24/11/10
1. AAVV. Next Stop... Soweto Vol. 1 / Vol. 2 / Vol. 3 (Strut).
Dopo anni di ricerca sul campo e, ottimo tempismo, proprio quando i riflettori di tutto il mondo sono puntati proprio lì, la Strut lancia il primo di tre volumi dedicati al Sudafrica sotterraneo degli anni '60 e '70. In attesa del soul/funk e del jazz, ecco quello che venne chiamato township jive, o appunto mbaqanga. Ovvero, tradizione zulu ripresa con strumenti occidentali, e contaminata da elementi funk, rumba e gospel. Venti brani in tutto, materiale pubblicato all'epoca su 45 giri dalle tirature molto basse destinati al mercato segregato dei neri. Un suono ballabile ed energico, caratterizzato dai botta e risposta vocali (bella lotta fra le Izintombi Zesi Manje Manje e le più note Mahotella Queens), dai ritmi sincopati e dai fraseggi di chitarra elettrica e fiati. Ma anche dalla serenità e dalla gioia di vivere che comunica, pur arrivando da uno dei periodi più bui della storia dell'umanità. O forse proprio per quello. (Rumore n. 217)
Secondo voume della trilogia Strut dedicata al Sudafrica degli anni '60 e '70, e obiettivo puntato stavolta sull'incontro fra suoni locali e influenze nordamericane: soul, funk, organ grooves e primi vagiti disco. Generi da sempre portatori di messaggio, oltre che di evasione, e per questo poco graditi al regime razzista al potere in quegli anni. Dischi importati dagli Stati Uniti della lotta per i diritti civili, e diffusi in maniera quasi clandestina fra le strette maglie dell'apartheid. L'incontro è fruttuoso come previsto, e i ventidue pezzi di questa caldissima raccolta (recuperati sul campo sotto forma di vecchi 45 giri, compilati e annotati con la consueta cura dall'etichetta inglese) lo dimostrano senza riserve. Un'ora di musica vitale e piena di sorprese originalissime, come gli ipnotici Bazali Bam del brano omonimo, tre minuti e rotti di pazzesca cosmic ante-litteram. (Rumore n. 220)
A pochi giorni dal fischio d'inizio, termina la ricognizione della Strut sul Sudafrica degli anni '60, '70 e (in parte) '80. Per il capitolo finale della trilogia, i compilatori hanno pescato fra i jazzisti, fra quanti nella florida scena locale preferirono continuare l'attività fra le maglie strette del regime razzista, invece di seguire l'esempio di Hugh Masekela e Miriam Makeba e trasferirsi all'estero. Si tratta ancora una volta di brani recuperati da incisioni rarissime, che spaziano dal jazz propriamente detto – Dedication (to Daddy Trane & Brother Shorter) del Mankunku Quartet è più che esplicita – alle contaminazioni con il soul (The Heshoo Beshoo Group, The Drive), il funk (Allen Kwela Octet, Spirits Rejoice) o i ritmi autoctoni (Malombo Jazz Makers). L'aggiunta di foto d'epoca e note dell'autorià Gwen Ansell rende l'uscita indispensabile quanto le altre due, con le quali forma un pacchetto di enorme valore musicale e storico. (Rumore n. 221)
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