99. The Rolling Stones “The Rolling Stones” 1964. (cd nuovo, Abkco/London, € 12.50).
100. The Rolling Stones “12 x 5” 1964. (cd nuovo, Abkco/London, € 12.50).
101. The Rolling Stones “The Rolling Stones, Now!” 1965. (cd nuovo, Abkco/London, € 9.90).
Ma il recupero nel vero senso della parola, ve ne sarete accorti, è questo qua (che spezzo in due post per comodità). Gli Stones di metà anni ’60, dagli esordi così ossequiosi delle radici alla prima vera prova di personalità, e che prova!
Chiariamo subito una cosa: non stiamo parlando dei cadaveri semoventi in giro adesso, nè del Mick Jagger in calzamaglia e costole, né dei Rolling Stones della lingua. Stiamo parlando di caschetti o capelli arruffati, completi stretti, devozione per la musica nera americana, Brian Jones alla chitarra, facce da ragazzini e stile come se piovesse.
Più un discorso complessivo di stile ed energia, appunto, che non di singoli album. Contavano i singoli, le hit, e non è un caso che il migliore album dei primi Stones sia una raccolta di singoli (“Big Hits (High Tide And Green Grass)” del 1966). Perché anche gli album veri e propri più che nascere dallo stesso momento creativo erano più che altro assemblaggi più o meno estemporanei di cover (molte) ed originali (pochi), con tracklist inspiegabilmente diverse per il mercato americano e quello inglese.
Da qualche parte a casa dei miei genitori c’è un vecchio numero del “Buscadero” con una doppia copertina, e da una parte c’è una foto degli Stones dei primi anni ’60 che rappresenta al meglio lo stile di cui si parlava. Dentro, un mega articolo con discografia che all’epoca mi sconvolse, io che appunto pensavo al gruppo come a quelli della lingua, di Jagger in calzamaglia e costole, della cover spompa di “Harlem Shuffle”. Boom!
Quasi contemporaneamente, e non ricordo, scopro che il tizio dell’ultimo piano è un ragazzo degli anni sessanta (o forse settanta) e che ha un cofanetto di una decina di vinili dedicato proprio a quel periodo dei Rolling Stones. Non una raccolta, proprio gli album originali inglesi uno per uno. Senza vergogna, lo chiedo in prestito e in un giorno lo registro tutto, e sono le stesse cassette che fino a ieri ascoltavo.
Qualche tempo dopo, compro il mio primo vinile: una copia usata di “Rock’n’Rolling Stones”, raccolta già allora piuttosto rara e da allora mai vista su cd, incentrata appunto sulle cover più rock’n’roll del periodo con qualche originale a completarla.
Una quindicina di anni dopo, questa benedetta fiera del disco e prezzi abbordabili mi riportano gli Stones che più amo.
Non ho quell’articolo sottomano, e non ricordo se la discografia di riferimento per gli album di quegli anni sia considerata dagli esperti quella americana o quella inglese (la prima assemblava gli album con singoli e non, in Inghilterra invece ciò che usciva su singolo quasi sempre non veniva incluso negli album: nel primo caso saliva la qualità media ma calava la coesione, nel secondo viceversa). Ma sottotitolato “England’s Newest hit Makers”, l’album omonimo dovrebbe venire da oltreoceano ed essere fuori di dubbio il primo. Infarcito per la quasi totalità di cover che spaziano dal blues puro al rock’n’roll al rhythm’n’blues (Buddy Holly e “Not Fade Away”, Chuck Berry e “Carol”, Rufus Thomas e “Walking The Dog”, Willie Dixon e “I Just Want To Make Love To You”, il classico dei classici “Route 66” per dirne qualcuna), mostra la personalità degli autori, se non nella creatività, sicuramente nell’approccio fresco e sensuale: ne è esemplare il suddetto brano di Dixon, frenetico come pochi. E poi c’è “Tell Me”, una ballata che è anche la prima vera grande canzone scritta da Jagger e Richards ed è un fottuto classico.
Le basi su cui poggia “12 x 5” -secondo album americano- sono grossomodo le stesse, ma la proporzione tra cover e originali è invertita e oltre. Forse prematuramente: il disco è certamente il più debole del lotto, suona un po’ raccogliticcio e non rende giustizia ad un gruppo ai tempi ancora in crescita.
Tra le cover, gradino più alto del podio per “Time Is On My Side”, seguita dal Bobby Womack giovane di “It’s All Over Now”, dal Chuck Berry di “Around And Around” e dal contemporaneo Wilson Pickett di “If You Need Me”.
Tra i brani a firma Jagger/Richards (o Nanker/Phelge, loro pseudonimi) nessun picco, ma la misconosciuta “Congratulations”, il bluesaccio di “Good Times, Bad Times” e lo stomp di “Grown Up Wrong” sono sempre un bell’ascoltare. Ma c’è ancora da lavorare.
Di nuovo sbilanciato verso le cover (otto a quattro) è il seguente “The Rolling Stones, Now!”, che dona però alla causa una originale del calibro di “Heart Of Stone” e si dimostra compatto dall’inizio alla fine. Ed entusiasmante spesso e volentieri: da “Everybody Needs Somebody To Love” di Solomon Burke all’ennesimo Chuck Berry di “You Can’t Catch Me”, dal Bo Diddley da manuale di “I Need You Baby (Mona)” all’Otis Redding di “Pain In My Heart”, dalla fighissima “Down Home Girl” fino alla slide guitar di “Little Red Rooster”. E “Down The Road Apiece” dove la mettiamo? Insomma, ancora derivativo, ma trascinante assai.
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