Questa è capitata in un altro negozio, ma è cugina delle mie (magari i miei picchiatelli si limitassero a prendere roma per toma, come si dice qui...).
Vorrei soltanto avere la metà della prontezza e dello spirito di Blatter, invece di somatizzzare all'istante.
Lui: "Cercavo il primo di Jaco Pastorius..."
Blatter: "Quale è?"
Lui: "Il primo, non ha titolo... è inedito"
Blatter: "Omonimo?"
Lui: "No no, inedito!"
Blatter: "Ah... allora non ce l'ho"
149. The La’s “The La’s” 2001.(cd nuovo, € 12.00).
Hanno quelle facce insopportabili e pure un po’ tristi dei gruppi inglesi osannati per un anno e scomparsi presto, ed una fama apparentemente sproporzionata per un gruppo esistito a sprazzi di pochi mesi, autore di qualche singolo ed un solo album e legato nel bene e nel male agli estri di un solo songwriter/cantante/chitarrista/leader chiamato Lee Mavers e a innumerevoli cambi di formazione.
“The La’s” è l’unico album in questione, uscito nel 1990 e ristampato nel 2001 con l’aggiunta di cinque brani, e comincia come cominciano solo i grandi album: con un tris che stende. In “Son Of A Gun”, “I Can’t Sleep” e “Timeless Melody” (nomen omen) il quartetto sciorina scintillante guitar-pop dall’indelebile impronta sixties (primi Beatles, primi Who, Small Faces) e dal piglio moderno di certi R.E.M. o degli indimenticabili Chesterfield Kings di “Don’t Open ‘Till Doomsday” (a tratti la somiglianza è davvero sorprendente, non solo per la somiglianza tra la voce di Mavers e quella di Greg Prevost).
“Liberty Ship” abbassa solo di poco il ritmo, con il suo Bo Diddley beat semiacustico che non esplode mai, e subito il singolone d’epoca “There She Goes” si fa largo con un jingle-jangle vicino agli Smiths più spensierati (e un testo molto facilmente interpretabile in chiave junkie con la Lei a cui state pensando… che qualcuno mi soccorra e mi spieghi dove stava ancora nel 1990 -e dove sta tuttora e dove è mai stato, se è per questo- il glamour dell’eroina, grazie). “Doledrum” riprende in mano le acustiche per un pimpante ritmo quasi bluegrass, mentre “Feeling”, “Way Out” e “I.O.U.” tornano a spingere.
“Freedom Song” introduce amarezza su atmosfere quasi cabarettistiche, ma subito “Failure” torna su quello che è ormai stile La’s al 100% con la faccia tosta degli Stones di metà ’60. “Looking Glass” sono i sette minuti finali che cominciano e continuano acustici e finiscono in rumore. I cinque bonus non sono da meno, dalla rarefatta “All By Myself” alla versione alternativa di “I.O.U.” (ancora più Chesterfield Kings!), passando per l’urgente “Clean Prophet”, la classica “Knock Me Down” e la grezza registrazione live di “Over”.
Fama meritata.
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