30/01/08

More of the (wonderful) same



(E sempre in tema di Blind, il brano troneggia in cima all'umile playlist delle 5 canzoni che in questo momento metterei in una playlist di 5 canzoni, QUI su Umanuvem blog).

24/01/08

I wish the stars could shine now

Passato lo shock, tento di argomentare qui dall'internet point di fronte a uno dei posti di lavoro, forte di una pausa pranzo assurdamente lunga, e reduce dalla scoperta di un nuovo imbiss in zona assai simile all'imbiss che un giorno o l'altro vorrei aprire io.
Perchè "Blind" di Hercules And Love Affair con Antony alla voce è il pezzo dell'anno, oltre che il pezzo che va in modo praticamente ininterrotto nelle mie cuffie e nel mio computer da lunedì pomeriggio? Se la gentile signora qui dietro capisce che per parlare con Lagos al telefono ci vuole lo stesso volume necessario per parlare con via Baretti, ci provo. Tanto è cosa breve.
Si tratta dell'ennesimo 1+1 fatto dalla DFA prima di tutti, tutto qui.
Mettere Antony a cantare su una base electro-soul semplice ma rigogliosa, ottenendo qualcosa di meravigliosamente simile ai Bronski Beat su Salsoul.
Puro disco-dramma, lacrime agrodolci e vette altissime, Antony che parla di "lasciare indietro questa oscurità", di qualcosa che rende "il passato e il futuro dolorosamente chiari", di stelle che possono soltanto splendere di più e di come di fronte a tutto ciò si senta cieco. Come noi, fra fiati scoppiettanti, basso alla Arthur Russell e pennate di chitarra. E quando sale di sale di tono, verso la fine, quello stop breve dove restano solo la voce e il cuore è un Momento di quelli rari.
Poi riparte tutto, si balla, ci si abbraccia e via così.
Che bello.

21/01/08

Blinded by the light

Segniamoci tutti insieme il pezzo dell'anno ed abbracciamoci:
Hercules & Love Affair "Blind (featuring Antony)".

07/01/08

Payne management

Siamo forse in presenza di gestione del dolore difettosa quando ci si trova a desiderare che, se non altro, ci vengano almeno dedicate parole tipo queste?
Pure mentendo, chi se ne frega, tanto non lo si viene a sapere. Ammesso che parole tipo queste possano essere sincere, tra l'altro.
E che cazzo.
Sarà la stagione.



I wish I could have loved you more
I wish I could have loved you more


And ever since that day
I had to say goodbye

How I long to change my mind

But I know It won't be right

And in so many ways

You were made to be my man

Why I had to make you cry

I hope you understand


I wish I could have loved you more

I wish I could have loved you more

And ever since that day
I had to say goodbye

How I long to change my mind

But I know It won't be right

And ever since that day

I had to say goodbye...


I wish I could have loved you more

I wish I could have loved you more

04/01/08

1. ALTRO Aspetto (La Tempesta/Holidays)


Tre album. Al netto della loro concisione, dei tre o quattro anni che li separano l'uno dall'altro, dell'attività concertistica sporadica e dell'invidiabile, gioiosa leggerezza con la quale il disegnatore, il fisico e il programmatore di Pesaro prendono la faccenda, resta comunque un fatto: gli Altro sono un gruppo unico in Italia e probabilmente al mondo, che non ci si può più permettere di trascurare.
Chi fino ad ora lo ha fatto - perché debole di cuore o carente in spirito d'iniziativa - ora ha anche i numeri contro: gli Altro esistono, pulsano, vivono da quasi quindici anni. E dopo tre 45 giri hanno fatto tre album. Come Baustelle e Negazione. Uno in meno di CCCP e Massimo Volume, uno in più di Marta Sui Tubi e Disciplinatha.
Ma soprattutto: in questi quindici anni, con solo un'ora e mezza scarsa di musica e un'attività concertistica sporadica, hanno cementato una vicinanza con il pubblico difficilmente spiegabile tramite i soli mezzi della critica musicale. La portata degli Altro, questo ai più è sfuggito. La loro visione del mondo, e l'abbandono di chi ascolta nel sentirsene parte.
Le loro canzoni le sanno a memoria solo in mille per motivi puramente contingenti, volgari. Ma hanno potenza sufficiente per moltitudini. La loro intensità e la loro sincerità totale luccicano oggi ancor più che nel 1993 dentro la sala prove del parroco, quando il solo concetto di aristocrazia indie-rock italiana diffusa era un incubo nemmeno lontanamente prefigurabile.

