88. James Brown “The Payback” 1974. (cd nuovo, Polydor, € 9.49).
È un Soul Brother #1 sconvolto dal dolore quello che lavora a “The Payback”. Il 14 giugno del 1973, con due degli otto brani già fissati su nastro e l’album che comincia a prendere forma, il suo primogenito Teddy muore in un incidente stradale. James Brown reagisce e si fa forza nel modo più puro conosciuto allo hardest working man in show business: suonando, il 16 giugno, nell’Ohio.
E rimettendosi all’opera per finire uno dei suoi album cardine degli anni ’70. Come il successivo “Hell” (vedi archivio luglio), trattasi di una sorta di concept. Meno dispersivo e più compatto sul canovaccio funk ormai reso arte. Meno esplicitamente sociale e più rivolto alla persona, alla sua crescita interiore come indispensabile per una società più giusta e per, appunto, Il Rimborso. “And payback is gonna be a mutha!!!”.
Esemplari e determinanti, in questo senso, i dodici minuti finali di “Mind Power”: la voce alterna parlato e cantato creando una tensione che sfocia intorno al quinto minuto in un groove semplice quanto trascinante, sul quale riprende il dialogo del Godfather Of Soul e altri groove si innestano per poi tornare a quello iniziale.
Il resto del disco, in origine un doppio, sta sugli stessi livelli e più o meno sugli stessi minutaggi: un solo brano sotto i sette minuti, altri due sotto gli otto, gli altri sopra fino ai quasi tredici (troppi?) della tribale “Time Is Running Out Fast”. Il Godfather sciorina funk ipnotico da par suo (la title-track, “Take Some… Leave Some”, il singolo “Stone To The Bone”) o apre il proprio cuore in ballate blues di lusso (“Doing The Best I Can”, “Forever Suffering”). Notevole.
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