 2003) e Younger Than Yesterday. Diciamo che ne troviamo un compendio, con in più una ricerca pop ambiziosa, barocca e senza limiti. E The Notorious Byrd Brothers è un altro album da avere, dai fiati e dagli effetti di Artificial Energy all'ibrido folk-spaziale di Space Odyssey. Dappertutto, melodie splendide e soluzioni strumentali perfette tra il passato e il futuro: Draft Morning e l’incubo della guerra in Vietnam, Tribal Gathering e il sogno hippie, Goin’ Back e l’infanzia. Eccetera eccetera.
Tra i sei bonus, suona un po’ ingenuo il tentativo di fondere musica indiana ed elettronica vintage di Moog Raga, mentre brilla la versione originale di Triad, gemma flemmatica firmata Crosby che il contenuto all’epoca scottante (un triangolo amoroso) contribuì forse ad escludere dalla tracklist, e che l’autore in rotta di collisione con i suoi soci donò quindi ai Jefferson Airplane. Illuminante la lunga ghost track: la band in studio scazza irrimediabilmente cercando di cominciare un pezzo e il produttore Gary Usher cerca di mantenere calma la situazione.
02/05/03
23. Mikey Dread African Anthem
(Dread At The Controls 1979/Big Cat 1996, cd nuovo, € 12.00)
Uno degli album dub fondamentali, African Anthem può essere considerato una possibile trasposizione su disco dei mitici show radiofonici con i quali Michael Campbell ridestò l’attenzione sul dub in un’epoca, la fine dei ’70, già orientata verso le nuove sensazioni dancehall. Su ritmi stesi da campioni come Sly Dunbar, Robbie Shakespeare, Augustus Pablo e Earl “Chinna” Smith e mixati da altrettanti campioni quali King Tubby, Prince Jammy (e lo stesso Campbell) il nostro abbozza incursioni deejay e interviene con effetti speciali tanto artigianali quanto efficaci, sirene, clacson, orologi a cucù e jingle originali della sua trasmissione. Piedi ben piantati a terra su basi profonde e solide, testa fuori a inventare: i marchi di fabbrica del migliore dub. Scarsa assai la confezione della ristampa Big Cat in mio possesso, giusto due noterelle e stop, ma la musica parla clamorosamente da sola. Massiccio.
(Per i rockers indefessi, lui è lo stesso Mikey Dread che collaborerà con i Clash per gemme punk-reggae immortali quali Bankrobber e One More Time).
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