Quando esce un nuovo album degli Altro - tre indizi fanno una prova - parte sempre una sorta di consulto per il titolo da dargli. Un consiglio tribale fra membri del gruppo e collaboratori più stretti, concretizzatosi dopo varie telefonate in una lista piuttosto lunga, arrivata via mail una sera di fine estate. Trentuno parole, due delle quali con piccola variante. Nessuna convincente abbastanza per il Difficile Terzo Album. Una voce: perché non chiamarlo proprio così, Difficile? Perfetto! Poi un'altra voce, preso atto del silenzio da Pesaro e della presenza in lista di alcune parole e dei loro contrari: perché non Facile, allora?
Sul serio. Le canzoni degli Altro sono all'apparenza difficili, aspre, estranee ai canoni generalmente accettati anche per i generi più estremi. Sono solo in tre e vanno fuori tempo, cazzo! Ma sono anche facili, nel senso più puro del termine. Dove le metti stanno. Vanno sempre bene. Danno una mano in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà. Spiegano, illuminano. A volte potrebbero sembrare fatte di poche parole scelte a caso, e invece mettono piccole didascalie molto economiche sotto ogni nostro momento, dritto o storto. Soprattutto storto, di solito.
E in ognuna di esse c'è sempre anche solo un frammento che sa di epifania.
Fate la prova.

Comincio io?
"Vorrei sapere dove siamo passati/Vorrei sapere perchè si fermano i treni/Vorrei sapere se c'è stato un passato" (Canzone di Andrea, che dice l'amico e collega Maurizio Blatto è "come avere intitolata una strada");
"Non è scontato pensare che ci sei" (Federico);
"Dove è andato, perché" (Ramirez);
"Metti che lei, metti la storia con lei" (Barnaba);
"Quello che hai preso, che hai perso, che sei" (31/12);
"Al telefono passa il tempo/Ma capisco cosa chiedi" (Chiuso);
"Un'altra volta, un altro giorno/Una stazione, una partenza" (Stefano, che chiude il disco, e saranno le chitarre, la collocazione o il fazzoletto ormai zuppo ma pare Ravenna).
Oppure Quadro A. dall'inizio alla fine, impressionante fino al minimo dettaglio, come se ti avessero piazzato una telecamera nascosta alle calcagna.

Oppure momenti in cui la rivelazione personale coincide con flash di umana (im)perfezione universali, pronti a contendere a quello struggente, candido "Io credevo che noi fossimo uno/Soltanto uno" del vecchio inno Pitagora (o agli "Oh! Oh! Oh!" di Minuto) il titolo di momento-Altro supremo: "Ora che tutto è diverso da prima", nell'acustica Smettere; quel "La città" detto in quella maniera in Colpito, due parole con un mondo intero dietro; l'incipit di Passato soprattutto ("Ho fatto la pace col mio passato/Ho preso un libro sui templari"), gli Altro più narrativi mai sentiti, roba che ferma il traffico, e in bocca a chiunque altro sarebbe insostenibile.
Sono cose che sembrano scritte apposta per noi, solo per noi, e non capita spesso. Non a caso sono venuti fuori due volte e ora tre i Massimo Volume. Là tante parole, qui pochissime, analogo l'effetto.
Era anche nella lista dei trentuno-più-due, Effetto.

Alla fine, il disco si intitola invece Aspetto. Che nella lista dei trentuno-più-due non c'era, ovviamente. Sostantivo maschile. Oppure verbo, prima persona singolare. Tempo presente che porta in sé anche il futuro. Persino lui sembra scritto apposta.

(Questo è quanto scrissi sul disco qualche mese fa, e che ne è diventato il comunicato stampa. Non mi sento di aggiungere molto, se non che mi sono evidentemente goduto il poter finalmente votare gli Altro come disco dell'anno. Adesso forse scriverei altre cose, forse le stesse parole significherebbero altro, o forse altri sarebbero i frammenti che saprebbero di epifania. E questa è una delle cose belle degli Altro, come cerco di spiegare più su. Ma Aspetto resta sostantivo maschile e verbo, prima persona singolare. E disco senza pari figlio di un gruppo senza pari.)

