137. Her Space Holiday “Home Is Where You Hang Yourself” 2000. (cd usato, Tiger Style/Wichita, € 9.00).
Non ho ancora ben capito in che gruppo dei nostri suonasse Marc Bianchi, se nei Mohinder o negli Indian Summer. Diciamo che degli Indian Summer non si è mai capito un cazzo, in realtà, ma che hanno rappresentato l’essenza dell’emo dei primi ’90 che così tanto e intensamente ci ha fatto sognare. Bei tempi, decisamente.
Fatto sta che ora Marc Bianchi fa musica da solo, e questo è il suo primo vero album, uscito nel 2000 per Tiger Style come doppio (un cd di remix con vari nomi dell’etichetta) e stampato due anni dopo in Europa da Wichita come singolo, con copertina diversa e un brano in più. Ed è proprio la musica di un solitario, di una camera da letto, quella che esce dallo stereo.
Ritmi tenui, chitarra elettrica suonata, voce sussurrata, elettronica discreta. Come dei Velvet del terzo album, o meglio ancora dei Galaxie 500, spogliati ed appoggiati su beats piccoli (non sempre, sentite “Snakecharmer”, lentissima ma con un frenetico ritmo drum’n’bass in lontananza). Tutto molto affascinante ed umano, ma tutto anche a rischio monotonia, data la materia e la lunghezza media dei pezzi. Presi singolarmente ne spiccano diversi (“The Doctor And The DJ”, “Sleeping Pills”, “Can You Blame Me?”, “Sugar Water”) ma ho l’impressione che per incominciare ad entrare in questo disco ci vogliano molti ascolti, molti. Pur se frammentari, mi erano sembrati più immediati i due volumi di singoli e outtakes “The Astronauts Are Sleeping”. Forse al meglio deve ancora arrivare, ma le premesse ci sono.
138. Creedence Clearwater Revival “Willy And The Poor Boys” 1969. (cd nuovo, Fantasy, € 13.38).
Il 2002, per me, è in quanto a riscoperte definitivamente l’anno dei Creedence Clearwater Revival. Infoiato oltre ogni dire da “Bayou Country”, “Green River” e “Cosmo’s Factory” esco di casa per soddisfare la mia scimmia di John Fogerty e mi accaparro l’ultimo degli indispensabili firmati da lui e dai suoi tre soci, ovvero “Willy And The Poor Boys” (per la cronaca, TERZO album edito dal gruppo nel solo 1969!).
“Fortunate Son” è il singolo con la S maiuscola. Uno dei brani più celebri del quartetto, un’invettiva feroce contro tanti hippies rivoluzionari figli di papà avvezzi a dettar legge all’epoca, contro i quali l’etica working class di Fogerty si scagliava senza mezzi termini. La sua voce è odio puro distillato attraverso il sarcasmo, in due minuti e venti fondamentali, spesso dimenticati quando si parla di Vietnam e controcultura americana.
Il resto del disco, però, si discosta abbastanza dai tipici toni scuri perfezionati nei due album precedenti, come anticipato dalla copertina: la band sorridente a un angolo di strada, armata di armonica a bocca, chitarra acustica, washboard e basso a tinozza. Quattro bambini neri guardano attenti. C’è un’aria di svago, rilassatezza, ritorno alle tradizioni: “Cotton Fields” e “The Midnight Special” sono due classici di Leadbelly, colosso del folkblues dalla vita avventurosa. “Don’t Look Now” e “It Came Out Of The Sky” sono due rock’n’roll rurali, “Poor Boy Shuffle” potrebbe essere stata suonata con gli strumenti della copertina, e sfuma nel rhythm’n’blues a 24 carati di “Feelin’ Blue”.
Con la conclusiva “Effigy”, un po’ “Hey Joe”, torna a calare l’oscurità. Che altro aggiungere ancora?
