Da molto tempo non integro i discorsi sui dischi, vero cuore di questo weblog, con qualcosa di mio. Forse i troppi impegni, forse la poca voglia di raccontare, forse l’assuefazione ai comportamenti strambi dei clienti del negozio dove lavoro (i lettori di lunga data sanno a cosa mi riferisco, gli altri diano un’occhiata agli archivi), forse l’impossibilità di raccontare a parole momenti di delirante poesia umana.
Le recensioni, invece, vanno avanti più o meno lentamente. Ma siamo sempre indietro rispetto agli acquisti. Ah, come si stava bene a gennaio. Recenti superofferte major, raccolte punti terminate e fiere del disco a pochi metri da casa hanno ingrassato a dismisura la lista d’attesa, che si è vista a sua volta affiancare da non una ma due altre liste d’attesa. Ovvero due altri posti in cui, sotto falso nome, Soul Mate #65 scrive di musica.
In attesa di riuscire a modificare il template qui a fianco, ricapitoliamo come ogni tanto succede: ogni disco che compro finisce qua sopra, con un numero progressivo utile non so bene a cosa. Tra parentesi il formato, se nuovo o usato, l’etichetta e la spesa. Oppure:
“Musica è il mio Cibo per l’Anima. Semplice no?
Scrivo dal cuore della città, non ho cinque minuti liberi e spendo fortune in musica cercando il Sound Verite. Non mi piace quel genere piuttosto di quell’altro. Mi piace ciò che è Vero, e tutto ciò che ne consegue forse non è un caso.
Queste non sono recensioni. Siamo io e i miei dischi. Parlo dei dischi che mi compro, in ordine cronologico, numerati a crescere dall’inizio dell’anno. Voi fatene cosa volete. Se qualche titolo vi incuriosisse e ve lo andaste a cercare, ne sarei felice. Se mi faceste sapere cosa ne pensate, ne sarei altrettanto felice.
Quello che non si conosce è più bello di quello che si conosce.”
(questo non ci sta qui a fianco, ma il suo posto sarebbe lì).
Ah, sì. Un episodio posso raccontarvelo. Non di questo lavoro ma del precedente, quando stavo 8 e poi 4 ore al giorno davanti ad un computer senza sapere bene cosa fare. Il problema sorge quando neanche il capo e finanziatore del tuo posto di lavoro new economy sa molto bene cosa fare.
Lui (indicando il mio monitor): “Cercami un po’ in Internet questa cosa con Yahoo… ce l’hai Yahoo sul tuo computer vero?”
55. Red Monkey “Make The Moment” 1998. (lp nuovo, Troubleman/Slampt, € 6.90).
Percorrere la discografia di un gruppo a ritroso è sempre strano. Seguirne l’evoluzione (o l’involuzione) in ordine cronologico è un discorso, apprezzarne un disco ed andarsi a cercare quelli più vecchi è un altro. C’è il rischio dietro l’angolo.
Con “Make The Moment” è andata più o meno così, e ci sono voluti ripetuti ascolti per metabolizzarlo. Non che le prove più recenti siano facili ed immediate, ma il tempo ha sicuramente dato ai tre di Newcastle un bel po’ di rilassatezza e coscienza dei propri mezzi in più. Questo album d’esordio porta in sé l’essenza del suono e dei contenuti che hanno reso i Red Monkey un piccolissimo culto underground, ma suona grezzo e terribilmente primo disco se come chi scrive ci arrivate dall’ultimo, focalizzato e infallibile “Gunpowder, Treason And Plot” (vedi archivio di marzo).
Le chitarre comunque graffiano, i ritmi procedono nella migliore tradizione post-punk inglese (ma ancora semplici e punkeggianti se paragonati a ciò che verrà) e le parole colpiscono nel segno. Fin troppo facile dire che suona tutto più grezzo ed abbozzato, e la registrazione certo non aiuta, ma resta comunque un disco interessante di un ottimo gruppo. Per la cronaca, uno dei tre è Mr. Bean spiccicato.
56. Red Monkey “Difficult Is Easy” 1999. (lp nuovo, Troubleman/Slampt, € 6.90).
“Culturalmente, c’è la loro abilità nel fare funzionare testi interamente politici in maniera personale, intelligente e controllata; musicalmente, c’è il fatto che hanno tanta attrattiva melodica quanta aggressività ritmica post-punk”.
Non l’ho scritto io, ma sono d’accordo. Mi pare un ottimo modo di sintetizzare la questione Red Monkey. In questo secondo album poi le cose vanno decisamente meglio. Il suono esce più potente e compatto, i ritmi si fanno molto più irregolari, il gruppo comincia ad osare maggiormente. Rallentando e dilatando per esempio, come nelle ottime “My Bed And Ancestory” e “Kissing With Tongues”. Oppure enfatizzando la sua vena funk più tagliente.
Il tutto, come si diceva più in alto, con un sacco di cose interessanti da dire e un eccellente maniera per dirle. Capita sempre più di rado, pensateci. Essenziale, a questo proposito, la fanzine allegata, con testi tradotti in tre lingue e scritti dei tre membri del gruppo. La tentazione è di copiarli tutti, ma ne citerò una frase soltanto: “So one of the things that Red Monkey is for me is a celebration of DIY culture”. Mi associo senza riserva!
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