2. LCD SOUNDSYSTEM Sound of Silver (DFA)


La sensazione è che faccia le cose facili alle quali però nessun altro ha pensato, che di solito sono le migliori. Facili nel migliore dei sensi possibili: non ti fanno porre domande sul perchè siano state fatte, filano lisce, sembrano già presenti dentro di te e bisognose soltanto di essere attivate.
Forse età e background abbastanza simili a quelli di James Murphy pongono il sottoscritto in una posizione privilegiata - è abbastanza automatico insomma che James Murphy parli a qualcuno intorno alla metà dei trenta cresciuto a parti uguali di musica bianca e nera, per semplificare - ma certo è che in più di un momento, e in Sound of Silver addirittura più spesso che nel precedente debutto omonimo (non c'è due senza tre: con !!! e Rapture, un altro disco superiore al precedente), ti trovi a dire: "Fermi tutti: cosa ho appena sentito?" e subito dopo a restare a bocca aperta pensando contemporaneamente "Che meraviglia" e "Non ci voleva un cazzo, in fondo". Però ci arriva lui.
Get Innocuous! che parte uguale a Losing My Edge e per un attimo, solo per un attimo, cita il riff di Moscow Discow. Il falsettino di Time to Get Away. Quella brevissima pausa prima del "no" quando dice "and for those of you who still think we're from englind-we're not. no." in una North American Scum da antologia. La malinconia fra synth-pop e disco cosmica di Someone Great: si parla d'altro, ma "with someone new I couldn't start it/too late for beginnings" risuona comunque.
Fortuna che subito dopo arriva All My Friends, che da canzone dell'anno di Mojo, Pitchfork e cento altre testate non avrebbe bisogno di commenti, ma che è probabilmente la canzone dell'anno di centinaia di altre teste che non aspettavano altro. Fortuna davvero, che dopo quelle parole parta il suo ritmo traballante e frenetico che sembra sempre sfuggire di mano. E che una meravigliosa frase di Arthur Russell ("I wanna see all my friends at once", da Go Bang!) diventi spunto per la costruzione di un monumento. Una citazione/ispirazione dichiarata da Murphy stesso proprio a Mojo, sicuramente in seguito alla mia recensione su Rumore della ristampa del disco dei Dinosaur L che la smascherava. Che mette a posto un sacco di cose, si staglia a metà album come un picco dove splende sempre il sole e non ha paura di mostrare nervi e cuore, spavalderie e debolezze a monte. Forza: esiste qualcuno che non ha mai desiderato di vedere tutti i suoi amici nello stesso momento? Stanotte?
(Trattasi fra l'altro di roba che riesce, finalmente, a bissare in qualche maniera la portata di Losing My Edge. Esordio epocale e così a sè stante che, pur nell'altissimo livello di quanto venuto in seguito, rischiava di fare da termine di paragone eterno per la produzione del nostro.)
Un treno di emozioni lascia il posto a un treno di ritmo puro come Us Vs Them, monotono, voci robotiche e
(smettere tutti contemporaneamente di usarla è come cominciare tutti contemporaneamente ad usarla, o sbaglio?) cowbell impazzita. Watch the Tapes è un martello krauto a 45 giri con Lou Reed sullo sfondo e immagini impagabili come "you come for the weekend and you stay for the week". Sound of Silver ha cinque righe di testo soltanto, e le ripete a oltranza su un tappeto electro ipnotico che ne moltiplica il senso. E che senso: "Sound of silver talk to me/makes you want to feel like a teenager/until you remember the feelings of/a real live emotional teenager/then you think again". E poi New York, I Love You But You're Bringing Me Down e i suoi sussulti urbani da anni Settanta, crescendo mezzo ironico e mezzo amaro ("there's a ton of the twist but we're fresh out of shout"), uno dei vertici lirici fin qui raggiunti da Murphy.
La sensazione è che meglio d
i tutti sappia trasformare il passato (ascolti, ricordi, cose) in presente e futuro, e che questo album ne sia la prova più matura e lampante. Non un pezzo debole, solo eccellenza a 360 gradi. Suoni sporchi, vissuti, quasi brutti nell'arrivare carichi di ogni cosa. Nel portare con sè il bello e il meno bello, l'euforia e il suo risvolto.

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