139. Various Artists With The Upsetters “Version Like Rain” 1989 (lp usato, Trojan, € 8.00).
La copertina è orribile, e nemmeno riconducibile alla vecchia scuola delle ristampe reggae (della quale comunque la Trojan non ha mai fatto parte): pare un disco della 4AD, e dubito che avrebbe potuto mai catturare la mia attenzione se quel pomeriggio non avessi deciso di dare un’occhiata al vinile reggae usato, dove di solito non guardo praticamente mai. Di reggae serio, su vinile o cd, se ne trova davvero poco in questo negozio. Comunque sia, Upsetters è scritto piccolo ma si vede, e “Version Like Rain” è un titolo che non passa inosservato. Giro l’oggetto e mi convinco che si tratta di un titolo targato Lee Perry di quelli da prendere: cura la raccolta nientemeno che Steve Barrow (futuro creatore della Blood & Fire e coautore della “Rouch Guide To Reggae”), i nomi coinvolti sono fidati (Junior Byles, U-Roy, Augustus Pablo, Susan Cadogan, Niney), e se non li conoscono arrivano comunque le date in mio soccorso (la raccolta è del 1989, ma le registrazioni risalgono al periodo 1972-1976). Mio. Prendo e pago, mentre di fianco a me due ggiovani con berrette red, green & gold guardano “Legend” di Bob Marley come se non l’avessero mai visto e nemmeno immaginano cosa sto portando via con me.
Torno a casa, apro la suddetta guida e mi batto un hi-five da solo: l’album non solo è citato, ma è recensito con parole grosse, perché raccoglie tre dei meglio ritmi Upsetter dell’epoca e li sviluppa in più versioni.
La sezione musical shower comprende la pimpante “Want A Wine” di Leo Graham, la sua versione dj a cura di U-Roy e quella strumentale a cura della band di casa Perry. Fever Storm è proprio dedicata al classico blues “Fever”, qui interpretato due volte da Junior Byles e (meravigliosamente) da Susan Cadogan. Augustus Pablo la rilegge melodica in resta, King Medious ne prende il ritmo per “This World” e gli Upsetters, di nuovo, chiudono con una “Influenza Version”.
Babylon deluge occupa l’intero lato B, e non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che il ritmo prescelto è quello della mostruosa “Beat Down Babylon” ancora di Junior Byles (per inciso, uno dei vertici della carriera di Byles e di “Scratch” stesso). Apre l’originale, seguono Junior in coppia con il dj Jah T per “Informer Man” e relativa version. Riprende Perry in combination letale con Niney The Observer e Maxie (Romeo!) per una “Babylon’s Burning” tanto scarna quanto potente, anch’essa subito sottoposta all’apocalittico trattamento Upsetters. “Freedom Fighter” è l’eccellente contributo di Bunny & Ricky (chi sono?), prima della relativa versione e del finale lasciato alla vecchia e misconosciuta gloria ska Shenley Duffus con “Bet You Don’t Know”.
Uno degli affari dell’anno. Molto probabilmente grazie al grafico (che proprio ora in conclusione scopro essere lo studio Intro, ovvero il team responsabile della magnificenza Blood & Fire! Ok, la copertina resta orribile, ma denota la grande e sacrosanta volontà dei tipi di sperimentare e di scavalcare le barriere di genere, con soluzioni grafiche che, nel 1989, si discostavano nettamente dall’iconografia reggae classica).
140.The Most Secret Method “Our Success” 2002. (cd nuovo, Superbad, € 13.00).
Suonano ironici, a maggior ragione oggi, nome e titolo in questione. “Get Lovely” (Slowdime, 1998), tuttora il miglior disco Dischord non uscito su Dischord, è il tesoro che è solo per i quattro gatti che lo possiedono. E come troppo spesso accade nella Capitale -una sorta di contrappasso versione DC? Sarete grandi, ma durerete troppo poco?- anche per i fratelli Nelson e Johanna Claesen arriva troppo presto il momento degli addii. Succede, e quasi mai è il caso di farne un dramma. A Washington soprattutto, gli scioglimenti hanno da sempre significato nascita più che morte.
I conti vanno però saldati, ed ecco quindi “Our Success”. Catturato tra il 1998 ed il 2001 da fonici di lusso come Juan Carrera, Chad Clark, Ian MacKaye e Don Zientara e racchiuso in una slendida veste grafica, non è il suo inarrivabile predecessore, è più frammentario e a tratti solo abbozzato. Ma è opera di una band degna di sedere accanto ai più illustri fautori del DC Sound, capace di esaltarne i segreti e lo spirito. In attesa di sviluppi, a noi fare in modo che questo metodo, pur superato, diventi se non altro un po’ meno segreto.
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